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Il Quarto numero - maggio 2013

www.lextrasporti.com      anno I - numero 4 – settembre 2013


   
Direttore Responsabile: Luca Florenzano
Comitato di direzione: Giorgio Berlingieri e Luca Florenzano 
Vicedirettrice: Cecilia Vernetti.
Comitato Scientifico: Giorgia Boi, PierAngelo Celle, Massimo Deiana, Mauro Ferrando, Andrea La Mattina, Marco Lopez  De Gonzalo, Aldo Mordiglia, Emilio Piombino, Carlo Rossello, Leopoldo Tullio, Marco Turci, Sergio Turci, Enrico Vergani.
Comitato di redazione: Daniela Aresu, Guglielmo Camera, Simona Coppola, Daniela D’Alauro, Francesca D’Orsi, Massimiliano Grimaldi, Margherita Pace, Claudio Perrella, Fabio Pieroni, Barbara Pozzolo, Chiara Raggi, Giancarlo Soave, Andrea Tracci.




dal 20 SETTEMBRE 2013 la MEDIAZIONE E’ DI NUOVO OBBLIGATORIA
Il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (decreto “del fare”, convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98) ha ripristinato il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie elencate dall'articolo 5, comma 1 del d.lgs. 28/2010 (come modificato dal decreto “del fare”e specificatamente: CONTRATTI ASSICURATIVI,  CONTRATTI BANCARI E FINANZIARI, RISARCIMENTO DEL DANNO DERIVANTE DA RESPONSABILITÀ MEDICA, RISARCIMENTO DEL DANNO DERIVANTE DA RESPONSABILITÀ, RISARCIMENTO DEL DANNO DERIVANTE DA DIFFAMAZIONE CON IL MEZZO DELLA STAMPA O CON ALTRO MEZZO di PUBBLICITÀ,  CONDOMINIO DIRITTI REALI, DIVISIONE - SUCCESSIONI EREDITARIE, PATTI DI FAMIGLIA,  LOCAZIONE, COMODATO e  AFFITTO DI AZIENDE.
Cosa cambia ?

IL PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE
La mediazione si introduce con il deposito (anche via pec o raccomandata) di una semplice domanda all’organismo le parti possono scegliere liberamente l’organismo. La domanda deve contenente l’indicazione dell’ organismo prescelto, delle parti, dell’oggetto della pretesa e delle relative ragioni del contendere. In caso di più domande, la mediazione si svolgerà davanti all’organismo presso cui é stata depositata la prima domanda.
COMPETENZA TERRITORIALE
L’istanza di mediazione deve essere presentata presso un organismo nel luogo del Giudiceterritorialmente competente per la controversia.

OBBLIGATORIETÀ DELL’ASSISTENZA DEL LEGALE
Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’obbligatoria assistenza dell’avvocato.

OBBLIGATORIETÀ DI UN PRIMO INCONTRO Durante il primo incontro, fissato entro 30 giorni dal deposito della domanda, il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.
 
GRATUITÀ DEL PRIMO INCONTRO  IN CASO DI MANCATO ACCORDO
Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso – ad esclusione delle spese di avvio e notifica – é dovuto per l’organismo di mediazione.
 
DURATA DELLA MEDIAZIONE
 Il procedimento di mediazione ha una durata massima stabilita dalla legge di tre mesi, decorsi i quali il processo può iniziare o proseguire.

EFFICACIA ESECUTIVITÀ DELL’ACCORDO
Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. In tutti gli altri casi l’accordo allegato al verbale é omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico.
PROVVEDIMENTI GIUDIZIALI URGENTI
Anche nei casi di mediazione obbligatoria é sempre possibile richiedere al Giudicei provvedimenti che, secondo la legge, sono urgenti e indilazionabili.

CASI DI ESCLUSIONE
La mediazione non é più condizione di procedibilità della domanda giudiziale i procedimenti relativi al risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti nonché nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite ex art. 696 bis c.p.c. e in tutti i casi già precedentemente elencati nell’articolo 4 del d.lgs. 28/2010: nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile; nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata; nei procedimenti in camera di consiglio;  nell’azione civile esercitata nel processo penale.
 
TRASCRIZIONE DEGLI ACCORDI
CHE ACCERTANO L’USUCAPIONE
Si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. In caso di successo della mediazione, le parti avranno diritto a un credito d’imposta fino a un massimo di 500 euro per il pagamento delle indennità complessivamente dovute all’organismo di mediazione. In caso di insuccesso della mediazione, il credito d’imposta é ridotto ad 250,00 euro.

MEDIAZIONE DELEGATA DAL GIUDICEIN CORSO DI CAUSA
Quando il processo é stato avviato, anche in sede di giudizio d’appello, il giudice, in base allo stato del processo, alla natura della causa e al comportamento delle parti, così da non favorire dilazioni, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione, che é condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’ordine del Giudicedeve essere adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non é prevista, prima della discussione della causa.

SANZIONE AUTOMATICA PER LA MANCATA PARTECIPAZIONE AL PRIMO INCONTRO DI MEDIAZIONE
Il Giudicecondanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5 (condizione di procedibilità, ordine del Giudicee clausola contrattuale), non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio.

MANCATA PARTECIPAZIONE EFFETTI SULLE SPESE PROCESSUALI
All’esito del processo civile, se il provvedimento del Giudicecorrisponde interamente al contenuto della proposta conciliativa, il Giudiceesclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, relativamente al periodo successivo alla stessa, e la condanna al pagamento delle spese processuali della parte soccombente riferite al medesimo periodo, nonché al pagamento del contributo unificato e al pagamento dell’indennità spettante al mediatore (e all’esperto, se nominato). Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto.
 
AGEVOLAZIONI FISCALI
Tutti gli atti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. Il verbale di accordo é esente dall’imposta di registro sino alla concorrenza del valore di 50.000 euro.

 avv. Barbara Pozzolo
Studio Legale Pozzolo
La mediazione, rieccoci !

Il Governo con il “Decreto fare” (D.l. n. 9/2013)  pubblicato nella G.U. del 20.08.2013 n.194 ha, tra i vari provvedimenti, normato anche la reintroduzione della mediazione obbligatoria. Con  le previsioni dell’art. 79 sono state, infatti, apportate modifiche sostanziali al D. lgs. n. 28/2010 recante disposizioni “in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”.  Ricordiamo che il D.lgs. 28/2010 aveva originariamente previsto come condizione di procedibilità della domanda giudiziale che venisse previamente esperito il procedimento di mediazione per numerose tipologie di controversie in una serie di materie considerate ad "alta conflittualità.
L’obbligatorietà della mediazione era poi venuta meno in seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale sentenza, n. 272/2012, del 6 dicembre 2012, che ne aveva dichiarato l’illegittimità, ma ricordiamo solo per un vizio formale per “eccesso di delega” (atteso che l’obbligatorietà non indicata espressamente da parte della legge di delega). La reintroduzione della obbligatorietà della mediazione era stata preannunciata da molti sin dal giorno stesso della pronuncia della Consulta. Tuttavia le note vicissitudini dei Governi che si sono succeduti nell’immediatezza della pronuncia della Suprema Corte, non hanno consentito, fino ad ora, di poter mettere mano alla disciplina di una materia  delicata come la giustizia ed in particolare di toccare la mediazione oggetto di fortissima avversione da parte delle Associazioni  istituzionali dell’Avvocatura. L’obbligatorietà della mediazione é stata nuovamente introdotta in materia di: condominio; diritti reali; divisione; successioni ereditarie; patti di famiglia; locazione; comodato; affitto di aziende; risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria; risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità; contratti assicurativi, bancari e finanziari. Le controversie di R.c. auto sono escluse dalle materie per cui é prevista l’obbligatorietà della mediazione, mentre sono state aggiunte le controversie in tema di risarcimento del danno derivante da responsabilità (non solo medica ma più ampiamente) sanitaria. Tuttavia all’istituto nel complesso sono state apportate alcune modifiche sostanziali che hanno in parte “svilito” la portata innovativa dell’istituto. Si é cercato, infatti, di superare alcune delle contestazioni che si erano presentate in vigenza della precedente normativa, e in tal senso si possono leggere: -la introduzione della competenza territoriale -i detrattori della mediazione ipotizzavano, infatti, un uso distorto della libertà delle parti  di radicare il procedimento nel luogo più “comodo”; la previsione di una durata ancora inferiore della mediazione fissata in tre mesi – per non comprimere il diritto a adire giustizia –                       la gratuità del primo incontro di programmazione in caso di esito negativo. Si prestano ad una più complessa lettura altre novità dell’istituto come: l’obbligatorietà dell’assistenza del legale in tutte le fasi della procedura (ma non si dovevano ridurre i costi per le parti?); la previsione della qualifica di Mediatore per tutti gli Avvocati iscritti ad un Albo;  la esclusione delle controversie di R.c. auto dalle materie per cui é prevista l’obbligatorietà (materia ad alta conflittualità); la previsione di una mediazione obbligatoria a “tempo determinato” quattro anni - tempo stimato come  sufficiente per far conoscere e comprendere alla parti l’utilità ed i vantaggi della mediazione rendendo quindi inutile la previsione per legge della sua  obbligatorietà. Ebbene, leggendo la nuova normativa che disciplina la mediazione si ha l’impressione che la stessa sia il risultato di una “mediazione” tra gli interessi contrapposti della Avvocatura istituzionalizzata e quelli dei cittadini e delle imprese ad avere giustizia rapida in tempi brevi a costi accessibili, senza dover necessariamente adire ed intasare i Tribunali. Tuttavia, ci sia consentito dire, che forse le modifiche apportate destano alcune perplessità.  Come l’obbligatorietà dell’assistenza del Legale in tutte le fasi della procedura, laddove la mediazione nasce anche per andare incontro alle parti anche in termini di riduzione dei costi economici; la previsione della gratuità del primo incontro “preliminare” fissato per valutare la volontà delle parti nel caso in cui le stesse decidano di non proseguire la mediazione, a scapito degli dei Mediatori  e degli Organismi di mediazione, la durata di quattro anni della disposizione di legge che introduce la obbligatorietà. In ogni caso i primi commenti positivi alla reintroduzione della mediazione obbligatoria sono arrivati dal mondo del lavoro e dal presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, che recentemente ha definito la reintroduzione della obbligatorietà “Un salto culturale al Paese cui serve l'aiuto di tutti gli attori del settore.”Forse adesso l’Avvocatura istituzionale guarderà con meno diffidenza ed un occhio più benevolo l’istituto della mediazione, visto che  tutti gli Avvocati iscritti ad un Albo sono diventati Mediatori “di diritto”.      Non ci resta che attendere per fare le prime valutazioni sul nuovo istituto...

Avv. Simona Coppola
Studio Legale Garbarino Vergani

Il “verde” piace  sempre più allo shipping
In occasione del Genoa Shipping week della scorsa settimana, evento concomitante con il Port & ShippingTech, forum internazionale dell’innovazione tecnologica per lo sviluppo del cluster marittimo, si sono sviluppati interessanti dibattiti in merito alle  opportunità per il settore marittimo offerte dalla proposta di Direttiva sulle infrastrutture per i combustibili alternativi, con particolare riguardo al LNG (Liquefied Natural Gas), che in oggi si ritiene una soluzione economicamente molto conveniente ai fini del rispetto delle normative ambientali IMO, e più in generale dell’utilizzo del gas naturale come combustibile navale. E’ molto cresciuto l’interesse delle società armatoriali nei confronti di questo tipo di combustibile e molti studi ed investimenti sono stati fatti per progredire nell’utilizzo di questa nuova tipologia di combustibile. E’ evidente, e nessun Armatore sembrerebbe nascondere, che la ricerca di un combustibile che sostituisca quello tradizionale trova la sue ragioni non solo nella necessità di adeguarsi alle normative sempre più restrittive in ambito di salvaguardia ambientale, ma anche nei sempre maggiori costi sostenuto per l’acquisto del bunker. Questo tipo di carburante dovrebbe assicurare infatti un minore impatto ambientale e una sensibile riduzione delle spese. Così dopo il “coldironing” (le navi arrivano in porto e spengono i motori perché i servizi vengono alimentati da terra) e lo “slow steaming” (le navi che vanno piano per consumare meno) si é arrivati al varo del primo traghetto alimentato a metano liquido, la M/n "Viking Grace", costruita dai Cantieri Stx Finland di Turku che fa rotta tra Turku e Stoccolma, con passaggio dalle Isole Aland. Ha un garage con 1.000 metri lineari per le automobili, e 1.275 metri per i camion ed esternamente la nave non ha niente di diverso dagli altri traghetti. Dunque finalmente lo shipping ha trovato il suo carburante alternativo? Se lo é chiesto, nell’ambito di una conferenza organizzata lo scorso 19 settembre tra le inziative del Genoa Shipping Week, Valeria Novella, Presidente dei Giovani Armatori di Confitarma che sin dall’inizio del suo mandato ha dimostrato di avere a cuore le tematiche della green economy. Che LNG sia una valida alternativa al bunker pare ormai assodato, il problema - come rilevato anche in uno studio del Lloyd’s Register, cioé proprio la società inglese che ha certificato la “Viking Grace” - é la realizzazione di una rete in grado di sostenere questo sistema. I distributori di LNG nel mondo sono davvero pochi e riescono a soddisfare solo le esigenze di navi che coprono sempre le medesime tratte Ma intanto, una notizia riportata dai giornali pochi mesi lascia ben sperare: la “Viking Grace”, infatti nel maggio scorso ha effettuato per la prima volta le operazioni di rifornimento tramite bettolina, tecnicamente “ship to ship”e con i passeggeri a bordo dimostrando, ha aggiunto Valeria Novella come sia possibile effettuare questo tipo di operazioni in sicurezza e senza rallentare le operazioni commerciali della nave. La bettolina utilizzata come rifornitrice di LNG é la ”Seagas”, un traghetto norvegese del 1974, trasformato dai cantieri norvegesi di Fiskerstrand BLRT proprio per essere utilizzata per questo tipo di operazioni. La “Seagas” ha a bordo un unico grande serbatoio criogenico di 170 metri cubi che mantiene la temperatura di -162 °C per garantire al LNG di occupare solo 1/600 del suo volume gassoso. Le tanche, della capacità di 70 tonnellate, sono state posizionate al centro della nave, e garantiscono che il gas al loro interno sia trasferito in un'ora, tempo che ben si inserisce nella dinamica dei traffici marittimi. Il Baltico, insieme con il Mare del Nord e la Manica, fa parte della prevista istituzione a partire dal 2015 della zona Tier III SECA (SulphurEmission Control Area), come concordato dai nove Stati costieri. Questo accordo prevede che le navi che navigano in queste aree siano dotati di sistemi che abbattano le emissioni di zolfo fino allo 0,1 per cento di zolfo (precedente livello di 1,0 per cento). Ma, fortunatamente, é tutta l’Europa a prestare sempre maggiore attenzione all’utilizzo delle energie pulite nel trasporto. Oltre infatti alle note previsioni europee che hanno imposto agli Stati Membri una importante diminuzione delle emissioni di zolfo (fino allo 0,5% entro il 2020), la Commissione Europea, ha allo studio un progetto che prevede di supportare con cospicui investimenti programmati per i prossimi anni, la realizzazione di infrastrutture volte a sviluppare il trasporto delle merci e delle persone su “vie verdi” tra cui si inserisce pienamente la creazione di 139 porti a livello comunitario dotati di stazioni per il rifornimento di LNG. I nostri Armatori e i nostri studiosi e professionisti sembrano pronti a navigare in verde; bello sarebbe poter realizzare un progetto organico che veda il supporto delle nostre istituzioni e la capacità delle medesime di confrontarsi con il resto dell’Europa e del mondo.

avv.Guglielmo Camera
Studio Legale Camera Vernetti
Il Charterparty
con tale termine si intende il contratto di noleggio. Ne esistono varie forme. A titolo di esempio c'é il “demise”, o "bareboat", contratto in base al quale il noleggiatore oltre alla nave utilizza anche il suo equipaggio. Tuttavia, più comuni sono i contratti con i quali l’equipaggio é impiegato direttamente dall'armatore. Le due tipologie principali sono il noleggio a viaggio (voyage charters) e il noleggio a tempo (time charters). Noleggio a Viaggio -  Con un noleggio a viaggio la nave viene noleggiata al noleggiatore per un viaggio specifico. All’'armatore é pagato il “nolo” (freight), che copre i suoi costi, carburante e equipaggio compresi, oltre al suo profitto. Nel contratto é previsto un lasso di tempo (stallia-laytime), per le operazioni di carico e scarico. Se tali operazioni superano il tempo di stallia, l'armatore sarà compensato per la “controstallia” in base al prezzo fissato nel contratto di noleggio.
Con i noleggi a viaggio spesso gli obblighi contrattuali del noleggiatore vanno ad interessare anche il soggetto avente diritto dalla polizza di carico (bill of lading). Questo é possibile in virtù di una clausola che prevede che le polizze debbano incorporare i termini del contratto noleggio. In tal caso le polizze di carico collegano contrattualmente l'armatore con il titolare delle polizze stesse in base ai termini del contratto di noleggio. Talvolta, il contratto di noleggio contiene un ulteriore pattuizione, la clausola "cesser", sotto la quale il noleggiatore é libero da qualsiasi responsabilità successivamente alla caricazione delle merci. I contratti di noleggio a viaggio di solito prevedono difese particolari per l'armatore, in caso di mancato pagamento del nolo o di controstallie. Questi sono il diritto di pegno sul carico, ovvero il diritto di trattenere il pagamento dovuto del carico, e il diritto di pegno sul carico secondario, un diritto di trattenere il nolo dovuto al noleggiatore dal suo noleggiatore secondario. Noleggio a tempo - A differenza del noleggio a viaggio, un noleggio a tempo non é definito da un viaggio geografico, ma da un periodo di tempo, ad esempio, sei mesi. Il pagamento avviene mediante il "nolo", calcolato su basi giornaliere e solitamente ê pagato in anticipo. Il nolo decorre dalla "consegna" della nave e cesserà quando la nave sarà "riconsegnata". Il luogo e il tempo per queste operazioni sono specificati nel contratto. Il bunker consumato durante il periodo del noleggio sarà a carico dei noleggiatori. Anche il ritardo é trattato diversamente in un noleggio a tempo. Non vi é alcun equivalente diretto alla stallia e la controstallia. Invece, il nolo decorrerà dall'imbarco del carico sulla nave, ("consegna") al termine del viaggio ("riconsegna"). Tuttavia, il contratto potrebbe essere interrotto applicando la clausola "off-hire", che prevede la cessazione temporanea del noleggio a causa di una causa qualsiasi tra quelle ivi specificate. Il noleggio a tempo di solito non prevede alcun trasferimento contrattuale di responsabilità, come avviene invece nel caso del noleggio a viaggio, tramite la previsione di apposite clausole (c.d. “cesserclauses”). Generalmente le polizze di carico vengono emesse senza l’incorporazione di tali clausole. Tali polizze di carico contengono generalmente la dizione “freight prepaid”, ossia nolo prepagato. Tale dizione impedisce all’armatore di esercitare alcun diritto di pegno sulle merci. Il carico generalmente non é di proprietà dei noleggiatori a tempo e le polizze di carico non contengono alcun riferimento ai termini del contratto di noleggio a tempo. Inoltre i noleggi a tempo di solito prevedono un ulteriore rimedio, che non si riscontra nei noleggi a viaggio. Questo é il diritto di "recesso" (withdrawl). Ciò non é altro che la possibilità di recedere dal contratto di noleggio nel caso in cui il nolo non venga  pagato puntualmente e integralmente.

avv. Chiara Raggi
Studio Legale Mordiglia
Convenzione ILO sul lavoro marittimo: l’Italia ratifica
Il 20 Agosto scorso è entrata in vigore la Convenzione ILO sul Lavoro Marittimo (Maritime Labour Convention – MLC 2006) anche nota come la Carta dei diritti della gente di mare. La Convenzione interviene a sostituire 68 tra convenzioni e regolamenti esistenti in materia ed è stata definita una “pietra miliare” nella storia di cooperazione internazionale in quanto volta ad affermare i diritti fondamentali del lavoratore, del dialogo sociale e della contrattazione collettiva e, nel contempo, si propone come uno strumento per la promozione della concorrenza leale fra gli armatori. La Convenzione è stata adottata a Ginevra il 23 febbraio 2006 nel corso della 94ma sessione della Conferenza generale dell’ILO (International Labour Organization) dopo cinque anni di intense consultazioni e negoziazioni ed è stata finora ratificata da 45 Stati Membri ai quali,il 12 Settembre scorso, si è aggiunta l’Italia. Durante la seduta della Camera n. 76 del 12 settembre 2013, l’Italia ha infatti approvato definitivamente il disegno di legge relativo alla “Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n. 186 sul lavoro marittimo”.Un momento storico per il nostro paese e per il mondo intero, così come ha sottolineato Doumbia-Henry, direttrice del Dipartimento delle Norme Internazionali del Lavoro dell'ILO che, all'indomani dell'entrata in vigore della Convenzione ha affermato: "La MLC, 2006 è adesso una legge internazionale e il settore marittimo non sarà mai più lo stesso".Con tale atto L’Italia ha dunque adottato la Convenzione rappresentando l’adesione del nostro Paese un ulteriore passo verso la ratifica universale della Convenzione e di cooperazione internazionale. Il profilo più innovativo della Convenzione è quello di prevedere un doppio binario di certificazione obbligatoria e dichiarazione di conformità del lavoro marittimo da parte delle navi battenti bandiera degli paesi firmatari della convenzione .La Convenzione prevede infatti che le navi mercantili con stazza uguale o superiore a 500 tonnellate che operano su rotte nazionali ed internazionali (Reg. 5.1.3 Convenzione), debbano conservare e tenere a bordo un “certificato di lavoro marittimo” attestante che le condizioni di lavoro e di vita a bordo siano state sottoposte ad ispezione e soddisfino i requisiti della legislazione nazionale nonché una “dichiarazione di conformità del lavoro marittimo” che enunci, in particolare, le misure adottate dall’armatore per garantire il rispetto delle prescrizioni nazionali sul lavoro e la sicurezza dei lavoratori marittimi. Il certificato marittimo del lavoro (Maritime Labour Certificate) viene rilasciato dallo Stato di appartenenza della nave mentre la dichiarazione di conformità (Declaration of Maritime Labour Compliance) è responsabilità dell’armatore che attesta e chiarisce nel dettaglio le misure messe in atto in conformità alla legislazione nazionale in materia di lavoro e sicurezza dei lavoratori marittimi. La ratifica della Convenzione n. 186 sul lavoro marittimo costituisce, dunque, un importante incentivo alla competitività nel mercato globale del trasporto via mare. Le navi battenti la bandiera un paese che non ha ratificato la Convezione sono infatti sottoposte a ispezioni approfondite e dunque soggette al rischio di provvedimenti di fermo amministrativo da parte delle autorità dei paesi di scalo, con conseguente rischio di costi aggiuntivi derivanti dal potenziale fermo della nave. Al contrario, le navi battenti bandiera dei Paesi firmatari potranno beneficiare dei vantaggi derivanti da maggiore efficienza nelle pratiche nei porti di scalo e godere di un innalzamento delle competenze grazie a corsi di formazione previsti per ispettori, consulenti legali e operatori di navi da crociera che, in Italia, saranno tenuti presso il Centro di formazione dell’Ilo di Torino.Quanto alle norme di adeguamento interno, occorre osservare che la ratifica della Convenzione da parte dell’Italia comporta alcune necessarie modifiche, sia con riguardo alle disposizioni del codice della navigazione che della correlata legislazione interna. Le modifiche sono direttamente conseguenti all'esigenza di adeguare le poche richiamate disposizioni del codice della navigazione, introdotte nel nostro ordinamento nel contesto socio-economico proprio del 1942, che risultano direttamente in contrasto con il portato dei principi giuridici attuali, rendendo, con ciò, pienamente effettive le modalità di tutela dei diritti dei lavoratori a bordo delle navi, con piena rispondenza al quadro delle disposizioni elaborate in sede ILO con la convenzione oggetto di adesione. Entrando nel merito, si osserva che l'art. 368 del codice della navigazione prevede che le disposizioni del capo V, afferenti al rimpatrio dei marittimi stranieri arruolati su navi nazionali, si applichino a condizione che gli Stati di cui essi hanno la cittadinanza assicurino l'esercizio di eguale prerogativa ai cittadini italiani arruolati su navi che battono la loro bandiera (condizione di reciprocità).Tale normativa risulta in contrasto con le disposizioni della Convenzione MLC 2006 che prevede alla Regola 2.5 che l'obbligo di rimpatrio debba essere esteso a tutti i marittimi imbarcati sulle navi di bandiera, senza alcuna condizione di reciprocità. La modifica proposta, pertanto, adegua la normativa nazionale alle disposizioni della Convenzione OIL MLC 2006 ai fini della ratifica. L’adeguamento riguarda anche gli artt. 1091 e 1094cod.nav., concernenti, rispettivamente, le fattispecie di delitti contro la polizia di bordo della diserzione e dell'inosservanza di ordine da parte di un membro dell'equipaggio. In linea con la finalità generale di adattamento dell'ordinamento interno sopra richiamata, è previsto il mantenimento della qualificazione penale della fattispecie quando dalla condotta illecita derivino, in concreto, un pericolo per la sicurezza della navigazione o per la vita o salute delle e persone a bordo, salvo poi prevedere, fuori dei casi predetti, una depenalizzazione delle ipotesi contemplate nei due articoli con la trasformazione da penale in amministrativo-pecuniaria. L’adeguamento interno comporterà anche una modifica in materia di legge regolatrice del contratto di arruolamento. L'articolo 3 del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, contiene le disposizioni di diritto internazionale privato volte ad individuare il criterio di collegamento applicabile in ordine alla disciplina delle condizioni economiche, normative, previdenziali ed assicurative dei rapporti di lavoro dei marittimi italiani, comunitari e non comunitari imbarcati a bordo delle navi iscritte nel Registro internazionale prevedendo che tali rapporti sono regolati dalla legge regolatrice del contratto di arruolamento e dai contratti collettivi dei singoli stati membri che è poi – di fatto – la legge nazionale della nave (legge di bandiera) stante il rinvio all’art. 9 del cod.nav. In caso di personale marittimo non comunitario la legge regolatrice del contratto è invece scelta liberamente dalle parti rispetto alle convenzioni ILO in materia di lavoro marittimo (art. 3 co. 2 d.l. 457/1997). Tale seconda disposizione risulta modificata dalla ratifica dell’Italia in quanto, in base ai principi internazionali della Convenzione, anche il lavoro dei marittimi non comunitari verrà regolato dalla legge regolatrice del contratto di arruolamento ossia dalla legge di bandiera. E’ è stata inoltre alzata a 16 anni l'età minima per l'ammissione al lavoro sostituendo la precedente età riconosciuta di 15 anni ed andando pertanto a modificare le previsioni di cui all’art.119 cod. nav.. Ai fini dell’adattamento dell’ordinamento interno verrà anche modificata la legge interna in materia di certificazione medica ed assistenza sanitaria a bordo. Il certificato del medico dovrà essere redatto anche in lingua inglese e se il marittimo ha meno di 18 anni avrà una validità annuale e non biennale. Quanto al servizio di assistenza sanitaria a bordo, verrà superata la vigente normativa alquanto risalente (RD 178/1897) e dovrà essere previsto che per le navi passeggeri che trasportano più di 100 passeggeri (e non più 150 fra equipaggio e passeggeri) e che effettuino navigazione internazionale, debbano avere a bordo un medico qualificato responsabile dell’assistenza sanitaria. Sarà infine abrogato l’art. 36 della l. 1045/1939 che ancora prevede che “qualora tra i componenti dell’equipaggio vi siano persone di colore, a queste dovranno essere riservate sistemazioni di alloggio, di lavanda e igieniche separate da quelle del restante personale”. Tale disposizione è in evidente contrasto sia con l’art. 3 della nostra Costituzione, sia ai principi di uguaglianza sanciti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (Carta dei diritti fondamentale dell’Unione Europea) nonché con quanto stabilito per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (d.lgs. 215 e 216/2003) e parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.


 avv. Giancarlo Soave
Studio Legale Soave

Himalaya Clause
S
ul retro di quasi tutte le  polizze di carico circolanti figura ormai costantemente la così detta Himalaya clause, il cui nome deriva  dal vapore Himalaya oggetto del caso, ormai divenuto celebre,  Adler vs Dickson, risolto dalla giurisprudenza inglese nel 1955. Nella sentenza in questione, con un’interpretazione eccessivamente restrittiva,  la Corte rifiutò al comandante della nave l’applicazione della limitazione della responsabilità prevista  contrattualmente solo per il vettore, negando quindi di riflesso  l’estensione di tali benefici in favore di qualunque ausiliario dello stesso. La clausola Himalaya, stratificatasi nei formulari a seguito di  tale precedente, é pertanto volta ad estendere ed assoggettare alla disciplina di polizza anche l’attività svolta da qualunque ausiliario o subcontraente del vettore, tutelandolo dalle richieste avanzate da terzi per il risarcimento dei danni alle persone o al carico provocati nell’esecuzione dei compiti loro affidati. La funzione é quella di far sì che i contraenti del vettore marittimo possano beneficiare, di fronte ad un’azione di responsabilità da parte degli interessati al carico, delle stesse difese ed eccezioni riconosciute dalla disciplina di diritto uniforme al vettore marittimo (inclusa, dunque, la clausola di giurisdizione e la limitazione di responsabilità). Naturalmente la clausola Himalaya, a prescindere dalla maggiore o minore estensione dei benefici, non incide sui principi della responsabilità  vicaria, nel senso che il vettore sarà sempre chiamato a rispondere del fatto dell’ausiliario potendo poi rivalersi su quest’ultimo nei limiti di quanto corrisposto (nei formulari marittimi l’esonero totale della responsabilità del vettore per gli atti compiuti dagli ausiliari é realizzata non con la Himalaya clause bensì attraverso la Negligence clause). Dunque mediante la previsione della clausola Himalaya viene perseguita la duplice finalità (i) della rinuncia da parte dell’avente diritto al carico ad agire nei confronti dei soggetti diversi dal vettore e (ii) della pattuizione che, in caso di azione, la responsabilità dell’ausiliario sarà disciplinata dalle stesse norme applicabili al vettore. La tutela  si realizza pertanto in modo indiretto, estendendo al preposto le stesse condizioni di azione garantite contro il vettore. Il notevole sviluppo raggiunto nella prassi da tale disposizione ha spinto anche il legislatore uniforme ad adeguarsi alla pratica commerciale marittima. Nella Convenzione di Bruxelles del 1924, con il protocollo del 1968, si é infatti introdotta una disposizione (articolo 4bis “gli esoneri e i limiti previsti dalla presente convenzione sono applicabili a qualsiasi azione contro il vettore per il risarcimento di perdite o danni oggetto di un contratto di trasporto, sia che la azione sia stata fondata su una responsabilità contrattuale o su una responsabilità extra contrattuale. Se tale azione é promossa contro un preposto del vettore, tale preposto potrà avvalersi degli e oneri e delle limitazioni di responsabilità che il vettore può invocare in virtù della convenzione”) che, ricalcando i contenuti della Himalaya clause,  consente al preposto e/o ausiliario (not being an independent contractor), contro il quale sia stata radicata un’azione per perdita o avaria delle cose trasportate, di invocare gli esoneri e le limitazioni previste in favore del vettore stesso. Nella realtà quotidiana dei traffici marittimi, i più immediati beneficiari delle  tutela offerta dalla Himalaya clause sono, di fatto, i terminal portuali che svolgono funzioni di ausilio al vettore nelle operazioni di carico e scarico della merce e nelle attività accessorie alle stesse. Non a caso clausole dal contenuto identico alla Himalaya clause sono inserite nei terminal agreement in essere tra l’impresa terminalistica e la compagnia di navigazione. Il presupposto per l’operatività dell’Himalaya  clause nei confronti del terminal  portuale é, naturalmente, l’estensione nell’ambito della prestazione del vettore delle operazioni svolte dall’impresa terminalista, di guisa che quest’ultima possa e debba essere considerata un vero e proprio ausiliario del vettore stesso. In altre parole l’Himalaya clause produce effetti nella misura in cui l’attività del terminalista é ricompresa e rientra nell’alveo delle attività che il vettore si é impegnato ad eseguire nei confronti del mittente/caricatore. In difetto di apposita estensione pattizia (con la Himalaya clause) o previsione legale (art. 4bis Convenzione di Bruxelles del 1924  ma con le problematiche conseguenti la qualifica dell’independent contractor), il regime ordinario di responsabilità dell’operatore terminalista divergerà da quello proprio del vettore, con la conseguenza che il terminal non potrà ad esempio beneficiare della clausola di deroga della giurisdizione apposta sul retro della polizza di carico, né  dei limiti di responsabilità vettoriali (2DSP per chilo di merce danneggiata ovvero 666.66 DSP per collo)  né, infine, del termine di decadenza annuale per l’esercizio dell’azione. La giurisprudenza ha avuto un atteggiamento ambivalente sugli effetti della Himalaya clause nei confronti dell’impresa terminalista. La questione é stata affrontata prima dal Tribunale di Genova (20 novembre 2000) e poi, in riforma di quanto dallo stesso statuito, dalla Corte d’Appello (18 Gennaio 2003). In primo grado il Tribunale aveva stabilito che il terminalista potesse giovarsi della deroga della giurisdizione inserita in polizza a condizione che le operazioni svolte fossero state assunte dal vettore e che il terminalista avesse svolto la sua attività per conto del vettore. Successivamente la Corte d’Appello di Genova ha riformato la sentenza negando che l’operatore terminalista potesse essere qualificato, nel caso di specie, come  ausiliario del vettore (non avendo quest’ultimo  affidato al terminalista le operazioni anteriori  all’imbarco che, a sua volta, non si era  impegnato ad eseguire nei confronti del caricatore) e che quindi potesse  beneficiare, in virtù dell’estensione operata in polizza dalla clausola Himalaya, del regime previsto dalla polizza di carico.  Anche la Corte di Appello, così come il Tribunale, ha però ritenuto che “l’accertamento relativo all’ambito della responsabilità assunta dal vettore con il contratto di trasporto riveste una portata dirimente, poiché dall’esito di siffatto accertamento dipende l’estensione, ovvero l’esclusione, dell’operatività della disciplina di polizza nei confronti del terminalista”. E’ dunque principio comune e condiviso quello secondo cui l’ Himalaya clause produrrà effetti soltanto qualora il vettore abbia espressamente assunto nei confronti del mittente/caricatore  l’obbligo di eseguire le attività delegate ed affidate a terzi soggetti. Una recente conferma sull’estensione dell’Himalaya clause in favore dell’operatore terminalista é stata fornita dal Tribunale di Napoli (05 aprile 2013) che ha stabilito come le condizioni di polizza risultano applicabili ad ogni “ausiliario, agente e subappaltatore” del vettore e che per subappaltatori devono intendersi anche gli operatori terminalisti e gli operatori del trasporto terrestre che siano stati “incaricati dal vettore di effettuare il trasporto e qualsiasi subappaltatore diretto o indiretto, ausiliari e agenti di questo, in diretto rapporto contrattuale o meno”. Da tali premesse il Tribunale ha quindi ricavato l’estensione al terminalista della clausola di deroga della giurisdizione apposta sul retro della polizza di carico.


avv.Andrea Tracci
Studio Legale TDP
SISTRI: SOLO PER I RIFIUTI PERICOLOSI ?
Non finisce mai di stupire la brutta storia del “Sistri”, il sistema di tracciabilità dei rifiuti, istituito nel 2009, ma mai divenuto operante, fino a che morte improvvisa lo ha colto nel sonno, a Ferragosto 2011, tra lo stupore generale, e per mano di una manovra di alleggerimento dello Stato (cfr. decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante “ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari”). Ancora più stupore tra gli operatori ha destato la legge di conversione (con modificazioni) della manovra (Legge 14 settembre 2011, n. 148, G.U. n.216 del 16-9-2011), che, il 17 settembre, ha letteralmente riportato in vita il Sistri, ripristinando, come se nulla fosse accaduto, il quadro normativo previgente. Ora, dopo varie proroghe della data in cui il sistema sarebbe dovuto entrare in vigore, nuovo colpo di scena: con il Decreto Legge 31 agosto 2013, n. 101, recante “Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni” (su G.U. Serie Generale n. 204 del 31-8-2013), entrato in vigore il 1° Settembre, é stata stabilita la tracciabilità solo per i rifiuti pericolosi. In particolare prevede l’art. 11 del predetto decreto che  "1.  Sono  tenuti  ad  aderire  al  sistema  di   controllo   della tracciabilità dei rifiuti  (SISTRI)  di  cui  all'articolo  188-bis, comma 2, lettera a), i produttori iniziali di  rifiuti  pericolosi  e gli enti o le imprese che raccolgono o trasportano rifiuti pericolosi a titolo professionale, o che effettuano operazioni  di  trattamento, recupero,  smaltimento,  commercio  e  intermediazione   di   rifiuti pericolosi, inclusi i nuovi produttori. Inoltre: “...Con uno o piu' decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio  e  del  mare,  sentiti  il  Ministro  dello  sviluppo economico e il Ministro delle infrastrutture e  dei trasporti,  sono specificate le categorie di soggetti  di  cui  al  comma  1,  e  sono individuate, nell'ambito degli  enti  o  imprese  che  effettuano  il trattamento dei rifiuti di cui agli articoli 23 e 35 della  direttiva 2008/98/CE, ulteriori categorie  di  soggetti  a  cui  e'  necessario estendere  il  sistema  di  tracciabilità   dei   rifiuti   di   cui all'articolo 188-bis.".   2. Per gli enti o le imprese che raccolgono o  trasportano  rifiuti pericolosi a titolo professionale, o  che  effettuano  operazioni  di trattamento, recupero, smaltimento, commercio  e  intermediazione  di rifiuti pericolosi, inclusi i nuovi produttori, il  termine  iniziale di operatività del SISTRI e' fissato al 1° ottobre 2013. 3. Per i produttori iniziali di rifiuti pericolosi, nonche'  per  i comuni e le imprese di trasporto dei rifiuti  urbani  del  territorio della regione Campania di cui al comma 4 dell'articolo  188-ter,  del d.lgs. n. 152 del  2006,  il  termine  iniziale  di  operatività  e' fissato al 3 marzo 2014, fatto salvo quanto disposto dal comma 8”. Che dire, un bel passo indietro. Del resto, proprio chi lo aveva soppresso da subito ne piangeva la scomparsa (specie alla Commissione Ambiente del Senato, che già nella prima seduta di discussione del disegno di legge di conversione A.S. n. 2887 votava un immediato parere favorevole al suo ritorno in vita).  Per la verità, le ragioni del rimorso apparivano da subito poco commendevoli, in quanto fondate su di una malcelata paura di dover restituire ai cittadini il maltolto. Non solo, e non tanto, quindi, per evitare procedure di infrazione per violazione della normativa comunitaria, quanto – riferiva letteralmente la stessa Commissione nel 2012, all’epoca della prima abrogazione – perché “…l'improvviso ritorno al vecchio sistema cartaceo rende elevato il rischio dell'attivazione di un contenzioso, dagli esiti imprevedibili, da parte di quanti – ovvero la stragrande maggioranza degli obbligati – hanno già sostenuto i costi necessari per adeguarsi per tempo al sistema SISTRI”. Ovvio che con una tale motivazione non si poteva sostenere la necessità del ritorno al vecchio Sistri! Ma che le cose dovessero andare diversamente era stato osservato da chi vi scrive in tempi non sospetti. Tutto, infatti, era nato da una malintesa interpretazione della legislazione comunitaria secondo cui saremmo obbligati a tracciare ogni genere di rifiuto. Al contrario, l’Articolo 17 (Controllo dei rifiuti pericolosi) della direttiva CE rifiuti (la 2008/98/CE) prevede la tracciabilità solo per i rifiuti pericolosi, non di tutti i rifiuti. Si riporta, per pronto riferimento, il testo integrale dell’articolo: “Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché la produzione, la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio e il trattamento dei rifiuti pericolosi siano eseguiti in condizioni tali da garantire la protezione dell’ambiente e della salute umana, al fine di ottemperare le disposizioni di cui all’articolo 13, comprese misure volte a garantire la tracciabilità dalla produzione alla destinazione finale e il controllo dei rifiuti pericolosi al fine di soddisfare i requisiti di cui agli articoli 35 e 36”. Del resto, evidentemente, non ha alcuna utilità sottoporre ad obblighi di tracciabilità un trasporto di cartone, di imballaggi di yogurt, o di laterizi di risulta. Specie, poi, se il materiale tossico, o radioattivo, viaggia su mezzi in conto proprio, se non addirittura su veicoli privati. E che senso può avere l’equiparare il rifiuto prodotto dall’estetista, o la lametta monouso utilizzata dal barbiere, al rifiuto ospedaliero? Risposta ovvia: nessuno. Ciò non toglie che vada restituito ai cittadini il maltolto. Non v’é, infatti, dubbio alcuno che lo Stato nella Sistri story si sia comportato, per sua stessa ammissione di oggi, in maniera irragionevole ed irresponsabile, non solo mal interpretando una norma comunitaria che non gli imponeva tali obblighi, ma anche mettendo in campo una normativa totalmente confusionaria e contraddittoria, che ha inutilmente comportato burocrazia per le imprese ed oneri a non finire (contributo di attivazione; spese di installazione dei dispositivi, spese del traffico dati della SIM, spese per formazione del personale, per consulenti, etc…), per approdare, ancora oggi, ad un nulla di fatto. Eppure il concetto di partenza era semplice: occorreva unicamente prevedere l’obbligo per le sole aziende di  trasporti pericolosi di dotarsi di un dispositivo elettronico per l’accesso in sicurezza dal proprio pc al portale del Ministero, in sostanza una chiavetta USB internet, che effettuasse la trasmissione e la memorizzazione dei dati e firmasse elettronicamente il tutto, così come previsto dall’art. 21 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82.  Anche ogni veicolo che trasportava tali rifiuti doveva dotarsi di un apparato con scheda SIM dati a trasmissione GPRS (chiuso in una scatola sigillata detta “black box”), installata presso officine autorizzate, che ne consentisse la tracciabilità e la verifica del percorso effettuato. Tutto qui: tracciabilità delle merci pericolose con tecnologia ormai comune. Come detto, nulla quindi da giustificare ben quindici provvedimenti di legge ed amministrativi, susseguitisi nel tempo in un continuo stillicidio di norme a singhiozzo talmente incerte da richiedere addirittura l’emanazione di un cosiddetto testo unico del Sistri (più ragionevolmente denominato nella stessa norma unico testo), che risolvesse i conflitti di norme e le antinomie venutesi via via a creare. Cioé sono state ripristinate per legge tutte le (più o meno) 15 norme, di vario rango, con le quali si doveva dare esecuzione ad una sola direttiva comunitaria (la surricordata direttiva rifiuti 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008). A tacere poi della ulteriore normativa sull’argomento interna allo stesso Ministero dell’Ambiente, coperta da segreto (più o meno) di Stato (nota prot. n. 008/TRI/DI/RIS del 21 aprile 2010; Decreto GAB/DEC/43/07 del 23 febbraio 2007, et similia), solo ora venuto meno (sempre per mano di un ulteriore decreto). E, sì, perché si annovera anche un decreto del Consiglio dei Ministri del 5 settembre 2008 con cui al Progetto istitutivo del SISTRI veniva attribuita la classifica di “segreto”, “in quanto incidente su questioni di interesse strategico nazionale e rilevanti per la sicurezza interna dello Stato” (cfr. al riguardo anche la nota prot. GAB-2010-0037374 del 26 novembre 2010 con cui il Capo di Gabinetto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare comunicava che la classifica del Progetto era di “segreto” e non di “segreto di Stato”).  Controversa é stata pure la vicenda del brevetto e del contratto di appalto avente ad oggetto la fornitura dello stesso sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti stipulato tra il Ministero dell’Ambiente e Selex (Gruppo Finmeccanica), già oggetto di ricorso al Tar da parte di alcune società di informatica che ne lamentavano l’affidamento senza gara, vicenda poi conclusasi con una sentenza di improcedibilità emessa dal Tar Lazio (n. 3926/2011). L'abolizione momentanea del Sistri ha comportato, inoltre, la (temporanea) indiretta abrogazione di alcune norme (articoli 3 e 4 e parte dell'art. 2) del decreto legislativo n. 121/2011 del luglio 2011 sulle sanzioni amministrative per i reati ambientali. Tali norme, pur non sapendolo, erano già morte (ma poi sarebbero rivissute). Dovevano infatti entrare in vigore il 16 agosto 2011 ma venivano soppresse tre giorni prima di tale data. Insomma una grande confusione, aggravata dal fatto che ora esiste pure il problema delle situazioni giuridiche (leggasi reati ambientali) medio tempore disciplinate dal Decreto Legge della prima abrogazione, che andrebbero in ogni caso regolate con apposita norma di sanatoria. In conclusione, il Decreto di agosto si é fatto attendere sin troppo tempo. Vedremo ora se la strada intrapresa proseguirà senza ulteriori incidenti di percorso.

avv. Francesca D’Orsi
Studio Legale D’Orsi               

La Marcatura CE nella nautica da diporto
In occasione del Convegno “Lo sviluppo della filiera nautica – questioni legali e fiscali” Viareggio 24 maggio 2013 ho esposto alcune considerazioni che ritengo utile riproporre a coloro i quali non hanno avuto modo di partecipare. Le unità da diporto natanti e imbarcazioni fino al 16.6.1998 venivano costruite e abilitate alla navigazione sulla base dei criteri tecnici e la normativa di cui alla legge 11.2.1971, n. 50 e successive modificazioni. Dal 17.6.1998 é entrata in vigore la Direttiva 94/25/CE (attuata con D.Lvo 436/96 modificato dal D.Lvo 205/97 e dalla legge 413/98 e poi successivamente modificata dalla direttiva 2003/44/CE e confluita nel D.Lgs 8 luglio 2005, n. 171 c.d. Codice della Nautica da diporto) che ha introdotto l’obbligo della marcatura CE nelle “imbarcazioni” aventi una lunghezza compresa tra m 2,50 e m 24. La direttiva 94/25/CE rientra tra le direttive del nuovo approccio alla regolamentazione dei prodotti e all'approccio globale alla valutazione della conformità. Per effetto di tale normativa, a partire dal 17.06.1998, le unità da diporto di nuova costruzione, per poter essere commercializzate nell'ambito del territorio comunitario, indipendentemente dal Paese in cui é avvenuta la costruzione, devono riportare la Marcatura CE. Non é importante il Paese (comunitario o terzo) in cui é avvenuta la costruzione ma é rilevante che l’imbarcazione abbia i requisiti previsti dalla Direttiva ed attestati con la sigla CE. La filosofia del nuovo approccio é basata sulla libera circolazione dei beni, oltre che delle persone e dei servizi. Per tale motivo, oggi, nessuno Stato dell'Unione Europea può impedire l'ingresso sul proprio territorio di un prodotto marcato CE né può rifiutare la sua commercializzazione, a meno che non si voglia far ricorso alla clausola di salvaguardia qualora nasca il sospetto che tale prodotto non sia effettivamente realizzato in modo da non mettere in pericolo la sicurezza e la salute delle persone o dell'ambiente. La clausola di salvaguardia é disciplinata in generale dalla decisione 93/465/CEE e le sue prescrizioni sono riportate in tutte le direttive del nuovo approccio, nella direttiva 94/25/CE la clausola di salvaguardia é prevista all’art. 7. Essa si applica ai prodotti di consumo non conformi alla regolamentazione comunitaria o nazionale e che rischiano di compromettere la salute e la sicurezza dei consumatori; non é necessario che i prodotti in questione costituiscano un pericolo grave e immediato, né che vi sia una procedura equivalente sul piano comunitario per limitarne o vietarne la commercializzazione. Ciascuno Stato membro può adottare misure restrittive nei confronti dei prodotti considerati insicuri, informando immediatamente la Commissione cui spetta l'emissione di un parere sull'opportunità delle misure adottate. Si tratta quindi di un mezzo che consente di invalidare la presunzione di conformità di cui beneficiano i prodotti con marchio CE.  Ogni unità da diporto marcata CE deve avere, fissate sullo scafo e separate fra loro, la marcatura con il Numero d’identificazione (codice del costruttore; paese di costruzione; numero di serie (unico); anno di costruzione; anno del modello) e la Targhetta del Costruttore (nome del costruttore; marcatura CE; categoria di progettazione (A, B, C o D); portata massima consigliata dal costruttore (pesi a bordo); numero di persone, raccomandato dal fabbricante, per il cui trasporto l’unità é stata concepita). I natanti costruiti secondo le prescrizioni tecniche della Direttiva dell'Unione Europea 94/25/CE come modificata dalla direttiva 2003\44\CE e trasfusa nel codice della nautica da diporto si dividono in 4 categorie di costruzione. Categoria di progettazione A: possono navigare senza alcun limite dalla costa con qualsiasi condizione meteomarina; Categoria di progettazione B: con vento fino a forza 8 (burrasca) e onde di altezza significativa fino a 4 metri (mare agitato); Categoria di progettazione C: con vento fino a forza 6 (vento fresco) e onde di altezza significativa fino a 2 metri (mare molto mosso); Categoria di progettazione D: con vento fino a forza 4 (vento moderato) e onde di altezza significativa fino a 0,30 metri. Le quattro categorie di costruzione sono stabilite in funzione della forza del vento e dell'altezza significativa delle onde che l'unità é idonea ad affrontare. Le unità con "marchio CE", a differenza di quelle costruite secondo i criteri e i requisiti tecnici della previgente legge 11.2.1971, n. 50 e successive modificazioni, possono navigare a qualsiasi distanza dalla costa, purché nel corso della navigazione vengano rispettati i limiti delle condizioni meteo-marine stabilite per la categoria assegnata dal costruttore. La normativa della Direttiva 94/25/CE  non si applica: a) alle navi da diporto (unità superiori a m 24 fuori tutto). Tali unità in attesa di una normativa specifica continuano a essere costruite secondo le norme tecniche in vigore nei singoli Paesi dell'Unione. b) alle unità inferiori a m 2,50; c) alle unità da diporto destinate a regate, comprese quelle a remi e per l'addestramento al canottaggio, qualificate come tali dal costruttore: queste comprendono le canoe da gara e le altre barche progettate esclusivamente per gare e competizioni. L'esclusione dalla Direttiva di tali unità é stata ideata tenendo conto che taluni progetti di costruzione sono estremamente arditi quindi sarebbe molto difficile adottare parametri tecnici di costruzione comune (si pensi agli offshore); d) canoe, kayak, gondole, pedalò, sommergibili, tavole a vela, veicoli a cuscino d'aria e aliscafi.. e) le moto d'acqua, le tavole a motore e unità similari. f) originali e singole riproduzioni di unità storiche, progettate prima del 1950, ricostruite principalmente con i materiali originali e classificate in tale senso dal costruttore. Secondo le disposizioni comunitarie tali unità si considerano storiche quando hanno le connotazioni specifiche di un'epoca, sono conformi al progetto originale e conservano le loro caratteristiche tecniche e il fascino estetico. Il materiale usato deve essere quello originale ma per la costruzione dello scafo può essere impiegato il compensato, in luogo del legno massiccio, i telai in laminato, gli adesivi, le pitture, i sigillanti e i componenti per il fissaggio dell'ultima generazione. Non é consentita la riproduzione mediante stampi. Tra le barche storiche si possono annoverare: le gondole, il bragozzo, la tartana ecc., ampiamente conosciute dall'arte marinaresca e risalenti a epoche remote. g) le unità da diporto sperimentali, sempreché non vi sia una successiva immissione sul mercato comunitario.  h) le unità costruite per uso proprio e non immesse sul mercato comunitario per un periodo di cinque anni dalla loro messa in servizio. Chi intende realizzare la propria barca deve acquistare i materiali direttamente dal libero mercato. Non é escluso tuttavia che nel corso dell'allestimento ci si possa avvalere dell'opera di personale specializzato per gli impianti elettrici ed elettronici di bordo. Deve essere comunque chiaro che in presenza di un accordo contrattuale con un cantiere o singolo costruttore, per realizzare una singola unità o anche una sola parte di essa, l'unità ricade nella Direttiva e quindi deve soddisfare i relativi requisiti di valutazione di conformità. Le imbarcazioni usate - senza marchio CE - già iscritte nei registri in un Paese dell'U.E. alla data del 16 giugno 1998, possono continuare a essere commercializzate nell'ambito del territorio comunitario e trasferite in Italia per essere iscritte nei registri delle imbarcazioni da diporto.

MARCATURA CE
La marcatura CE é un’attestazione di conformità del prodotto alle direttive a esso applicabili. Significa che il prodotto corrisponde a determinati requisiti di sicurezza per le persone, i beni, gli animali e talvolta anche a esigenze di carattere ambientale, o di interesse pubblico. Questi requisiti sono definiti requisiti essenziali e sono stabiliti da direttive europee di armonizzazione, applicabili in tutti i Paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo (SEE) costituito dai 27 Paesi membri dell’Unione europea + Norvegia, Islanda e Liechtenstein. Significa anche che la conformità del prodotto ai requisiti essenziali é stata valutata dal fabbricante attraverso procedure specifiche (procedure di verifica della conformità), il cui contenuto é specificato dalle singole direttive di armonizzazione. Anche se richiama le iniziali di Comunità Europea, il CE non é una sigla (e infatti non deve essere utilizzato con i punti dopo la C e la E). Non é un’indicazione di origine: i prodotti marcati CE possono infatti provenire anche da Paesi extra-UE. Non é neanche un marchio di qualità: il simbolo CE non fornisce alcuna indicazione sulla qualità di un prodotto, ma significa semplicemente che il prodotto risponde ad alcune prescrizioni in materia di sicurezza. Il CE  Segnala ai consumatori o agli utilizzatori professionali che il prodotto risponde ai requisiti essenziali Permette ai prodotti marcati di circolare liberamente nello Spazio Economico Europeo. la marcatura CE é apposta dal fabbricante ovvero il principale responsabile dell’immissione sul mercato di prodotti sicuri (e della conseguente apposizione della marcatura CE, quando richiesta) é il fabbricante, in quanto figura che meglio conosce le modalità con cui il prodotto é stato progettato e realizzato.  il prodotto deve essere obbligatoriamente marcato CE quando é incluso nel campo di applicazione di una direttiva che ne prevede l’apposizione il prodotto non può essere marcato CE se non rientra tra quelli oggetto di una direttiva che ne dispone l’apposizione. Se il prodotto rientra nel campo di applicazione di più direttive che ne prevedono l’apposizione, dovrà essere apposta una sola marcatura CE, che indicherà che il prodotto é conforme a tutte le direttive applicabili.

avv. Daniela D’Alauro
Studio Legale Turci
Le nuove note dell’AIDA.
Negli ultimi mesi l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha emanato diverse note con cui ha dato nuovo impulso al proprio sistema informativo denominato AIDA (“Automazione Integrata Dogane Accise”).   L’AIDA, operativo dal novembre 2003, é volto ad incrementare la digitalizzazione e la semplificazione delle procedure nei settori delle dogane e accise, supportando tra l’altro lo sdoganamento telematico delle merci.   All’interno dell’AIDA sono ricompresi diversi progetti, tra cui alcuni nazionali e alcuni di derivazione Europea. Tra questi ultimi rientra l‘EMCS (“Excise Movement Control System”), sistema informatizzato europeo che permette di controllare i movimenti tra gli Stati membri dei prodotti in sospensione d’accisa (alcool e bevande alcooliche, vino, tabacchi e prodotti energetici) in regime sospensivo.   L’EMCS é stato introdotto a seguito della Decisione n. 1152/2003/CE, che aveva evidenziato la necessità di predisporre nell’ambito dell’UE un sistema di controllo informatico dei movimenti dei prodotti soggetti ad accisa.   La scopo di tale sistema era, da un lato, permettere agli Stati membri di essere informati in tempo reale in ordine ai suddetti movimenti, con la possibilità di effettuare i controlli prescritti; dall’altro, semplificare la circolazione intracomunitaria di tali prodotti.   La Direttiva 2008/118/CE ha ritenuto opportuno utilizzare il sistema informatizzato istituito dalla Decisione n. 1152/2003/CE al fine di garantire la riscossione dell'imposta alle aliquote fissate dagli Stati membri.   Tale sistema infatti permette di accelerare l'espletamento delle formalità necessarie e nello stesso tempo facilita il monitoraggio della circolazione dei prodotti sottoposti ad accisa in sospensione dall'accisa.   La direttiva 2008/118/CE ha stabilito che la circolazione dei prodotti sottoposti ad accisa é considerata aver luogo in regime di sospensione dall'accisa soltanto se avviene sotto la scorta di un documento amministrativo elettronico.   In attuazione di tale direttiva l’EMCS ha previsto, per i movimenti tra gli Stati membri dei prodotti in sospensione d’accisa in regime sospensivo, la sostituzione del Documento Amministrativo di Accompagnamento (c.d. DAA) in formato cartaceo con un messaggio elettronico, consentendone così il controllo in tempo reale.    All’interno di tale panorama si collocano i diversi interventi estivi dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di natura squisitamente tecnica volti a proseguire il percorso per la completa digitalizzazione dei processi doganali.   Con la nota Prot. 56273/RU del 20 giugno 2013, l’Amministrazione ha introdotto nuove funzionalità in AIDA per lo scarico automatico delle partite “A3”, anche generate dal messaggio AP, a seguito di una dichiarazione sommaria di uscita (EXS) o di un manifesto merci in partenza (MMP).   La nota rende operativi i nuovi tracciati record dei messaggi “AP” e “RETAP”, già presenti in ambiente di addestramento, in vista del rilascio in ambiente di esercizio dei nuovi sviluppi riguardanti la generazione delle “schede partita” delle merci pervenute in transito NCTS e NCTS/TIR e la gestione automatizzata dello scarico delle medesime partite.    Con la nota Prot. 84219/RU del 10 luglio 2013 a seguito degli adeguamenti apportati al sistema AIDA per l’estensione dello Sportello unico doganale alle procedure domiciliate, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli rende operativa a partire dal 23 luglio 2013 una nuova banca dati delle autorizzazioni alla procedura domiciliata/semplificata. Da tale data l’Amministrazione richiede che vengano indicati nelle dichiarazioni doganali in procedura domiciliata/semplificata i nuovi codici autorizzazione e i nuovi codici luogo, già comunicati ai titolari delle autorizzazioni dagli Uffici territoriali.  Con la nota Prot. 43197/RU del 6 agosto 2013, vengono introdotti nuovi controlli nell’ambito dell’invio telematico dei dati della contabilità. La nota é stata emessa dall’Amministrazione sia per prevenire errori di compilazione sia per ridurre il contenzioso e le relative sanzioni.   In particolare l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha istituito nuove procedure di controllo volte a garantire la conformità delle informazioni trasmesse con l’invio telematico dei dati della contabilità a quelle acquisite nell’ambito del sistema EMCS, delle operazioni doganali, dell’anagrafica accise e dei contrassegni di Stato.   Per tale motivo sono stati codificati nuovi tipi di documenti ed introdotti nuovi campi per il trattamento dei nuovi tipi di documenti e dei relativi controlli.   La nota contiene l’elenco dei nuovi tipi di documenti distinti tra spedizione di merci in regime di accisa sospesa e ricezione di merci in regime di accisa sospesa.   Le modifiche introdotte dalla suddetta nota si applicheranno in ambiente di addestramento dal 1° ottobre 2013; da tale data in ambiente di addestramento saranno operativi esclusivamente i nuovi tracciati, mentre in ambiente di esercizio le informazioni dovranno essere trasmesse utilizzando i vecchi tracciati sino alla data di estensione in ambiente di esercizio.    L’Agenzia delle Dogane invita gli operatori a condurre con urgenza la fase di test in ambiente di addestramento, al fine di procedere all’estensione in ambiente di esercizio il più presto possibile e comunque non oltre il 2 dicembre 2013, in quanto l’estensione in esercizio costituisce un presupposto per l’avvio della sperimentazione operativa della scritturazione telematica dei registri (c.d. progetto RE.TE.). Anche con la recentissima nota Prot. 103595/RU del 4 settembre 2013, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli istituisce nuove funzionalità in AIDA.   In particolare viene introdotto un nuovo layout del prospetto di svincolo rilasciato agli operatori economici, concertato con il Comando Generale della Guardia di Finanza, allo scopo di agevolare e velocizzare il riscontro della merce in uscita dagli spazi doganali.   Nel nuovo prospetto di svincolo sono riportati, tra l’altro, nome e cognome del funzionario che ha effettuato il calcolo del codice di svincolo, ad eccezione di alcuni casi, ossia codice di svincolo calcolato automaticamente dal sistema (ad es. dichiarazioni domiciliate in sdoganamento telematico selezionate "CA" e/o dichiarazioni rientranti nel flusso dello Sportello Unico) e codice di svincolo calcolato contestualmente alla registrazione di una dichiarazione acquisita manualmente dall’ufficio doganale, in cui é riportato il nome e cognome del soggetto che ha effettuato la registrazione della dichiarazione.   Al fine di ridurre i tempi di rilascio del prospetto, é stato inserito il tasto "Stampa dati svincolo" nelle funzionalità di “convalida” e di “calcolo del codice di svincolo”.   In particolare, nella funzione di convalida sono disponibili due tasti:  "stampa dati svincolo", presente per ogni dichiarazione da convalidare, che permette la stampa del relativo prospetto di svincolo, e "stampa dati svincolo bollette", presente in calce alla maschera, che permette la stampa del prospetto di svincolo per tutte le dichiarazioni selezionate per la convalida e per le quali é stato già calcolato il codice di svincolo.   Le modifiche introdotte dalla suddetta nota sono disponibili in ambiente di esercizio già dal 10 Settembre 2013.

avv. Margherita Pace
Studio Legale TDP
Risarcimento per ritardo del treno?
Con la sentenza n. 20851 del 12 settembre scorso il Giudicedi Pace di Roma – Dott. Longo si é pronunciato su una richiesta di risarcimento danni formulata da un utente-viaggiatore nei confronti di Trenitalia per il ritardo di un convoglio ferroviario. La predetta sentenza risulta particolarmente interessante poiché rappresenta la prima pronuncia in Italia favorevole al viaggiatore che subisce un ritardo c.d. ‘disinformato’ e perché incide sulle norme particolari di limitazione di responsabilità del vettore ferroviario in tema di trasporto di persone. Le condizioni generali di Trenitalia, anche da ultimo approvate, infatti, prevedono al capitolo 7 alcune limitazioni di responsabilità e ciò con riferimento al R.D.L. 11 ottobre 1934, n. 1948, convertito in legge 4 aprile 1935, n. 911 e successive modificazioni. Il caso trattato dal Giudicedi Pace di Roma, in particolare, concerne un Avvocato che, nella mattina del 13 settembre 2009, dovendosi recare nei dintorni di Milano per presenziare ad una importante udienza, decideva di servirsi del collegamento Roma Termini – Aeroporto di Fiumicino (linea FR1) dove si sarebbe poi imbarcato su un volo diretto alla destinazione finale. Il malcapitato si presentava alla stazione di Roma - Trastevere dove aspettava il treno, invano, senza alcuna indicazione di ritardo sul relativo cartellone e, quindi, senza alcuna informativa in merito. Anche il personale di Trenitalia, presente il loco, interpellato in merito al ritardo non aiutava, o non poteva aiutare, in alcun modo l’utente, che perciò rimaneva in vana attesa del convoglio. Ovviamente ciò comportò la perdita del velivolo prenotato con destinazione finale Milano e l’impossibilità di presenziare all’udienza prestabilita. Con atto di citazione veniva quindi richiesto al Giudicedi Pace di Roma di pronunciarsi valutando il comportamento messo in atto dal vettore ferroviario ed in particolare con riferimento all’art. 1681 c.c. in tema di ritardo nell’esecuzione del trasporto di persone sotto il duplice profilo dell’inesatto adempimento e della condotta contraria alla buona fede nell’esecuzione del contratto. Veniva altresì rimarcata la mancanza di offerta informativa all’utente/consumatore a causa della quale, secondo l’Attore, era stato irrimediabilmente pregiudicato il diritto del viaggiatore di valutare altre soluzioni per raggiungere l’Aeroporto di Roma. La richiesta risarcitoria, rivolta al Giudicedi Pace da parte Attrice, annoverava tra le voci indicate sia il prezzo del biglietto aereo sia la perdita del compenso professionale per mancata partecipazione all’udienza sia un modesto risarcimento per danno non patrimoniale relativo alla preoccupazione di non poter raggiungere in tempo il luogo di lavoro. Con la sua costituzione Trenitalia eccepiva in primis la non applicabilità dell’art. 1680 e ss. c.c. al caso concreto, stante la deroga prevista dalla legge speciale n. 911 del 1935 (di conversione del R.D.L. n. 1949 dell’11.10.1934) in materia di trasporto ferroviario che sottrarebbe le Ferrovie dello Stato e, quindi, Trenitalia, alla responsabilità di diritto comune. Sosteneva, inoltre, il vettore che l’informativa relativa alle condizioni generali di trasporto erano ben fruibili dall’utente sia sul sito internet dell’azienda che nelle affissioni in stazione. Effettivamente la risalente normativa citata prevede che il risarcimento del danno in favore del viaggiatore sia contenuto (artt. 10 e 11): in caso di ritardi ed interruzioni "il viaggiatore ha diritto al risarcimento del danno derivatogli dal ritardo, dalla soppressione del treno, da mancata coincidenza, da interruzioni, soltanto nei casi e nei limiti previsti dagli articoli 9 e 10, qualunque sia la causa dell’inconveniente che dà luogo alla domanda di indennizzo" laddove l’articolo 10 fa riferimento soltanto al rimborso, totale o parziale, del biglietto.  Il Giudicedi Pace di Roma, tuttavia, ha accolto la richiesta risarcitoria formulata da parte dell’utente e disatteso le doglianze mosse da Trenitalia e ciò in base al fatto che l’inadempienza commessa dal vettore non é riferibile alle conseguenze del ritardo ma, più propriamente, alla inesistenza di informativa all’utenza. E, infatti, nella motivazione si legge che: ‘il giudicante ritiene accoglibile la domanda dell’attore non tanto per la circostanza che il treno ha subito un ritardo ed in quanto tale non ha consentito al viaggiatore di recarsi puntualmente all’aeroporto, quanto al fatto che il viaggiatore non sia stato avvertito della esistenza dei ritardi … e non abbia potuto utilizzare altro mezzo, quale il taxi, per raggiungere tempestivamente l’aeroporto’. Il Giudicedi Pace, quindi, supera la limitazione di responsabilità prevista a favore del vettore, concentrando la sua pronuncia sulla mancanza di doverosa informazione al viaggiatore in ordine al ritardo dei treni. Non una pronuncia sulla risarcibilità o meno del ritardo e delle conseguenze che da esso possono derivare (su cui comunque esistono sentenze favorevoli all’utenza – p. es. Giudicedi Pace di Bari del 24 maggio 2006 n. 3808), quanto sulla negligenza posta in essere dall’azienda nel non fornire adeguata informativa ai consumatori.

avv. Daniela Aresu
Studio Legale Aresu
La normativa
LEGGE 6 agosto 2013, n. 97.
Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013. (G.U. 20 agosto 2013, n. 194). La legge approvata rappresenta applicazione dei nuovi strumenti di adeguamento alla normativa comunitaria introdotti dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, in G.U. 4 gennaio 2013, n. 3), e più specificamente dagli artt. 29 e 30 (Legge di delegazione europea e Legge Europea). Ai fini che qui interessano , rilevano: L’art. 8, in materia di tassazione di aeromobili, laddove prevede l’applicabilità dell'imposta di cui al comma 11, art.165 D.L. 6/12/2011, n.98 (imposta erariale) anche agli aeromobili non immatricolati nel Registro aeronautico nazionale tenuto dall'ENAC, la cui permanenza nel territorio italiano si protragga per una durata anche non continuativa superiore a sei mesi nell'arco di dodici mesi. L’art.11 (Disposizioni volte al corretto recepimento della direttiva 1999/63/CE relativa all'accordo sull'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare. Caso EU Pilot 3852/12/EMPL.) , che reca modifiche al D.Lgs 271/99 al fine di garantire maggiore tutela della salute e sicurezza dei lavoratori marittimi. L’obiettivo é il corretto recepimento  della Direttiva del Consiglio relativa all'accordo sull'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare concluso dall'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori dell'Unione europea (FST). L’art. 28, relativo alle indagini sugli incidenti ferroviari, che trasforma in un’attività di coordinamento anziché di subordinazione il rapporto tra organismo d’indagine del Ministero dei Trasporti e l’Autorità Giudiziaria.

Accordi Internazionali
Informazione relativa all’entrata in vigore del protocollo di attuazione della convenzione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti (protocollo sui trasporti) (GUUE L206 del 2/8/2013)
 Entrata in vigore 25 settembre 2013
Il Consiglio dell’Unione europea, approvando una proposta della Commissione del 2008 e sostenuto dal Parlamento europeo, ha ratificato il Protocollo Trasporti della Convenzione delle Alpi.
La convenzione delle Alpi é un trattato internazionale sottoscritto dai Paesi alpini (Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein,Monaco, Slovenia e Svizzera) edall’Unione Europea con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile e tutelare gli interessi della popolazione residente, tenendo conto delle complesse questioni ambientali, sociali, economiche e culturali. I protocolli contengono misure specifiche di attuazione dei principi previsti dalla Convenzione
quadro e le iniziative concrete da intraprendersi per la protezione e lo sviluppo
sostenibile delle Alpi. Tra i vari Protocolli, il Protocollo Trasporti é un importante strumento di tutela della particolarità ambientale delle Alpi e di promozione della mobilità sostenibile. Tra le finalità, quella di garantire il traffico intraalpino e transalpino incrementando l'efficacia e l'efficienza dei sistemi di trasporto e favorendo i vettori meno inquinanti e con minore consumo dirisorse ad un costo economicamente sopportabile. Questo non soltanto nell’ambito del sostegno finanziario ai corridoi ferroviari trans-europei, ma anche in relazione alle misure che contribuiscono alla riduzione dell’impatto ambientale dei trasporti e alla razionalizzazione della mobilità attraverso e all’interno delle Alpi.

Direttiva 2013/38/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 agosto 2013, recante modifica della direttiva 2009/16/CE, relativa al controllo da parte dello Stato di approdo (GUUE L218/I del 14/8/2013)  La Direttiva 2009/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sul controllo dello Stato di approdo rifonde, in un testo consolidato, le successive modifiche apportate alla Direttiva 95/21/CE, semplificandone e modificandone talune disposizioni, allo scopo di migliorare l’efficacia e la qualità delle ispezioni delle navi da parte dello Stato di approdo, rafforzando la lotta contro le navi al di sotto delle norme che navigano nelle acque comunitarie. La modifica  si é resa necessaria al fine di garantire l’ottemperanza e la maggiore aderenza alle disposizioni della Convenzione sul Lavoro Marittimo del 2006, Convenzione adottata al fine di creare un unico strumento coerente che incorpori, nella misura del possibile, tutte le norme più aggiornate delle convenzioni e raccomandazioni internazionali vigenti sul lavoro marittimo, nonché i principi fondamentali di altre convenzioni internazionali sul lavoro.

Commissione Europea COM 2013 (296 FINAL)
Proposta di regolamento per l’accesso al mercato dei servizi portuali  e la trasparenza finanziaria dei Porti
Il 23 maggio 2013 la Commissione dell’Unione Europea ha annunciato, per il tramite del suo Vice Presidente Kallas, la pubblicazione di una proposta di regolamento  sull’accesso al mercato dei servizi portuali e la trasparenza finanziaria dei porti unitamente ad una comunicazione in materia di ports policy. Non é la prima volta che l’Unione Europea tenta di disciplinare il mercato dei servizi portuali. Già in passato (2001 e 2004) furono fatti svariati tentativi per l’emanazione di una  direttiva sui l’armonizzazione dei detti servizi ma, é il caso di dire, non é mai arrivata in porto …… Il discorso oggi si ripropone, ma con uno strumento normativo diverso, e certamente più incisivo nei singoli ordinamenti interni: il regolamento. Non si dimentichi infatti che il regolamento, a differenza della direttiva, sarebbe immediatamente applicabile negli stati membri, non necessitando di alcun atto di adeguamento o ricezione interna da parte dello stato membro. Da qui le prime perplessità in merito alla opportunità di un livellamento di una disciplina che presenta le sue specificità nei singoli stati e la cui adozione non può prescindere da adeguate valutazioni in termini di sicurezza. L’altra particolarità é che i destinatari della proposta saranno solo i Porti inseriti nelle Reti TEN-T (Trans european Network), i quali verranno sempre più valorizzati come punti di snodo e destinatari dei finanziamenti pubblici. L’aspetto nuovo é invece rappresentato dall’aver affrontato, seppure per grandi linee, il tema ormai centrale dell’autonomia finanziaria dei porti. L’iniziativa rientra nell’azione chiave sul trasporto marittimo che figura nell’Atto per il mercato unico II che la Commissione ha adottato nell’ottobre 2012; essa integra altre iniziative della Commissione, tra cui la futura direttiva sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (che si applicheranno alle concessioni nei porti per quanto riguarda la movimentazione di merci e i terminali passeggeri) che istituisce procedure comuni e introduce maggiore trasparenza per assicurare procedure di aggiudicazione non discriminatorie. L’iniziativa comprende anche una comunicazione che passa in rassegna la politica europea in materia portuale e annuncia otto azioni della Commissione e una proposta legislativa al Parlamento europeo e al Consiglio volta a introdurre le disposizioni legislative necessarie a conseguire gli obiettivi fissati.Il regolamento si applica solo ai porti TEN-T nella consapevolezza che alcuni problemi relativi alloro sviluppo rimangono irrisolti.  Vi é la consapevolezza che non tutti i porti Ten-T offrono lo stesso livello di servizi e che, a volte, le politiche portuali non sono sempre attraenti per gli investitori in quanto: 1) molti dei servizi portuali sono caratterizzati da restrizioni nell’accesso al mercato; 2) i diritti, speciali o esclusivi, sebbene giustificati in svariate situazioni, possono portare ad abusi; 3) gli utenti portuali spesso devono confrontarsi con troppi intoppi burocratici. A queste criticità tenta di dare risposte la Proposta di regolamento. Il regolamento si applicherà ai seguenti servizi (ART.2): a)bunkeraggio; b) movimentazione merci; c)dragaggio ; d)ormeggio; e) servizi ai passeggeri; f) impianti portuali di raccolta rifiuti; g) pilotaggio; h) rimorchio. Manca il battellaggio. Il problema delle liberalizzazioni e dell’accesso al mercato dei servizi portuali non esclude  le limitazioni e la configurazione di restrizioni collegate ad esigenze di spazi/e o di interesse pubblico, con il potere delle autorità di ridurre il numero dei prestatori o di prevedere monopoli. Il tutto conformemente a procedure di selezione trasparenti, pubbliche, e non discriminatorie (art.7), i cui requisiti troveranno poi migliore esplicazione nella emanata Direttiva sulle concessioni e sulle pubbliche forniture, anche per ciò che riguarda la determinazione del valore soglia del contratto, della durata massima del contratto, delle procedure di gara e di assegnazione da seguire.  Altra componente importante della Proposta é la trasparenza finanziaria, al fine di garantire la tracciabilità delle risorse pubbliche investite nei porti. Infine, la composizione degli organi delle autorità Portuali (art.15). E’ prevista infatti la costituzione di un comitato degli utenti del Porto aventi funzione consultiva, con conseguente revisione delle attuali commissioni consultive e dei Comitati Portuali. Anche la creazione di un’autorità indipendente  di supervisione potrà comportare un ripensamento del ruolo e dei poteri delle attuali Autorità Portuali (art.17).

avv. Fabio Pieroni           
Studio Legale Siccardi Bregante & C.
Il caso Dc Merweston
Il 28.1.2010, mentre si trovava in navigazione al largo delle coste della Polonia, la m/n DC Merwestone, partita da Klaipeda (Lituania) con un carico di rottami di ferro destinati a Bilbao (Portogallo), subiva un allagamento della sala macchine tale da danneggiare l’apparato motore e costringere gli armatori a reclamare agli Assicuratori Corpo & Macchina della nave l’indennizzo di Euro 3.241.310,60 per la sostituzione del motore e del riduttore. Gli assicuratori contestavano la ricorrenza di una perdita indennizzabile a termini di polizza e la controversia veniva portata dinnanzi alla Commercial Court. La vertenza é stata decisa, con recente pronuncia, in favore degli Assicuratori Corpo & Macchina (Versloot Dredging BV+1/HDI Gerling Industrie Versicherung AG + 6; consultabile all’indirizzo http://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/Comm/2013/1666.html). I fatti possono sintetizzarsi come segue. La nave era giunta a Klaipeda il 21.1.2010 per scaricare una partita di soya e caricare rottami di ferro. Le temperature esterne oscillavano tra -10° C e – 35 ° C. Per procedere alla discarica l’equipaggio aveva dovuto picchettare il ghiaccio che si era formato sui portelloni dei boccaporti che aveva poi risciacquato con acqua di mare. A tal fine era stata utilizzata la pompa antincendio di emergenza (sita nel locale elica di manovra di prua c.d. bowthruster). Effettuata tale operazione, l’equipaggio ometteva di chiudere la presa a mare e di drenare la pompa antincendio. Nella mattinata del 28.1.2010, terminata la caricazione, la nave lasciava Klaipeda per Bilbao. Nella serata di quello stesso giorno il personale di macchina notava la presenza di acqua sotto al pagliolo del locale apparato motori con livello in aumento. Veniva, quindi, dato ordine all’equipaggio di azionare le pompe delle sentine e nel frattempo veniva lanciato il segnale di distress. Nonostante i tentativi di utilizzare le pompe il livello dell’acqua continuava a salire e non risultava possibile individuare la causa dell’ingresso ritenuta dall’equipaggio trovarsi in sala macchine. Si tentava di utilizzare anche la pompa della zavorra provocando un’apertura nella relativa linea affinché fungesse da aspirazione dell’acqua; una soluzione che avrebbe effettivamente potuto compensare l’allagamento se ciò non fosse risultato impossibile a causa di uno straccio finito nella linea della zavorra che ne aveva bloccato il funzionamento. Il comandante decideva, così, di appoggiare verso le coste polacche per spiaggiare eventualmente la nave ed evitarne l’affondamento. La navigazione proseguiva in tali condizioni sino alle 02:46 del 29.1.2010 allorché il motore veniva completamente sommerso dall’acqua e si fermava lasciando nave ed equipaggio alla deriva. La “DC Merwestone” veniva raggiunta dai soccorsi nella mattinata del 29.1.2010 e rimorchiata a Gdynia dove, svuotata l’acqua dalla sala macchine, si poteva accertare che, contrariamente a quanto si era inizialmente creduto, non vi erano vie d’acqua nel locale motore. La nave veniva successivamente trasferita a Bremerhaven per riparazioni e, poiché il motore era irrimediabilmente danneggiato, si procedeva alla sostituzione di macchina e riduttore. L’origine dell’incidente veniva successivamente individuata nella formazione di ghiaccio all’interno della pompa antincendio di emergenza non drenata dall’equipaggio dopo l’utilizzo a Klaipeda. Il congelamento dell’acqua rimasta nella pompa ed il relativo aumento di volume conseguente alla formazione di ghiaccio aveva, infatti, provocato fratture sul corpo della pompa e del relativo filtro. Nessun allagamento si era verificato in porto perché il ghiaccio aveva impedito all’acqua di mare di entrare ma, dopo aver lasciato Klaipeda ed al passaggio della nave in acque più calde, il ghiaccio formatosi nella pompa e nel filtro aveva cominciato a sciogliersi consentendo l’ingresso di acqua nel locale bowthruster attraverso le fratture provocatesi sull’impianto della pompa antincendio  rimasta in collegamento con il mare tramite la presa lasciata aperta. L’equipaggio avrebbe dovuto essere avvisato da apposito allarme ma ciò non era avvenuto. L’acqua, entrata così nel locale dell’elica di manovra a prua, era da lì fluita attraverso un tunnel (non sigillato alle estremità) che conteneva cablaggi, corrente lungo la linea di chiglia ed in collegamento diretto con la sala macchine provocando l’allagamento di quest’ultima. La catena degli avvenimenti veniva, quindi, così ricostruita dalla sentenza: (1) Negligenza dell’equipaggio per non aver drenato la pompa antincendio di emergenza utilizzata a Klaipeda per rimuovere il ghiaccio dai portelloni e per non aver chiuso la presa a mare della pompa  consentendo, da un lato, così all’acqua contenuta all’interno della pompa e del filtro di ghiacciare provocando conseguenti fratture nell’impianto dovute all’espansione del volume e, dall’altro, all’impianto di restare in collegamento diretto con il mare.  (2) Innavigabilità per non essere il locale bowthruster stagno in conseguenza dei danni subiti dalla pompa e dal filtro per effetto del ghiacciamento dell’acqua e per essere rimasta aperta la presa a mare della predetta pompa. (3) Ingresso di acqua di mare nel locale bowthruster non appena il ghiaccio nella pompa antincendio di emergenza aveva cominciato a sciogliersi. (4) Mancanza di tenuta stagna di vari passaggi ed in particolare del tunnel dei cablaggi che aveva consentito all’acqua di passare dal locale dell’elica di manovra di prua direttamente alla sala macchine. (5) Lo stato difettoso del sistema pompe in sala macchine. Benché l’equipaggio si fosse accorto tempestivamente della presenza di acqua in sala macchine ed il sistema di pompaggio potesse teoricamente fare fronte all’allagamento ciò era risultato impossibile con conseguente danneggiamento del motore principale. La nave era assicurata con polizza su base Institute Time Clauses – Hulls 1.10.83 e Institute Additional Perils Clauses. La domanda dell’assicurato era incentrata sulla tesi dell’ingresso fortuito di acqua di mare all’interno del locale dell’elica di manovra di prua derivante dalla negligenza dell’equipaggio prima della partenza con conseguente inclusione  dell’evento nel rischio  peril of the seas tra le previsioni della clausola 6.1.1 delle ITCH. In alternativa l’evento doveva ritenersi coperto, secondo gli armatori, in base alla Inchmaree Clause (clausola 6.2.3 delle ITCH) essendo ricondu-cibile a negligenza dell’equipaggio senza colpa degli armatori/ manager della nave o in o, in via ulteriore, in base alla clausola 1.2 delle Additional Perils Clauses quale negligenza del cantiere riparatore (intervenuto per lavori di trasformazione nel 2001) per aver omesso di sigillare, senza colpa di armatori/ manager, le due estremità del condotto dei cablaggi all’interno del tunnel corrente lungo la chiglia della nave. Gli assicuratori contestavano il fatto che il danno al motore fosse imputabile a perils of the seas. Secondo le compagnie convenute il danno era riconducibile a colpa dell’equipaggio per non aver drenato la pompa antincendio di emergenza ed aver lasciato aperta la relativa presa a mare; negligenza che però non era coperta dalla Inchmaree Clause sussistendo la colpa degli armatori/ managers per aver omesso di adottare procedure interne per fronteggiare le basse temperature, di  mantenere in efficienza gli allarmi sentine, di ispezionare il tunnel centrale e di mantenere in efficienza gli impianti pompe zavorra e sentine. In alternativa gli assicuratori eccepivano che, anche qualora il danno fosse stato riconducibile ad un rischio assicurato, lo stesso sarebbe stato irrisarcibile perché causato da innavigabilità della nave alla partenza (in relazione alle difettosità riscontrate al sistema pompe in sala macchine) con la consapevolezza dell’armatore (cd “privity”). In via ulteriore gli assicuratori eccepivano che, anche laddove il danno fosse stato teoricamente indennizzabile, l’assicurato aveva perso il relativo diritto per aver fatto ricorso a dichiarazioni false (fraudulent devices) all’atto della presentazione del reclamo agli assicuratori. Quest’ultima eccezione degli assicuratori si rifaceva ad un principio applicabile in ambito assicurativo per cui una qualunque “bugia”detta in relazione ad un reclamo ed a sostegno dello stesso deve considerarsi una sottospecie di reclamo doloso tale da comportare l’automatico rigetto della domanda anche laddove il sinistro fosse indennizzabile (principio espresso nella causa Agapitos vs. Agnew; consultabile all’indirizzo http://www.bailii.org/ew/cases/EWCA/Civ/2002/247.html). La domanda degli armatori é stata rigettata dalla Corte. In particolare: (i) Le eccezioni mosse dagli assicuratori in merito alla non ricorrenza di un rischio assicurato ed alla presenza di uno stato di innavigabilità della nave sono state entrambe rigettate. Il Giudice ha, infatti, ritenuto l’evento ascrivibile ad un peril of the seas e che, pertanto, la domanda dell’assicurato volta a veder indennizzati i costi per la sostituzione del motore principale e del gruppo riduttore fossero, teoricamente, indennizzabili quale rischio coperto in base alla polizza. Il Giudice ha, infatti, ritenuto che, all’inizio del viaggio da Klaipeda, l’ingresso di acqua fosse già un’inevitabile certezza (per via delle rotture causate dalla formazione di ghiaccio ed alla presa mare lasciata aperta) ma che l’ingresso di acqua nel corso della navigazione fosse ciononostante da considerarsi fortuito posto che era stata la negligente condotta dell’equipaggio prima della partenza ad aver posto le basi per la fortuità dell’evento. (ii) Pertanto il concetto di innavigabilità andava, secondo la Corte, interpretato nel senso di limitare l’eccezione a disposizione degli assicuratori ai casi di innavigabilità dovuti ad uno stato di deficienza strutturale della nave alla partenza (riconducibile a wear and tear) piuttosto che all’innavigabilità causata da atti od omissioni fortuiti antecedenti la partenza. (iii) Al di là di tale originale (ed a quanto consta senza precedenti) interpretazione del concetto di innavigabilità, da cui discendeva, secondo il Giudice, che il sinistro era teoricamente indennizzabile quale perils of the seas, la Corte ha rigettato la domanda armatoriale accogliendo l’eccezione degli assicuratori relativa al “fraudulent device”. Secondo il giudice, infatti, le false dichiarazioni rese dall’assicurato in sede di denuncia del danno comportavano il rigetto della domanda di indennizzo di un sinistro che, diversamente, sarebbe stato assicurativamente coperto. Il “fraudulent device” é stato individuato dalla Corte nelle affermazioni contenute in una lettera del 21.4.2010 inviata dall’armatore al proprio broker a mezzo della quale venivano fornite spiegazioni alla domanda del legale degli assicuratori in merito alla causa dell’ingresso di acqua, all’allagamento della sala macchine ed all’incapacità delle pompe di esaurimento di fare fronte alla situazione di emergenza. In tale lettera gli armatori menzionavano un allarme acqua alta della sentina di prua scattato a mezzogiorno del 28.1.2010; allarme attribuito dall’equipaggio ai movimenti di rollio della nave dovuti al mare e, quindi, ignorato tanto che l’allagamento venne scoperto circa 9 ore più tardi. La stessa giustificazione era stata successivamente ripresa nel rapporto del perito degli armatori prodotto a sostegno della domanda di indennizzo. E’ successivamente emerso che l’allarme non era scattato e che la giustificazione data dall’armatore era falsa. Il Giudice ha ritenuto che la dichiarazione armatoriale fosse motivata dal convincimento degli armatori che minimizzare gli indizi di colpa in capo a sé stessi ed attribuire l’evento ad errore dell’equipaggio sarebbe stato di giovamento al reclamo. L’affermazione in merito all’allarme di mezzogiorno e l’omessa valutazione dello stesso da parte dell’equipaggio rappresentava cioè una spiegazione sufficientemente fondata e realistica dell’avvenimento ma l’armatore era consapevole del fatto che tale affermazione non fosse supportata dall’equipaggio. La Corte ha ritenuto così che tale ricostruzione fosse finalizzata a conseguire un pronto indennizzo e che le dichiarazioni avessero un rilievo non trascurabile tale da aumentare, se fossero state credute, le possibilità di successo del reclamo. Per tale motivo l’eccezione sollevata dagli assicuratori in merito all’impiego da parte degli armatori di un “fraudulent device” a sostegno della domanda di indennizzo é stata accolta. Conseguentemente la richiesta armatoriale  di indennizzo di un sinistro che sarebbe stato altrimenti pacificamente coperto é stata rigettata. Il Giudice pur decidendo a sfavore degli armatori ha, peraltro, evidenziato un proprio disagio in merito all’attuale interpretazione rigorosa del concetto di “fraudulent device” in caso di sinistri che sarebbero diversamente risarcibili a termini di polizza. Ha sostenuto che, nel caso di specie, la falsa dichiarazione dell’armatore non  rappresentava il frutto di un raggiro attentamente pianificato quanto piuttosto una sola, non ripetuta dinnanzi alla Corte, volontaria bugia finalizzata ad accelerare il pagamento dell’indennizzo di un sinistro risarcibile. La Corte ha ritenuto che la regola generale volta a scoraggiare l’assicurato a ricorrere a false dichiarazioni per percepire più di quanto gli spetti senza rischio di incorrere in sanzioni non é adeguata nel caso in cui l’assicurato cerchi di recuperare nulla di più di quanto dovuto in base alla polizza seppur più velocemente o senza contenzioso. Il ricorso ad un “fraudulent device” a sostegno di un reclamo perfettamente valido deve, pertanto, secondo la decisione in commento, posizionarsi al livello più basso della scala della colpevolezza. Pur confermando, quindi, che ogni tentativo di frode deve essere scoraggiato e condannato il Giudice ha affermato che il ricorso ad un “fraudulent device” possa rappresentare una “comprensibile reazione umana” al timore di veder rigettato il reclamo da parte degli assicuratori e subire le conseguenze finanziarie di un tardato indennizzo. Per tale motivo,  secondo la Corte “the law does not provide in this contest that the end always justifies the means; but nor should it say that any dishonest means which are more than de minimis should deprive a litigant of his just ends”. Il Giudice insomma ha espresso il proprio convincimento che a fronte di un rigoroso principio, applicabile solo ai reclami assicurativi e tale da inficiare anche reclami perfettamente indennizzabili, sarebbe preferibile ammettere un test di rilevanza più flessibile che consenta di verificare di volta in volta se sia giusto e proporzionato privare l’assicurato del proprio diritto prendendo in considerazione tutte le circostanze del caso. Su richiesta degli armatori il Giudice ha concesso il “leave to appeal” e cioè il proprio benestare ad impugnare la decisione. Non resta, quindi, che attendere la decisione del Giudice di secondo grado per verificare se le valutazioni espresse nella sentenza in commento troveranno o meno conferma.

avv. Claudio Perrella
Studio Legale LS LexJusSinacta
Vendita FOB, Controstallie e disciplina del Charterparty
Un recente caso (Great Elephant Corporation v.  Trafigura Beheer Bv; Vitol Sa, Vitol Asia Pte Ltd And China Offshore Oil (Singapore) International Pte Ltd (Third Parties) (The Crudesky) Queen's Bench Division, Commercial Court, 2012) evidenzia la complessità delle questioni che possono sorgere nel combinare le previsioni in materia di controstallie contenute nel contratto di vendita con la demurrage clause del charter party.  Il caso ha alcuni elementi senza dubbio peculiari, ma offre spunti  di riflessione in relazione ad aspetti che ricorrono con frequenza nel commodity trade.  Il giudizio ha avuto ad oggetto il reclamo presentato dagli armatori della nave Crudesky nei confronti dei charterers (Trafigura)  per un credito per controstallie maturate durante la sosta subita dalla nave per ordine delle autorità nel porto  nigeriano di Port Harcourt. Trafigura aveva acquistato il carico da Vitol  con termini di resa FOB,  ed aveva noleggiato la nave Crudesky per l’esecuzione del viaggio. Vitol aveva acquistato il carico dalla China Offshore Oil Singapore Int. Ltd. , che a sua volta aveva stipulato il contratto di vendita con Total. Quando la nave era giunta al Terminal AKPO FPSO, gestito da Total Upstream Nigeria Limited,  il funzionario del Department of Petroleum Resources  era assente, e  Total aveva chiesto telefonicamente l'autorizzazione ad iniziare le operazioni;  questa era stata dapprima concessa verbalmente, ma era stata però poco dopo (lo stesso giorno) revocata,  sul presupposto che il soggetto che l'aveva concessa era privo dei necessari poteri. La revoca della clearance aveva impedito il completamento delle operazioni,  e autorità nigeriane avevano  comminato a Total una sanzione record di 12 milioni di dollari, chiedendone il pagamento  prima che la Crudesky fosse autorizzata ad attraccare nuovamente e le operazioni potessero  essere completate. La nave era stata trattenuta per oltre un mese e mezzo,  maturando un reclamo per controstallie molto elevato. La Commercial Court ha accertato che i primi sette giorni di ritardo erano stati determinati dall'assenza della documentazione necessaria per dare avvio alle operazioni ,  e che pertanto gli armatori erano legittimati a chiedere l'intero corrispettivo dovuto a titolo di controstallia. Con riguardo invece alle controstallie maturate successivamente, queste ad avviso della Corte  erano state determinate da un abuso e/o  un esercizio arbitrario di potere da parte delle autorità nigeriane, e tale fattispecie rientrava nella previsione della Clause 21 del  charter party   che recitava: “any delay(s) arising from…restraint of princes…shall, provided…that the cause of the delay(s) was not within the reasonable control of charterers…count as one half laytime, or if the Vessel is on demurrage, at one half of the demurrage rate” Trafigura é stata dunque condannata a corrispondere il 50% delle controstallie maturate in Nigeria, ed ha cercato di ribaltare il reclamo su  Vitol,  deducendo tra l’altro che il contratto di vendita conteneva una clausola in virtù della quale parte venditrice era tenuta a “comply with all laws, rules, regulations... and bye laws applicable and necessary for the performance … of its obligations under the contract”. La Corte ha però ribadito il proprio convincimento che l’impossibilità di riprendere tempestivamente le operazioni al porto nigeriano era stata determinata dalla posizione tenuta dalle locali autorità, che queste  avevano agito in modo del tutto irragionevole ed imprevedibile, e che ciò consentiva a parte venditrice un esonero di responsabilità, nonché il diritto di invocare la clausola di forza maggiore contenuta nel contratto di vendita, che - con formulazione piuttosto classica - escludeva la responsabilità dei venditori qualora si verificassero eventi “unforeseeable…or…beyond the reasonable control of either party …”, ossia imprevisti o al di là del ragionevole controllo delle parti.  Il Tribunale ha inoltre rilevato che Vitol si era immediatamente avvalsa della clausola di forza maggiore, comunicando tempestivamente quanto accaduto alla propria controparte. Il caso offre una efficace testimonianza della complessità delle questioni che possono sorgere nel combinare la disciplina in materia di controstallie contenuta nel contratto di vendita con quella presente nel charter-party, soprattutto qualora il compratore acquista FOB e noleggia la nave,  restando esposto al rischio che maturino al porto di imbarco ritardi significativi, che può non essere semplice porre a carico di parte venditrice. L’unico modo per garantire che le obbligazioni che nascono dal charter party per ritardi al porto di caricazione siano ribaltate sul venditore é evidentemente quello inserire nel contratto di vendita una demurrage clause che faccia sì che contratto di vendita e charter party siano pienamente back to back, e che stabilisca il venditore é tenuto a rimborsare a parte acquirente qualunque importo dovuto in base al charter party per controstallie al porto di caricazione, qualunque sia la causa dei ritardi.  La possibilità di far accettare una simile pattuizione a parte venditrice dipende ovviamente dai rapporti commerciali esistenti e dal potere contrattuale di parte acquirente. La decisione attesta infine la rischiosità di operare in paesi nei quali il quadro normativo e regolamentare é precario, ed é difficile accertarsi della piena sussistenza di poteri in capo ai propri interlocutori ed alle autorità del luogo.

avv.Cecilia Vernetti
Studio Legale Camera Vernetti
Porti e Darsene nelle polizze yacht
L‘art. 28 del Codice della Navigazione include i porti fra i beni facenti parte del demanio marittimo e precisamente del c.d. demanio marittimo naturale. La definizione di porto é poi contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, del 27.3.2003 n. 1601 secondo la quale: "la nozione di porto cui fa riferimento l'art. 28 Cod. Nav. presuppone una realtà che deve esistere naturalmente e come tale assolvere alla funzione sua propria, anche senza opere di adattamento o perfezionamento, intendendosi con tale nozione il tratto di mare chiuso che per la sua particolare natura fisica é atto al rifugio, all'ancoraggio e all'attracco delle imbarcazioni provenienti dall'alto mare …”. Nelle polizze italiane yacht la nozione di porto viene utilizzata al fine di definire, ad esempio, i limiti geografici di operatività della copertura. Le condizioni di polizza prevedono, infatti, generalmente che la garanzia operi, fra l’altro, durante la giacenza dell’imbarcazione senza persone a bordo purché l’imbarcazione si trovi all’interno di un porto. Alla luce di tali clausole ci si domanda se la copertura assicurativa debba intendersi operante nel caso in cui un sinistro si verifichi allorché l’imbarcazione assicurata si trovi in giacenza all’interno di una darsena anziché di un porto, come richiesto dalla polizza. Riguardo alla definizione di darsena, la sentenza del Consiglio di Stato sopra menzionata prevede che “la darsena costruita a secco su un'area privata non é assimilabile al porto e non fa parte del demanio marittimo naturale. La demanialità non deriva infatti dall'aver realizzato un bacino mediante lo scavo artificiale del terreno e dalla conseguente utilizzazione  dello specchio d'acqua per le necessità dei natanti ma solo dalla particolare natura fisica di tale specchio d'acqua e cioé dal fatto che lo stesso costituisce un tratto di mare chiuso. Per altro verso, nemmeno é possibile ricomprendere le darsene nel demanio marittimo artificiale, a norma dell'art. 29 Cod. Nav., dal momento che "le costruzioni e le altre opere" realizzate "entro i limiti del demanio marittimo" entrano a far parte di detto demanio solo in ragione della loro appartenenza allo Stato". In base a tale pronuncia, quindi, le darsene non sono assimilabili ai porti in quanto non fanno parte né del demanio marittimo naturale (trattandosi di opere artificiali), né del demanio marittimo artificiale, non appartenendo allo Stato
Argomentando da tale pronuncia del Consiglio di Stato si potrebbe sostenere, sulla base di una interpretazione letterale della clausola di polizza sopra richiamata, che in caso di sinistro che si verifichi ai danni di una imbarcazione ormeggiata in una darsena (anziché in un porto) e senza persone a bordo, la copertura non sia operante. Dalla sentenza del Consiglio di Stato emerge peraltro che sia i porti sia le darsene sono costituite da uno specchio acqueo chiuso - per natura nel caso dei porti e grazie alla realizzazione di opere artificiali nel caso delle darsene - atto all’ormeggio delle imbarcazioni. In altri termini la distinzione parrebbe essere incentrata sulla natura giuridica di tali beni, al fine di escludere l'applicabilità alle darsene del regime proprio dei beni demaniali. Accogliendo invece una interpretazione teleologica, ossia volta a cogliere la finalità della clausola di polizza, si potrebbe sostenere che ai fini dell’operatività della copertura assicurativa i porti e le darsene debbano essere equiparati, purché di fatto l’imbarcazione al momento del verificarsi di un sinistro (furto, naufragio o simili) si trovasse ormeggiata in un luogo chiuso e ben protetto. Sulla specifica questione non si rinvengono precedenti di  giurisprudenza e pertanto la relativa soluzione appare dubbia. Quel che é certo é che, qualora si accogliesse l’interpretazione più aderente alla ratio della clausola di polizza (anziché quella letterale), occorrerà di volta in volta accertare le caratteristiche della darsena o bacino in cui si trovava ormeggiata l’unità al momento del sinistro.


 avv. Massimiliano Grimaldi
Grimaldi Studio Legale

Nuove regole per la prospezione di idrocarburi in mare
c
ambieranno in modo significativo le regole per il rilascio e trasferimento delle licenze per le operazioni in mare nel settore degli idrocarburi. Lo scorso mese di luglio é infatti entrata in vigore la direttiva 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013 la quale, riducendo il rischio di inquinamento, dovrebbe contribuire ad assicurare la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino). Ai sensi della direttiva 94/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 1994, le operazioni in mare nel settore degli idrocarburi nell'Unione sono subordinate all'ottenimento di un'autorizzazione, le cui condizioni di rilascio e di esercizio sono disciplinate dalla direttiva medesima. L’articolo 5 di tale direttiva, trasposta nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 625/96, prevede in particolare che l’autorizzazione debba essere rilasciata sulla base di criteri concernenti le capacità tecniche ed economiche degli enti e le modalità che gli stessi intendono adottare per la prospezione, la ricerca e/o la messa in produzione in una determinata area geografica. La legislazione UE e, segnatamente, la predetta direttiva 94/22/CE é stata però improntata alla disciplina dei soli aspetti relativi alla concorrenza nelle procedure di rilascio della autorizzazione, come da ultimo evidenziato anche dalla Comunicazione COM (2010) 560 def. della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Affrontare la sfida della sicurezza delle attività offshore nel settore degli idrocarburi (Al paragrafo 2.1 “Il ruolo cruciale del rilascio responsabile delle autorizzazioni”, si legge: “L’attuale legislazione dell’UE in materia di autorizzazioni (10) si occupa solo degli aspetti relativi alla concorrenza delle procedure di autorizzazione per garantire la parità di accesso alle procedure di aggiudicazione nazionali per i soggetti di tutta l’UE.” A conferma, vedasi l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 94/22/CE, il quale recita: “Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché le autorizzazioni siano rilasciate in esito a procedimenti nei quali tutti gli enti interessati possano presentare domanda ai sensi del paragrafo 2 o del paragrafo 3.”). La direttiva 2013/30/UE, che gli Stati membri dovranno recepire entro il 19 luglio 2015, innova radicalmente l’impostazione propria della direttiva 94/22/CE ed obbliga l’autorità competente al rilascio delle licenze a valutare a fondo anche la capacità di garantire in maniera costante operazioni sicure ed efficaci in tutte le condizioni prevedibili verificando altresì, con riguardo alla capacità finanziaria, che il soggetto abbia fornito la prova adeguata circa la effettiva adozione di misure idonee a coprire le responsabilità da incidenti gravi come definiti dall’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva medesima. La verifica delle capacità tecniche e finanziarie dell'ente riguarderà quindi, in futuro, non soltanto la fattibilità della realizzazione del programma posto alla base della domanda ma anche la capacità di adottare misure appropriate per impedire e reagire ad eventi critici, tenendo conto delle condizioni operative di un determinato sito e del carattere delle attività per le quali viene richiesta una licenza specifica (la Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011 sull'affrontare le sfide della sicurezza delle attività offshore nel settore degli idrocarburi (2011/2072(INI)) così recita al punto 46: “ritiene che, nella procedura di concessione delle licenze, per tutto il periodo operativo e in tutte le fasi dei progetti offshore (esplorazione, esercizio e smantellamento), gli operatori del settore degli idrocarburi debbano essere tenuti a dimostrare di avere una capacità finanziaria sufficiente per assicurare il risanamento dei danni ambientali causati dalle attività specifiche da essi compiute, inclusi quelli causati da incidenti con bassa probabilità e impatto rilevante, attraverso sistemi obbligatori di garanzia reciproca per il settore, assicurazioni obbligatorie o un sistema misto che garantisca la sicurezza finanziaria.”). Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2013/30/UE, nel valutare la capacità tecnica e finanziaria di un soggetto che richiede una licenza, l’autorità competente per il suo rilascio dovrà in particolare tenere in debito conto quanto segue: a) i rischi, i pericoli e ogni altra informazione pertinente relativa all’area autorizzata, compreso, se del caso, il costo del degrado dell’ambiente marino di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/56/CE; b) la particolare fase delle operazioni in mare; c) le capacità, comprese le garanzie finanziarie, di coprire le responsabilità potenziali derivanti dalle operazioni in mare, inclusa la responsabilità per danni economici potenziali, qualora tale responsabilità sia prevista dal diritto nazionale; d) le informazioni disponibili riguardanti le prestazioni del richiedente in materia di sicurezza e ambiente, anche riguardo a incidenti gravi, ove opportuno per le operazioni per le quali é stata richiesta la licenza. Il richiedente dovrà in altri termini fornire la prova delle proprie capacità tecniche e finanziarie attraverso la produzione di veri e propri dossier di sicurezza. Si assisterà pertanto ad una valutazione della domanda più rigorosa e basata sul rischio, con la introduzione di elementi ambientali nel controllo e nella prevenzione dei rischi gravi in aggiunta all’elemento della sicurezza come si ricava dalla analisi dell’articolo 4, paragrafo 6, della predetta direttiva 2013/30/UE.  E potrebbe essere proprio la maggiore adeguatezza - sotto il profilo della maggiore idoneità alla salvaguardia degli interessi pubblici ambientali - di un dossier di sicurezza rispetto all'altro a fare la differenza nel caso della valutazione di domande concorrenti e ad orientare definitivamente la selezione dell’autorità competente al rilascio della licenza. Il recepimento della direttiva 2013/30/UE comporterà quindi verosimilmente la modifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 484/94 recante la disciplina dei procedimenti di conferimento dei permessi di prospezione o di ricerca e di concessione di coltivazione di idrocarburi in mare nonché del decreto del Ministro per lo sviluppo economico 4 marzo 2011 recante il c.d. disciplinare tipo concernente le condizioni particolari e le specifiche modalità di esecuzione relative a tali permessi e concessioni.
La certamente più efficace riduzione dei rischi derivante dalla trasposizione della direttiva 2013/30/UE appare peraltro rafforzata anche dalle ulteriori e stringenti regole di sicurezza che interessano gli impianti di perforazione mobili in quanto "navi". Penso, al riguardo, al capitolo IX “Management for the Safe Operation of Ships” della Solas, il quale prescrive l’applicazione dell’ISM Code (International safety management code) anche alle società che gestiscono unità mobili di perforazione offshore di stazza lorda pari o superiore alle 500 tonnellate. La società titolare della licenza ha, infatti, l’obbligo di adottare un sistema di gestione della sicurezza (SMS) conforme alle previsioni dell’ISM Code, un sistema, cioé, strutturato e formalizzato che consenta al personale della società di applicare effettivamente la politica di sicurezza e di tutela dell'ambiente adottata dalla società. Il rilascio del Document of compliance (DOC) comprova che il sistema di gestione della politica di sicurezza e di tutela dell’ambiente adottato dalla società soddisfa le prescrizioni dell’ISM Code, anche in relazione alle procedure per prepararsi e rispondere alle situazioni di emergenza. Analogamente, il Safety management certificate (SMC) rilasciato alla piattaforma comprova che la società ed il personale di gestione a bordo operano secondo le previsioni del sistema di gestione della sicurezza approvato dalla competente autorità. Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno attuato il suddetto codice internazionale nella Comunità attraverso l’adozione del regolamento (CE) n. 336/2006, proprio sulla considerazione che la sicurezza e la prevenzione dell’inquinamento potessero essere rafforzate rendendo direttamente obbligatoria in ambito comunitario l’osservanza del codice in questione. Ora, innanzi ad un quadro così rigoroso, non sembra inutile domandarsi se il divieto di attività di ricerca,  di  prospezione nonche' di coltivazione  di  idrocarburi liquidi e gassosi in mare entro le 12 miglia di distanza dalla linea di costa (era forse preferibile l'uso del termine "linea di base", in aderenza all'articolo 3 "Breadth of the territorial sea" della Convenzione UNCLOS ratificata dall'Italia con la legge n. 689/94) di recente introdotto dal novellato comma 17 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 152/06 (vedasi l'articolo 35 del decreto-legge n. 83/12) non sia in effetti da ritenersi misura sproporzionata rispetto all'obiettivo da perseguire e se, di conseguenza, proprio la sempre più stringente disciplina in materia di tutela dell'ambiente marino e costiero non possa giustificare nuove riflessioni al riguardo, in prospettiva della soppressione del suddetto divieto. E, ciò, anche considerato l'effetto dissuasivo delle sanzioni che andranno individuate ai sensi dell'articolo 34 della direttiva in questione.


Benvenuta


U
n gruppo di giovani operatori e professionisti del mare si sono dati da fare, hanno unito le forze, coordinato le idee e dato vita ad un’associazione che ha già riscosso molta attenzione: YoungShip Italia.  L’associazione é nata da un’idea dei Giovani Armatori Confitarma, guidati da una persona di estrema lungimiranza e competenza, la Presidente Valeria Novella che un anno fa, in una visita ad  Oslo allo scopo di conoscere la realtà delle navi a combustione LNG, sono venuti in contatto con l’associazione YoungShip International che, fondata nel 2004 conta oggi 2700 associati in tutto il mondo. Un ottimo lavoro di scambio di idee e progetti tra i Giovani di Confitarma e di YoungShip International ha portato, grazie anche al coinvolgimento del Gruppo Giovani di Federagenti ed all’impegno del past President Alberto Banchero alla realiz-zazione di questo progetto. A far data dalla prima metà di giugno in cui si é tenuta presso la sede di Confitarma in Roma una prima riunione in cui é stata individuato un gruppo di fondatori, di cui sono stata eletta coordinatrice, l’associazione, che ha sede a Roma, é stata fondata a Genova, ha ottenuto il formale riconoscimento da parte dell’associazione YoungShip International ed é stata presentata ufficialmente il 19 settembre u.s. in occasione del Genoa Shipping week sulla bellissima M/n “Dionea” ormeggiata nel porto antico di Genova. Se questo é quello che é stato fatto, tutti noi, fondatori e iniziatori dell’associazione, siamo pienamente consapevoli del fatto che non ci si può adagiare su un buon inizio e che, anzi, esso deve essere solo di sprono a fare meglio. L’associazione, é rivolta alle persone fisiche di età compresa tra i venti ed i quarant’anni,che lavorano o abbiano interesse per motivi di studio nell’ambito marittimo, del commercio marittimo e dell’industria marittima. L’associazione sarà luogo di incontro tra giovani che svolgano attività di mediazione ed agenzia marittima, di raccomandazione marittima, proprietà navale, l’armamento, cantieristica e riparazione navale e nautica, gestione marittima, classificazione navale, finanza marittima, spedizione marittima, avvocatura nel diritto marittimo, assicurazione marittima,  trasporto marittimo di cose o persone, amministrazione marittima, ed ogni altra professione nell’ambito della economia marittima.  L'Associazione non ha scopo di lucro e persegue i seguenti scopi: contribuire alla diffusione ed alla conoscenza di questioni attinenti il commercio e l’industria marittima; diffondere la cultura del commercio  e dell’industria marittima ed incoraggiare e sostenere attività formative nei suddetti settori; fornire supporto ai propri associati per l’accrescimento delle proprie competenze e promuovere lo scambio di contatti ed esperienze fra i propri associati  ed il network con le associazioni YOUNGSHIP di altri Paesi. sviluppare partnership, accordi e convenzioni con enti e organizzazioni con finalità analoghe o collegate allo scopo di ampliare lo scambio culturale. Al di là degli scopi statutari, l’associazione avrà e dovrà conservare il fine di essere viva, dinamica, propositiva caratteristiche che spesso hanno anche i meno giovani ma che i giovani hanno il dovere di possedere. Dovrà mettere in contatto, e far di tutto per mantenere in contatto tutti gli operatori ed i professionisti del mare di tutta Italia creando un network potente di passione e di voglia di crescere insieme; allo scopo saranno organizzati webinar (seminari sul web), seminari nelle aziende, riunioni in tutta Italia ed ci faremo portavoce di idee e di nuovi progetti che veda coinvolti Sud, Centro, Nord e le nostre Isole tutti accomunati dalla professionalità e dal comune senso di appartenenza al mare. Andremo oltre e raggiungeremo attraverso i fiumi giovani che, pur operando nei settori del commercio e dell’industria marittima vivano in luoghi non bagnati dal mare. Saremo serbatoio di esperienze che porteremo all’attenzione delle associazioni YoungShip nel mondo e con loro ci confronteremo, porteremo conoscenze e torneremo arricchiti di nuove conoscenze. Saremo poi collegati attraverso il web alle altre associazioni Youngship nel mondo entrando a far parte della loro rete: i nostri associati potranno comunicare direttamente con gli associati in Singapore, Cipro, Mexico e con le altre associazioni YoungShip nel mondo. Partendo per un viaggio di lavoro in un paese lontano siamo certi che i nostri membri avranno degli amici di YoungShip ad attenderli e noi attenderemo loro prevedendo una o più persone nel board con il compito di curare sia i rapporti con gli associati degli altri YoungShip in Italia sia di dare supporto ai medesimi qualora per ragioni lavorative o di studio visitino il nostro Paese. Le modalità di iscrizione saranno comunicate non appena l’associazione eleggerà le cariche sociali ovvero, al più tardi, entro la fine di ottobre. Associarsi sarà semplice, poco costoso ma nello stesso tempo sarà garantito che solo chi condivide i nostri scopi faccia parte del nostro network. Insomma le idee sono tante, ci serve un grande in bocca al lupo, per il resto, ce la metteremo tutta!
(Simona Coppola)

dr.Gambattista Poggi
Studio Poggi & Associati


Furto di merci in deposito doganale


Con sentenza 11 luglio 2013 nella causa C-273/12, la Corte di Giustizia si é pronunciata stabilendo che: a) il furto di merci sottoposte al regime di deposito doganale costituisce una sottrazione di dette merci, causando la nascita di un’obbligazione doganale all’importazione; b) il furto di merci detenute in regime di deposito doganale fa sorgere il fatto generatore e l’esigibilità dell’IVA. La domanda di pronuncia pregiudiziale sorge nell’ambito di una controversia pendente tra l’Amministrazione Finanziaria francese e la Harry Winston SARL riguardo al pagamento dei dazi doganali nonché dell’imposta sul valore aggiunto per merci rubate mentre erano vincolate in regime di deposito doganale. Più specificatamente, la Corte d Giustizia é stata chiamata a pronunciarsi sulle seguenti questioni pregiudiziali: “1) se l’articolo 206 del codice doganale debba essere interpretato nel senso che il furto di una merce sottoposta al regime di deposito doganale, verificatosi nel caso di specie, costituisce una perdita irrimediabile della merce ed una causa di forza maggiore, con la conseguenza che, in siffatta ipotesi, si reputa che non sia sorto alcun debito doganale all’importazione; 2) se il furto di merci detenute in regime di deposito doganale possa far sorgere il fatto generatore e l’esigibilità dell’IVA ai sensi dell’articolo 71 della direttiva IVA». Per la migliore comprensione dei dispositivi e motivazione della sentenza de qua, si rammenta in sintesi il contento dei seguenti articoli del codice doganale per la parte di interesse. Secondo l’art.206, par.1, non sorge alcuna obbligazione doganale nei confronti di una data merce quando l’interessato fornisca la prova che l’inadempienza degli obblighi risultanti: 1) dagli articoli da 38 a 41 e dall’articolo 177 (secondo trattino), oppure, 2) dalla permanenza della merce considerata in custodia temporanea, oppure, 3) dall’utilizzazione del regime doganale cui la merce é stata vincolata, “é dovuta alla distruzione totale o alla perdita irrimediabile della merce per una causa inerente alla sua stessa natura o per un caso fortuito o di forza maggiore ovvero con l’autorizzazione dell’autorità doganale. Ai sensi del presente paragrafo, una merce é irrimediabilmente persa quando sia inutilizzabile per chiunque»; l’art.203 prevede che l’obbligazione doganale all’importazione sorga in seguito alla sottrazione al controllo doganale di una merce soggetta a dazi all’importazione all’atto della sottrazione della merce medesima al controllo doganale; l’art.204 del codice doganale stabilisce che l’obbligazione doganale all’importazione sorge in seguito “all’inadempienza di uno degli obblighi che derivano, per una merce soggetta a dazi all’importazione, dalla sua permanenza in custodia temporanea oppure dall’utilizzazione del regime doganale cui é stata vincolata, in casi diversi da quelli di cui all’art. 203 sempre che non si constati che tali inosservanze non hanno avuto in pratica alcuna conseguenza sul corretto funzionamento della custodia temporanea o del regime doganale considerato”.  Sulla prima questione, la Corte, richiamato il predetto art. 206 del codice doganale, esclude, la nascita dell’obbligazione doganale qualora l’interessato riesca a fornire la prova secondo cui l’inadempimento delle proprie obbligazioni derivi dalla distruzione o perdita irrimediabile della merce per una causa inerente alla sua stessa natura o per caso fortuito o di forza maggiore, ovvero con l’autorizzazione delle autorità doganali. Alla fattispecie non risulta applicabile né l’art. 202 del codice doganale riguardante la nascita di un’obbligazione doganale in ipotesi di introduzione irregolare di una merce nel territorio doganale dell’Unione europea, dato che i presupposti di fatto oggetto di causa (rapina a mano armata) sono diversi, né gli artt. 203 e 204 del codice doganale che attengono, il primo a comportamenti che comportano il risultato d’impedire all’autorità doganale di accedere a merci sottoposte alla sua vigilanza e di effettuare i controlli previsti, il secondo, all’inosservanza degli obblighi e delle condizioni dei diversi regimi doganali. Secondo la Corte, se é pur vero che nella fattispecie alcune merci, vincolate ad un regime sospensivo, sono state rubate con conseguente impossibilità per l’Autorità doganale di accedere ed effettuare i controlli previsti per regolamento, l’effetto di un furto commesso all’interno di un deposito doganale é di spostare le merci fuori dallo stesso senza che siano sdoganate, con l’inevitabile passaggio delle merci medesime nel circuito economico dell’Unione. Viene quindi confermata la presunzione ritenuta dalla Corte nella sentenza Esercizio Magazzini Generali e Mellina Agosta (del 5 ottobre 1983,  n. 186/82 et 187/82, Racc. pag. 2951), ancorché il codice doganale non contenga più la disposizione del nono considerando della direttiva 79/623, oggetto di tale sentenza. La sottrazione, ad opera di terzi e persino senza la prova della colpa del debitore, di merci sottoposte a dazio doganale, non estingue l’obbligazione corrispondente. Pertanto il furto non costituisce un caso di forza maggiore e non comporta l’estinzione dell’obbligazione doganale. Secondo la Corte,  l’art. 206 del codice doganale non permette di escludere la nascita dell’obbligazione doganale in caso di perdita irrimediabile della merce per causa di forza maggiore, nell’ipotesi di sottrazione della merce al controllo doganale oggetto dell’art. 203 del codice doganale, con la conseguenza che il furto di merci, avvenuto in circostanze come quelle del caso di specie, fa sorgere un’obbligazione doganale all’importazione. Sulla seconda questione ovvero se il furto di merci detenute in regime di deposito doganale possa far sorgere il fatto generatore e l’esigibilità dell’IVA, ai sensi dell’art. 71 della direttiva 2006/112/CE, la Corte rileva come secondo l’articolo 70 della direttiva IVA venga stabilito il principio per cui il fatto generatore si verifica, e l’imposta diventa esigibile, nel momento in cui é effettuata l’importazione di beni. Il successivo art.71, (par. 1), prevede in particolare, al primo comma, che, quando i beni sono vincolati, sin dalla loro entrata nell’Unione, al regime di deposito doganale, il fatto generatore e l’esigibilità dell’imposta verifichino soltanto nel momento in cui i beni sono svincolati da tale regime mentre, al secondo comma, regola il caso particolare in cui, per i beni importati assoggettati a dazi doganali il fatto generatore dell’imposta si verifica, e l’imposta diventa esigibile, nel momento in cui scattano il fatto generatore e l’esigibilità dei predetti dazi.l’IVA all’importazione e i dazi doganali, ricorda la Corte, traggono entrambi origine dal fatto dell’importazione nell’Unione e dalla successiva introduzione nel circuito economico degli Stati membri come previsto dal predetto art. 71 (par. 2) che autorizza gli Stati membri a collegare il fatto generatore e l’esigibilità dell’IVA all’importazione a quelli dei dazi doganali. Pertanto, nella controversia in oggetto, essendo sorta l’obbligazione doganale al momento della sottrazione delle merci detenute in regime di deposito doganale, ovvero al momento del furto, ai sensi del predetto art. 71 l’IVA é divenuta contemporaneamente esigibile.I n altre parole, dato che il furto di merci detenute in regime di deposito doganale ha fatto sorgere un’obbligazione doganale all’importazione e l’esigibilità dei dazi doganali, lo stesso presupposto (il furto) ha automaticamente comportato l’esigibilità dell’IVA.