La nostra Rivista in formato PDF

NONO numero - Febbraio 2014

1,2,3…DIECI, …. Un bel numero ma soprattutto un bel traguardo raggiunto con un bel successo per il gruppo di persone che credono ed hanno creduto in questa avventura di divulgazione del diritto dei trasporti. La ricetta è semplice: la passione per il proprio lavoro e il desiderio di evadere dalla quotidianità della routine. Un sogno reale per qualcuno ed un modo per farsi conoscere per altri ma con passione e la voglia di mettersi in gioco perché “chi non fa non sbaglia e chi fa … in questo mondo viene criticato”.
Vorrei scrivere dieci volte Grazie non in ordine di importanza ma casuale: 1) A tutti i Componenti  del Comitato di Redazione sia quelli vecchi che quelli nuovi perché senza di loro non ci sarebbe nulla da leggere 2) A tutti i nostri lettori che timidamente hanno incominciato a seguirci ed ora sono quasi in 2.000 quelli che ricevono la nostra newsletter 3) A Cecilia e Guglielmo che mi hanno sempre dato una mano anche nei momenti meno colorati 4) A chi pazientemente sopporta le mie scadenze senza lamentarsi o quasi. 5) Al nostro Comitato Scientifico che appoggia questa iniziativa e che grazie alla loro adesione ci da lustro 6) Agli appassionati del materia ed in particolare ai giovani che si affacciano a questo mondo che troveranno sempre spazio tra le nostre pagine per le loro iniziative di successo 7) Agli amici stranieri che contribuiscono alla riuscita delle nostre pubblicazioni. 8) A coloro che hanno reso possibile la realizzazione di diversi Conversazioni ed in particolare il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che ha sempre creduto nella nostra offerta informativa. 9) Alla Unipol-Sai che con il suo contributo salariale di ogni fine mese mi garantisce lo stipendio e mi da modo di avere le risorse per continuare ad offrire gratuitamente questo prodotto. 10) A tutti coloro che in futuro vorranno darci il loro contributo di idee e passione per continuare a credere in questo sogno reale …. LEXTRASPORTI. 
 (L.F.)

avv. Cecilia Vernetti
Studio Legale Camera Vernetti

Giurisprudenza: alcune massime in tema di trasporto marittimo e terrestre
Si riportano di seguito alcune recenti sentenze su argomenti di interesse nel settore del trasporto marittimo e terrestre.  1.In tema di legittimazione ad agire contro il vettore per il risarcimento dei danni, il Tribunale di Parma, con la sentenza del 12.4.2010, ha ribadito l’orientamento in base al quale: “Nel caso di danni alla merce trasportata, la legittimazione ad agire aspetta alla parte nella cui sfera patrimoniale questi esplicano il loro effetto”.Tale massima si pone quindi in linea con l’orientamento, che può dirsi ormai consolidato (cfr. in tal senso Cass. n. 24400 dell’1.12.2010 e in giurisprudenza di merito Tribunale di Trieste 21.6.2011 e 19.6.2010, Corte di Appello di Milano del 20.1.2009 e Tribunale di Milano del 23.6.2009), secondo cui per stabilire chi fra mittente e destinatario della merce abbia diritto a richiedere il risarcimento dei danni al vettore per la perdita o avaria della merce occorre adottare il criterio del pregiudizio economico, verificando in capo a quale tra i due soggetti siano derivati gli effetti patrimoniali della perdita o dei danni alla merce stessa. 2. Con la sentenza n. 6293 del 13.3.2013, la Cassazione ha ribadito l’orientamento secondo cui  “la clausola CIF deve essere inquadrata nell’ambito delle previsioni relative all’incidenza economica del trasporto e degli oneri connessi e non nell’ambito di quelle relative al trasferimento dei rischi”. La clausola CIF, quindi, secondo la Corte, ha solo l’effetto di porre a carico del venditore i costi di trasporto e di assicurazione della merce e non produce l’effetto (riconosciutole invece in ambito internazionale) di derogare all’art. 1510 c.c. e alla regola, ivi prevista, del trasferimento dei rischi in capo al compratore con la consegna della merce al vettore.3.In tema di responsabilità ex recepto del vettore terrestre, una recente sentenza della Cassazione (n. 22746 del 4.10.2013, in Guida al Diritto 2013 n. 49/50) ha così stabilito:“A norma dell’art. 1693 c.c. sussiste colpa grave del vettore anche quando si tratta di una inescusabile grave negligenza. Correttamente peraltro è esclusa la colpa del vettore qualora – ancorché il vettore abbia ammesso la propria responsabilità in ordine al verificarsi dell’evento – non sia stata provata la sua colpa grave, ossia che l’evento è stato dovuto a una condotta che pur senza la volontà di danneggiare altri, sia stata posta in essere con straordinaria e inescusabile imprudenza e negligenza omettendo non solo la diligenza del buon padre di famiglia rapportata al servizio da svolgere, ma anche quel grado minimo di diligenza che tutti devono osservare”. La sentenza richiamata, come si nota,applica il principio, desumibile dal comma 4 dell’art. 1696 c.c., secondo il quale l’onere di provare la colpa grave o il dolo del vettore grava sull’interessato al carico, concludendo che – pur in presenza di una ammissione di responsabilità del vettore – non sia necessariamente provata la sua colpa grave in mancanza di una specifica dimostrazione in tal senso ad opera dell’interessato al carico. 4.Con la sentenza n. 25902 del 19.11.2013 (in Guida al diritto 2014 n. 2) la Cassazione ha stabilito che “Nel trasporto amichevole, effettuato con unità da diporto, la responsabilità del conduttore (vettore amichevole o di cortesia) è retta dall’art. 2054, comma 1, del  c.c. con la conseguente residualità della norma dell’art. 414 del codice della navigazione sul trasporto amichevole, che resta riferito alla sola navigazione mercantile”. Ciò implica che nel trasporto amichevole di persone su imbarcazione da diporto la responsabilità del conduttore per eventuali danni ai passeggeri è assai più rigorosa rispetto a quella prevista nel trasporto gratuito su nave mercantile. Infatti, in quest’ultimo caso il danneggiato,per ottenere il risarcimento, deve provare che il danno è dipeso da dolo o colpa grave del vettore o dei suoi dipendenti o preposti, mentre nel primo caso vale la regola prevista in tema di circolazione di veicoli in base alla quale il conducente deve risarcire il danno se non prova di avere fatto tutto il possibile per evitarlo.

 Avv. Andrea Facco
Studio Legale Ghelardi e Associati

Il contratto di Handling 
Nel presente articolo viene considerato il contratto di handling (più precisamente definito ground handling) ovvero il contratto stipulato tra una compagnia aerea (o un esercente privato) ed un altro soggetto relativo alla fornitura determinati servizi di assistenza a terra in relazione allo scalo degli aeromobili in un determinato aeroporto. Come individuati dalla Direttiva Ce n. 96/67 del 15 ottobre 1996 e poi nel relativo D. Lgs. 18/99 attuativo della stessa, tali servizi sono, in particolare, l’assistenza ai passeggeri, ai bagagli, alle merci ed alla posta, le operazioni in pista, la pulizia ed i servizi di scalo, la fornitura di carburante ed olio, la manutenzione dell’aereo, le operazioni aeree e la gestione degli equipaggi, il trasporto a terra di passeggeri e merci ed, infine, il «catering». Tali servizi si dividono in due categorie in base alle aree dell’aeroporto ove i medesimi vengono prestati ovvero l’area «land side» (lato terra) e quella «air side» (lato aria). La prima categoria di detti servizi è svolta all’interno dell’aerostazione ed è destinata alle attività di assistenza nel transito di passeggeri, bagagli, merci; la seconda è svolta nelle aree di manovra -quali piste di volo, vie di rullaggio, bretelle di raccordo- e nel il piazzale principale («apron») comprendente le vie di circolazione di piazzale e le piazzole di sosta ed è destinata alle operazioni di movimentazione e sosta degli aeromobili. In origine il servizio di assistenza a terra veniva svolto direttamente dalle compagnie aeree attraverso la propria organizzazione presente in aeroporto. In un secondo tempo, lo svolgimento di tali servizi è stato affidato ad operatori diversi dalle compagnie aeree ovvero a quelli preposti alla gestione di tutta l’infrastruttura aeroportuale. Le compagnie aeree dovevano quindi pagare ai gestori dell’infrastruttura -che erano sostanzialmente in posizione di monopolio- alte tariffe il cui onere economico finiva, in ultima analisi, per essere trasferito sui clienti delle compagnie mediante un corrispettivo incremento del prezzo del trasporto. La liberalizzazione del mercato dei servizi di assistenza a terra negli Stati Membri dell’Unione Europea è stata realizzata -per gli aeroporti che superano una soglia di traffico prefissata- mediante la citata Dir. Ce n. 96/67. Attualmente negli aeroporti che superano tale soglia operano due o più prestatori di servizio in concorrenza tra loro con l’effetto di una riduzione delle tariffe all’utenza e, quindi, dei costi di gestione delle compagnie aeree con positivo riflesso sul prezzo del trasporto aereo. In origine i contratti di handling (in italiano definibili «contratti di prestazione di servizi di assistenza a terra») venivano formalizzati su clausolari, contenenti condizioni generali di contratto, predisposti dai gestori degli aeroporti. Tali clausolari sono stati dapprima affiancati e successivamente sostituiti da un formulario standard -il c.d. Standard Ground Handling Agreement (SGHA)- predisposto dalla International Air Transport Association (IATA) ovvero l’associazione internazionale dei vettori aerei. Il formulario -elaborato nel tempo in varie versioni (le più recenti sono quelle del 2004, 2008 e 2013) e originato dall’esigenza di massima uniformità richiesta dagli operatori dell’industria aeronautica- è composto da quattro parti: le «definitions» (definizioni), il «main agreement» (accordo principale) ed i due «annex» (allegati) rispettivamente contraddistinti dalle lettere A e B. La sezione relativa all’accordo principale contiene la regolamentazione negoziale del rapporto mentre gli allegati A e B includono, il primo, la lista dettagliata e numerata di tutti i servizi astrattamente svolgibili dal prestatore di servizi e, il secondo, la menzione dei singoli servizi pattuiti nel caso di specie ed i relativi corrispettivi. Dottrina e giurisprudenza hanno tentato di ricondurre il contratto di assistenza a terra nell’alveo dei “tipi legali” conosciuti dal nostro ordinamento. Ciò al fine di individuare le norme da utilizzare in caso di lacune del regolamento negoziale predisposto dalle parti e, soprattutto, di disciplinare la responsabilità per inadempimento o non esatto adempimento dello stesso. La casistica giurisprudenziale in materia di contratto di prestazione di servizi di assistenza a terra è prevalentemente centrata sul contratto di trasporto di cose o, alternativamente, su un contratto di deposito a favore di un «terzo», soggetto avente diritto alla riconsegna della merce a destino. La dottrina ha, invece, tentato di inquadrare tale contratto in un nuovo tipo contrattuale non espressamente previsto dalla legge e, pertanto, atipico; come tale, esso avrebbe diritto di esistenza nel nostro ordinamento previa vaglio di meritevolezza dei relativi interessi ex art. 1322, comma secondo, c.c. Attesa l’eterogeneità delle prestazioni ivi incluse, pare più corretto includere il contratto in esame nel tipo contrattuale dell’appalto di servizi continuativi o periodici -ex c.d. artt. 1655 e 1677 c.c.- in ragione della suscettibilità di quest’ultimo di includere nella sua sfera applicativa, il compimento, con un’organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, dell’opera materiale tipicamente fornita del prestatore. Per quanto riguarda la responsabilità nascente da inadempimento o non esatto adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di assistenza a terra non si può omettere di segnalare l’incisiva portata della volontà delle parti manifestata in tale contratto. Lo SGHA contiene delle pattuizioni che disciplinano in maniera specifica la responsabilità del prestatore nell’esecuzione dei servizi di assistenza prevedendo -con alcune eccezioni che saranno specificate- un esonero da responsabilità salve le sole ipotesi in cui i relativi eventi siano determinati dalla condotta dei preposti del prestatore caratterizzata dal dolo o dalla colpa grave. (Occorre peraltro precisare che il concetto di colpa grave di cui allo SGHA non è, peraltro, perfettamente coincidente con quello nostrano). In tali casi la compagnia aerea (d’ora innanzi definita “vettore”) tiene indenne il prestatore da ogni azione di responsabilità proposta da passeggeri o da interessati al carico. Quando l’attività del prestatore consiste nel trasporto di passeggeri, bagagli e merci per conto del vettore, tuttavia, il predetto obbligo di garanzia del vettore nei confronti del prestatore è limitato ad un risarcimento non eccedente i limiti di debito per responsabilità vettoriale di cui alle convenzioni di Montreal del 28 maggio 1999 sull’ “Unificazione di alcune norme per il trasporto aereo internazionale” e della precedente di Varsavia del 1929 (a seconda di quella che risulti applicabile) anche se il Tribunale, di volta in volta adito, non ritenesse di applicare detto limite trattandosi della responsabilità del prestatore e non di quella del vettore. Nell’ipotesi in cui sia invocata la responsabilità del vettore nei confronti dei terzi (esclusi quindi passeggeri ed interessati carico) derivante da atti od omissioni del prestatore nell’adempimento delle proprie obbligazioni, il vettore si impegna a non azionare alcun diritto di regresso nei confronti del prestatore salvo che tali atto ed omissione siano causati da comportamenti contrassegnati da situazioni soggettive riconducibili al dolo o alla colpa grave. Nel caso di trasporto passeggeri e merci sulla superficie eseguito dal prestatore per conto del vettore nell’ambito delle operazioni di imbarco e sbarco sull’ (e dall’) aeromobile e/o tale operazione rientra nel contratto di trasporto, si applica l’esonero sopra citato, tuttavia, il vettore dovrà tenere indenne il prestatore solo nei limiti di debito di cui al contratto di trasporto. Diversamente, in caso di trasporto sulla superficie in assenza dei predetti requisiti, l’esonero non si applica (e quindi il vettore non rinuncia ad avvalersi dei propri diritti nei confronti del prestatore e non è obbligato a tenerlo indenne). Per quanto riguarda la responsabilità del vettore nei confronti del prestatore, quest’ultimo esonera il primo da ogni responsabilità -e dovrà tenerlo indenne- per i casi di infortunio o morte dei suoi preposti e per danno o perdita alle cose di sua proprietà o da quest’ultimo impiegate e per ogni qualsiasi relativo danno indiretto nascente da ogni atto o omissione del vettore, salvo che tali atto e omissione siano causati da comportamenti contrassegnati da situazioni soggettive riconducibili al dolo o alla colpa grave. E’ poi previsto che per la perdita dell’aeromobile o ai danni materiali allo stesso il prestatore risponda anche se essi derivano da suoi atto o omissione semplicemente colposi (e non dolosi o gravemente colposi come statuito in generale) ma la relativa responsabilità è limitata ad una somma non eccedente l’ammontare dello scoperto contrattuale della polizza «all risk» corpo dell’aeromobile e, comunque, alla somma prefissata di un milione e cinquecentomila dollari statunitensi. Un’ulteriore restrizione dell’esonero di responsabilità accordato in generale al prestatore è prevista con esclusivo riferimento alle operazioni concernenti le merci trasportate per conto del vettore nell’esecuzione dei servizi di assistenza a terra. In tale caso il prestatore sarà tenuto ad indennizzare il vettore anche se i danni derivano da suoi atto o omissione semplicemente colposi (e non dolosi o gravemente colposi come statuito in generale) ma il relativo debito, tuttavia, è contenuto nei limiti di debito vettoriale di cui alla Convenzione di Montreal del 1999 applicabili al tempo dell’evento (oggi 19 diritti speciali di prelievo per chilogrammo di merce perduta o danneggiata) o alla minor somma risarcita dalla compagnia. Viene fissato, comunque, un limite massimo di rispondenza nella somma di un milione di dollari statunitensi e chiarito che i danni di valore inferiore a dollari statunitensi cinquecento non dovranno essere indennizzati. In conclusione si può osservare che, con lo SGHA, il mercato si è dotato di uno strumento dinamico in grado di garantire, con le sue continue riedizioni, quella flessibilità necessaria per conformarsi agli equilibri commerciali fra le parti della filiera del trasporto aereo che, anche per effetto della corrente crisi finanziaria ed economica, sono soggetti a continua modifica.
 avv. Giancarlo Soave
Studio Legale Soave

La rappresentanza del Raccomandatario marittimo
La disciplina del  raccomandatario marittimo trova la sua prima collocazione nell’ambito del codice della navigazione, titolo III, capo III, dall’art. 287 all’art. 291.  Il codice della navigazione non definisce però la figura del raccomandatario marittimo, soffermandosi invece, nei pochi articoli dedicati a tale figura, sul contratto di raccomandazione e sulla rappresentanza processuale. L’articolo 288 del codice della navigazione  stabilisce infatti che “entro i limiti nei quali gli è conferita la rappresentanza dell’armatore o  del vettore, il raccomandatario  può promuovere azioni ed essere convenuto in giudizio in loro nome”.  Il titolo III si chiude con la descrizione delle altre figure speciali di raccomandazione quali il raccomandatario-institore, il raccomandatario agente – marittimo ed il raccomandatario senza rappresentanza. Per una definizione legislativa della figura del raccomandatario marittimo si dovrà attendere la legge  135/1977, disciplinatrice di tale  professione, che all’articolo 2 individua in maniera dettagliata le mansioni raccomandatoria li stabilendo che deve considerarsi raccomandatario “chi svolge attività di raccomandazione di navi, quali assistenza al comandante nei confronti delle autorità locali o dei terzi, ricezione o consegna delle merci, operazioni di imbarco e sbarco dei passeggeri, acquisizione dei noli, conclusione di contratti di trasporto per merci e passeggeri con rilascio dei relativi documenti, nonché qualsiasi altra attività per la tutela degli interessi a lui affidati”. La giurisprudenza ha poi individuato le funzioni tipiche che costituiscono il nucleo essenziale della professione e dell’attività di raccomandatario da quelle definite di natura agenziale- commerciale e dalla attività di tipo accessorio. La rappresentanza del raccomandatario non è quindi una rappresentanza legale ma trova il suo titolo e la sua fonte nel rapporto negoziale e contrattuale di raccomandazione ed, ovviamente, nella volontà del preponente che potrà limitarne il contenuto ed i poteri con il  conferimento di una procura ad hoc. Di particolare rilevanza, soprattutto per gli addetti ai lavori, è la puntale verifica dei limiti spaziali e temporali della rappresentanza del raccomandatario. Ancora più specificamente, uno dei quesiti che si ripropone più spesso nella prassi è se l’agente raccomandatario nel porto di origine/di partenza possa rappresentare processualmente  il preponente per fatti e/o danni occorsi durante il successivo trasporto e/o occorsi a destino (è evidente che la risposta affermativa avrebbe notevoli risvolti pratici). Sul punto la costante giurisprudenza ha stabilito, in ossequio al disposto dell’art. 288 c.n., che spetti  al raccomandatario marittimo la rappresentanza processuale dell’armatore o del vettore raccomandante negli stessi limiti in cui è conferita la rappresentanza sostanziale (cfr. Cass. civ. n. 4593/1999, Mass. Giur. It., 1999) ed è onere del raccomandatario convenuto in giudizio provare i limiti della sua rappresentanza sostanziale (cfr. Trib. Napoli 14/11/1981 in Dir. e Giur., 1982, 118).  Da ciò discende che  la rappresentanza processuale del raccomandatario presuppone un’analisi delle attività dallo stesso svolte sul piano sostanziale per accertare come ed in quale misura tale rappresentanza possa estrinsecarsi.  In  base al combinato  disposto degli articoli 5, 6 e 9 della legge 135/1977  l’attività del raccomandatario deve rigorosamente essere condizionata a quelle attività strettamente connesse all’approdo della nave nel porto dove lo stesso opera (cfr. conforme Cass. n. 4616/91 e Corte d’Appello di Genova del 6 novembre 1985).  La  dottrina ha altresì specificato che la rappresentanza processuale non solo deve inerire strettamente all’attività tipica del raccomandatario, ma anche che tale rappresentanza può sussistere soltanto per quelle attività, compiute dal raccomandatario, che siano strettamente connesse all’approdo della nave nel porto dove lo stesso opera. (cfr. Boi, Obbligazioni e responsabilità del raccomandatario marittimo,  in Dir. Mar., 1996, 53).  Alla luce di quanto detto, sembra difettare del requisito di legittimazione passiva la citazione nei confronti del raccomandatario marittimo del vettore/armatore nel porto di partenza per fatti occorsi, ad esempio, durante la navigazione e/o nel porto di arrivo. Il raccomandatario del porto di partenza  è infatti completamente estraneo alle operazioni di raccomandazione effettuate nel porto di destinazione e di conseguenza non potrà essere chiamato a rispondere delle spese connesse/conseguente a tali operazioni, in quanto effettuate da altro raccomandatario. Tale soluzione non contrasta con  una risalente pronuncia in argomento secondo la quale al raccomandatario del vettore nel luogo di caricazione sarebbe  riconosciuta la legittimazione passiva in ordine alla controversia per ammanchi e perdite della merce riscontrati a destino (cfr. fra le molte Tribunale Genova 6/8/1955, in Dir. Mar., 1956, 352). Tale massima, infatti, va letta nel senso di ritenere responsabile il raccomandatario del porto di caricazione per danni/ammanchi delle merci accertati a destino ma avvenuti durante la caricazione nel porto di partenza. Solo in tale caso può essere astrattamente ammissibile una legittimazione passiva in capo al raccomandatario del porto di partenza. Dunque, per sintetizzare,  la rappresentanza processuale del raccomandatario non solo deve inerire strettamente all’attività tipica dello stesso ma può sussistere soltanto per quelle attività che siano strettamente connesse all’approdo della nave nel porto dove lo stesso opera e nel luogo presso cui il raccomandatario è iscritto nell’elenco dei raccomandatari marittimi. Ne consegue che l’elemento spaziale della localizzazione dell’attività  dell’agente raccomandatario nell’ambito territoriale ove si trova il porto in cui opera preclude ogni azione diretta nei confronti dello stesso per eventi relativi alla consegna della merce nel porto di arrivo.

 Avv. Simona Coppola
Studio Legale Garbarino Vergani

SOLIMARE: Fondo di solidarietà bilaterale per il settore marittimo
E’ del marzo scorso una notizia che per qualche giorno ha fatto capolino su molti giornali che si occupano del settore marittimo e non a che ha portato una ventata di gioiosa soddisfazione tra le categorie interessate. In data 24 marzo 2014, Fedarlinea, Federimorchiatori, Confitarma, Filt-CGIL, Fit-CISL e Uiltrasporti hanno sottoscritto un accordo per la costituzione presso l’INPS del Fondo di solidarietà bilaterale nel settore marittimo, denominato “Fondo SOLIMARE”.L’art. 3 comma 4 della legge del 28 giugno 2012n.92, (cosiddetta Legge Fornero), di riforma del mercato del lavoro aveva previsto che le organizzazioni sindacali ed imprenditoriali più competitive a livello nazionale dovessero stipulare, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della medesima legge, accordi collettivi aventi ad oggetto la costituzione di fondi di solidarietà bilaterali per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale. In adempimento della su menzionata legge è stato costituito il Fondo Solimare che ha lo scopo di tutelare i lavoratori marittimi, inclusi quelli iscritti nel Turno Particolare, il personale amministrativo e di terra delle imprese armatoriali nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa in relazione alle cause previste dalla normativa in materia di Cassa Integrazione Ordinaria e Straordinaria. La costituzione di questo fondo di solidarietà è stato accolto favorevolmente sia dagli Armatori che dai sindacati: tutti, infatti, si sono detti soddisfatti del risultato ottenuto, ovvero che anche ai lavoratori del settore marittimo venga assicurata la tutela del proprio reddito nei casi di crisi delle imprese armatoriali con conseguenti esuberi di personale ovvero nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa in relazione alle sole cause previste dalla normativa in materia di Cassa Integrazione Ordinaria e Straordinaria. Come espressamente previsto nell’accordo, è pertanto ammessa la fruizione di tale fondo solo nelle cause di: eventi transitori e non imputabili all'impresa armatoriale o ai lavoratori, ovvero determinati da situazioni temporanee di mercato, ristrutturazioni, riorganizzazioni o conversioni aziendali crisi aziendali, fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, e amministrazione straordinaria. In conformità a quanto previsto dalla legge Fornero il fondo SOLIMARE è amministrato da un Comitato composto da cinque esperti designati dalle Segreterie Nazionali di Filt CGIL, FIT Cisl e Uil e da ulteriori cinque esperti designati dalle Associazioni datoriali firmatarie dell’accordo, ovvero Confitarma, Fedarlinea e Federimorchiatori. Il Comitato amministratore è composto, inoltre da due funzionari, uno in rappresentanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali l’altro per Ministero dell’Economia e delle Finanze. Alle riunioni del comitato partecipa il Collegio Sindacale dell’INPS, nonché il Direttore Generale dell'Istituto od un suo delegato, con voto consultivo. Ai fini dell’accesso al Fondo Solimare è espressamente previsto dall’accordo che debba essere preventivamente effettuata una procedura di consultazione sindacale, che dovrà esaurirsi entro un massimo di 25 giorni dal avvio della medesima, e che venga successivamente presentata una istanza allo stesso Fondo da parte dell’impresa armatoriale che intenda usufruirne. L’istanza, dovrà contenere le seguenti informazioni: (I)le cause che determinano la situazione di eccedenza di personale; (II)la durata prevedibile di tale situazione di eccedenza di personale; (III) il numero di lavoratori interessati ed i loro profili professionali;(IV) la previsione di costo della prestazione richiesta. A seguito della richiesta, dopo aver verificato che la situazione di eccedenza del personale sia riconducibile alle medesime cause per cui è ammesso l’accesso alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria, il fondo potrà deliberare di concedere, come si legge nell’accordo,“un assegno di importo pari all’integrazione salariale, di durata massima non inferiore ad un ottavo delle ore complessivamente lavorabili da computare in un biennio mobile comunque non superiore ad un anno”. Per i lavoratori in turno particolare, la durata massima della prestazione sarà rapportata in base al proprio effettivo periodo di imbarco negli ultimi due anni da quanto l’accesso al fondo è stato richiesto dall’Armatore. Per quanto concerne il finanziamento del Fondo, le prestazioni concesse o, meglio, che forse verranno concesse perché allo stato non sembrerebbe che sia stato dato avvio alle erogazione delle prestazioni, sono supportate da un contributo ordinario dello 0,3% di cui i due terzi sono a carico dell’impresa di navigazione ed un terzo a carico del lavoratore calcolato sulla retribuzione imponibile ai fini previdenziali di tutti i lavoratori marittimi di navi di bandiera italiana nonché di tutto il personale dipendente delle imprese armatoriali per i quali si versano i contributi obbligatori all’INPS. Sono ammissibili variazioni al contributo ordinario da concordarsi tra i Ministeri interessati e il Comitato amministratore del Fondo.

 avv. Guglielmo Camera
Studio Legale Camera Vernetti

 Le “warranty”
Una particolare categoria di termini contrattuali che assumono una rilevanza fondamentale nell’ambito dei contratti di assicurazione marittima inglese sono le “warranty”. Nell’ambito del diritto assicurativo marittimo inglese il termine “warranty” ha le seguenti  caratteristiche: (a) è una condizione propria del contratto e non una mera rappresentazione del rischio fatta al di fuori del testo contrattuale;  (b) l’oggetto della  “warranty” non deve essere necessariamente rilevante rispetto al rischio assicurato; (c) una “warranty”  necessita di essere soddisfatta in maniera esatta e precisa. In particolare è insufficiente soddisfare solo parte di essa; (d) la violazione di un “warranty” esonera da responsabilità l’assicuratore dal momento in cui la violazione ha luogo: (a) nonostante questa non abbia alcuna  connessione causale con il sinistro, e (b) nonostante il fatto che l’assicurato abbia posto rimedio alla eventuale violazione prima del sinistro. Proprio perché le conseguenze della violazione di una “warranty” sono alquanto serie, il diritto inglese richiede particolare rigore nell’interpretare un termine contrattuale come una “warranty”. Per tale motivo l’uso delle parole  “warranty” o “warranted”  non è determinante, né essenziale ai fini di identificare come tale la pattuizione. Parimenti le corti inglesi non sono inclini a considerare come “warranty” un termine che possa trovare applicazione solo al momento della decorrenza del rischio e non per tutta la vigenza della copertura. Come detto una “warranty” deve essere rigorosamente soddisfatta e tale soddisfacimento deve operare per tutta la vigenza della copertura.  Il rigore richiesto è illustrato in  un celeberrimo caso inglese  in cui un cavallo era stato assicurato con un contratto assicurativo al viaggio in cui l’animale veniva definito nell’ambito della polizza con un determinato pedigree.  A seguito della morte del cavallo durante il viaggio, l’assicurato formulava un reclamo in base alla polizza.  In quel caso la corte ha ritenuto non operante la copertura poichè il pedigree si era rivelato errato nonostante il fatto che tale circostanza non fosse ovviamente rilevante ai fini del rischio e non avesse causato sinistro. La lista dei casi in cui tale rigore applicabile alle “warranty” è stato discusso delle corti inglesi  è lunga. Così la copertura non è stata ritenuta operante nel caso in cui l’assicurato avrebbe dovuto tenere a suo carico uno scoperto di £ 5.000 (cosa che non ha fatto) oppure nel caso in cui per un carico di carne di maiale in scatola era prevista una “warranty” che tutte le lattine fossero marcate con un codice per verificare la data di produzione. Orbene nonostante la presenza del codice la corte non riteneva operante la copertura poiché il codice non permetteva la richiesta verifica. Gli unici casi in cui il mancato soddisfo non provoca l’esclusione della copertura si ravvisa qualora si verifichi un cambio nelle circostanze (tali che la “warranty” non possa trovare applicazione al caso concreto previsto dal contratto) o quando il soddisfo comporterebbe una violazione di legge. Un esempio di quanto sopra potrebbe essere il caso in cui si preveda nel contratto che la nave debba procedere con cinque guardie armate a bordo (a difesa contro i pirati) ma legge del  porto di caricazione non consenta l’imbarco di uomini armati. Le “warranty” possono essere espresse (“expressed”) o implicite (“implied”). Le prime sono quelle definite ed indicate come tali in ogni singolo contratto assicurativo mentre quelle implicite sono quelle previste all’articolo 39 e 41 del Marine Insurance Act 1906 e  sono rispettivamente la “warranty of seaworthiness” (nelle coperture a viaggio) e la “warranty of legality”. La prima inerisce la capacità della nave di affrontare i rischi ordinari della navigazione relativa al viaggio assicurato.  La seconda “warranty” suddetta prevede invece che il viaggio assicurato sia consentito dalla legge e che, nei limiti in cui l’assicurato abbia il controllo, lo stesso sia eseguito in  modo legale.


avv. Serena Giovidelli
Studio Legale Cimmino Carnevale  De FIlippis

Il lavoro in età pensionabile
La scelta del tema relativo ai rapporti tra licenziamento e pensionamento e/o tra quest’ultimo e lo svolgimento dell’attività lavorativa subordinata per questo articolo nasce dall’esame della recente riforma delle pensioni, ovvero della L. n. 201 del 2011, meglio conosciuta come Riforma Salva Italia, la quale ha, ad avviso di chi scrive, determinato il sorgere di alcuni, ancora aperti, dubbi interpretativi lasciati alla valutazione degli operatori del diritto. Invero, come noto, fino all’entrata in vigore del predetto recente intervento legislativo le disposizioni contenute nell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (relativo alla reintegrazione nel posto di lavoro/ risarcimento del danno in caso di licenziamento inefficace o illegittimo) non si applicavano nei confronti dei lavoratori ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici. Conseguentemente il lavoratore che avesse conseguito o richiesto la liquidazione della pensione di vecchiaia, perché in possesso dei relativi presupposti, era licenziabile ad nutum ovvero anche in mancanza di una giusta causa o giustificato motivo di recesso (Cass. 7359/05). Il che del resto corrispondeva ad una specifica e ragionevole logica, laddove il conseguimento dei requisiti pensionistici rendeva non più necessaria la rigida tutela conservatrice sancita dalla richiamata normativa giuslavoristica. Orbene  detta Legge, invece, per quanto qui interessi, ha provveduto non solo e forse opportunamente ad innalzare l’età pensionabile, prevedendo anche un meccanismo di adeguamento correlato all’aumentare della speranza di vita, ma ha anche esteso la tutela di cui alla richiamata legge in materia di licenziamento illegittimo a coloro che, pur possedendo i requisiti necessari (anagrafici e/o contributivi) per accedere alla pensione, optino per rimanere a lavoro fino alla età di 70 anni. Più precisamente sul punto l’art. 24, comma 4, della L. 201 del 2011, prevede che: “(…) il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita (…) Nei confronti dei lavoratori dipendenti, l’efficacia delle disposizioni di cui all’art. 18 della legge 20 maggio 1070 n. 300 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità”. Sta di fatto, tuttavia, che dal tenore letterale della norma non è chiaro, ovvero, non meglio precisato, se la predetta disposizione normativa attribuisca al lavoratore, il quale opti per la prosecuzione della propria attività lavorativa, un vero e proprio diritto potestativo a fronte del quale corrisponderebbe solo un obbligo a carico del datore di lavoro di consentire la prosecuzione, ovvero preveda un “incentivo”, proprio come definito dal Legislatore, ovvero un invito non vincolante per le Parti a valutare la possibilità di far proseguire il rapporto lavorativo fino al limite detto di 70 anni. Il che, tenuto conto delle conseguenze che ne derivano, in termini di tutela reintegratoria e/o risarcitoria in caso di licenziamento, nonché del fatto che, prima della riforma, al raggiungimento dell’età pensionabile, il lavoratore era persino licenziabile ad nutum non è, ad avviso di chi scrive, poco rilevante. Nella giurisprudenza di merito formatasi in materia, ancorché non univoca,  si è formato un orientamento per il quale la norma in esame non attribuirebbe un vero e proprio diritto in favore del lavoratore né alcun correlativo obbligo del datore di prendere passivamente atto della volontà manifestata dal primo. Proprio il termine “incentivato”, scelto dal Legislatore nella redazione della norma, porta ad affermare, infatti, che la disposizione abbia un valore prettamente programmatico. L’art. 24, comma 4, quindi, se da un lato estende la tutela di cui alla L 300/70 ai predetti lavoratori, dall’altro, di fatto, subordina l’operatività della stessa ad una precisa e consapevole scelta/accordo delle Parti in tale senso (cfr. Corte di Appello di Torino 799/2013; Trib. Roma n. 20718/2013;). Diversamente, nel caso in cui, come del resto sostenuto da gran parte della dottrina formatasi in materia, la norma la si debba leggere nel senso che al lavoratore viene riconosciuto un vero e proprio diritto potestativo alla prosecuzione del lavoro, a carico del datore di lavoro si configurerebbe un mero obbligo di accettare tale scelta e la contestuale correlata impossibilità, pur avendo il lavoratore maturato i relativi requisiti pensionistici, di licenziarlo fino al raggiungimento del predetto ulteriore limite di età. Ma non è tutto. Non appare altresì chiarito, attesa la portata generale della norma, né precisato aliunde, in che modo detta disposizione normativa si applichi a tutti quei rapporti di lavoro, come ad esempio quello marittimo, connotati da peculiari caratteristiche, tenuto anche conto che nella individuazione dei lavori cd. usuranti, che sfuggono da tale disciplina, non è espressamente elencata l’attività prestata a bordo delle navi. Peraltro qualora tale normativa fosse ritenuta applicabile essa andrebbe auspicabilmente rimodellata(si pensi ad esempio alle visite mediche che sono effettuale ogni due anni), anche alla luce delle linee guida che, in detto settore, sono state dettate dalla recente Convenzione ILO che, a novembre, entrerà in vigore anche in Italia.
  avv. Andrea Tracci
Studio Legale TDP

I COSTI MINIMI: A breve la sentenza della Corte di Giustizia
Cominciamo, come di consueto, dal riassunto dell’ultima puntata. Come si ricorderà, il TAR del Lazio, investito della vertenza sui c.d. “costi minimi” dell’autotrasporto, aveva disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea (si veda ordinanza TAR Lazio 25.10.2012) per la verifica della compatibilità della norma italiana (art. 83-bis legge 133/2008) con i principi del Trattato UE. Nel frattempo la Commissione Europea ha espresso le sue osservazioni (rese pubbliche in Italia soltanto recentemente) alla Corte, di modo che quest'ultima possa prendere definitivamente posizione, rispondendo all'istanza del TAR Lazio.
In sintesi, il TAR aveva indirizzato la richiesta su tre aspetti: 1) la compatibilità dei predetti costi minimi con la tutela della libertà di concorrenza all’interno del mercato unico, 2) la compatibilità degli stessi con il principio di libera circolazione delle imprese, di stabilimento e di prestazione dei servizi nella UE, e, 3) se la eventuale limitazione di tali principi fosse, o meno, giustificata dall'obbiettivo di salvaguardia dell'interesse pubblico alla sicurezza stradale. In merito all'ultimo aspetto sopra descritto, la Commissione ha espresso il parere secondo cui "…può ricadere nel suo campo di applicazione la determinazione dei costi minimi da parte di un ente quale l'Osservatorio, a meno che: i) l'enunciazione di criteri da parte della legge sia sufficientemente precisa per garantire che i rappresentanti dei vettori e dei committenti perseguano effettivamente gli interessi pubblici prefissati; e ii) sussistano in capo ad un ente pubblico quale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti un controllo ed un potere di decisione in ultima istanza".  Bisogna preliminarmente tener presente che la valutazione della Commissione si riferisce a una situazione ora mutata, dato che l'Osservatorio sull'autotrasporto è stato nel frattempo abolito. Tuttavia, l'importanza di questa indicazione della Commissione risiede nella necessità di garantire a livello procedurale e normativo che l'organismo determinante i costi minimi abbia finalità pubbliche e non private, e cioè non sia assimilabile ad una mera associazione tra imprese. In merito ai primi due aspetti, la Commissione si è, in particolare, così pronunciata: il regime di fissazione dei costi minimi di esercizio nel settore dell'autotrasporto contrasta con la normativa comunitaria "…nella misura in cui essa impone in sostanza una tariffa minima per il corrispettivo delle attività di autotrasporto di merci per conto di terzi, a meno che non ne sia accertata la proporzionalità al fine di perseguire motivi imperativi di interesse generale quali la sicurezza stradale e la qualità dei servizi".  La risposta della Commissione, quindi, suggerisce che i costi minimi sarebbero legittimi qualora concretamente giustificati da una superiore esigenza pubblica, e ciò, ad esempio e nel nostro caso, per effettivamente garantire la legalità del trasporto e la sicurezza della circolazione stradale, circostanza che – nei fatti – sarebbe proprio quella enunciata – quanto meno in via di principio – dal legislatore nazionale.  Ulteriore quesito a cui risponde la Commissione è quello relativo al fatto se la determinazione dei predetti costi minimi di esercizio possa essere rimessa agli accordi volontari di settore o, in subordine, ad organismi caratterizzati da una presenza di soggetti rappresentativi degli operatori economici privati di settore.   Ma veniamo a quanto letteralmente stabilito dalla Commissione. La stessa suggerisce alla Corte queste due risposte:  A)  il combinato disposto degli articoli 101 TFUE e 4 paragrafo 3 TUE deve essere interpretato nel senso che può ricadere nel suo campo di applicazione la determinazione dei costi minimi da parte di un ente quale l’Osservatorio in virtù dell’articolo 83 bis del Decreto 112 del 2008, a meno che i) l’enunciazione di criteri da parte della legge sia sufficientemente precisa per garantire che i rappresentanti dei vettori e dei committenti perseguano effettivamente gli interessi pubblici prefissati e ii) sussistano in capo ad un ente pubblico quale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti un controllo ed un potere di decisione in ultima istanza; B)   l’articolo 49 TFUE osta ad una normativa quale quella stabilita dall’articolo 83bis del Decreto 112/2008 nella misura in cui essa impone in sostanza una tariffa minima per il corrispettivo delle attività di autotrasporto di merci per conto di terzi, a meno che non ne sia accertata la proporzionalità al fine di perseguire motivi imperativi di interesse generale quali la sicurezza stradale e la qualità dei servizi. L'impressione è quindi che la Corte di Giustizia potrebbe accogliere tali suggerimenti della Commissione “assolvendo”, di fatto, la normativa sui costi minimi, ma imponendo allo Stato nazionale queste due prescrizioni: 1) che i costi minimi vanno individuati attraverso una decisione autonoma dell'Amministrazione che non sia condizionata da meri interessi delle categorie coinvolte (vettori, spedizionieri, committenti, ecc.); e 2) che i costi minimi, se pure in via ipotetica limitativi della concorrenza, corrispondano effettivamente, e concretamente, alla generale esigenza dello Stato di garantire la legalità del mercato del trasporto e la sicurezza stradale, e non esistano misure alternative parimenti efficaci. Ma la Commissione, prima di assolvere, enuncia con chiarezza dove e come lo Stato avrebbe potuto (meglio) intervenire. Infatti, essa riconosce in via di principio che “… spetta al giudice nazionale verificare se l’enunciazione dei criteri d’interesse pubblico definiti dalla legge sia sufficientemente precisa per garantire che i rappresentanti dei vettori e dei committenti operino effettivamente nel rispetto degli interessi pubblici generali che la legge si era prefissa di raggiungere; dall’altra se vi sia effettivamente un controllo e un potere di decisione in ultima istanza da parte dello Stato… Qualora si ritenga invece che il dettato normativo non abbia definito con sufficiente precisione i criteri di interesse generale dei principi essenziali ai quali la determinazione dei costi minimi deve conformarsi o che lo Stato non abbia conservato il proprio potere di controllo e decisione, le determinazioni dei costi minimi dell’Osservatorio non avranno carattere pubblico e potranno quindi ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 101 TFUE …” “In tal caso – continua la Commissione -  è opportuno richiamare un ulteriore filone giurisprudenziale, recentemente ripreso dalla Corte, in base al quale non ogni accordo tra imprese o decisione di associazione di imprese che limiti la libertà d’azione delle parti o di una di esse ricade necessariamente nell’ambito di applicazione del divieto previsto dall’art. 101 TFUE e che è necessario valutare quali obbiettivi persegue tale accordo o decisione di associazione di imprese. In tale contesto occorre verificare se gli effetti restrittivi della concorrenza che ne derivano siano idonei al perseguimento di detti obbiettivi … Occorre quindi stabilire se le determinazioni dell’Osservatorio abbiano per oggetto o effetto di restringere la concorrenza ai sensi dell’art. 101 par. 1 TFUE.” E questa è la risposta: “… Nel caso di specie è di tutta evidenza che la fissazione dei costi minimi, impendendo alle imprese di stabilire tariffe inferiori a questi costi, diviene di fatto un’imposizione di una tariffa minimi, comportando un appiattimento del mercato e una limitazione della libertà contrattuale delle parti … Tuttavia, … , occorre stabilire se tali accordi possano essere giustificati alla luce degli obbiettivi legittimi che essi eventualmente perseguono, laddove le restrizioni alla concorrenza siano idonee al conseguimento di tali obbiettivi e limitate a quanto necessario … Nel caso di specie, la normativa nazionale indica che le determinazioni dell’Osservatorio debbono essere improntate alla tutela della sicurezza stradale e alla regolarità del mercato… La Commissione ritiene che il primo di tali obbiettivi sia da considerarsi come un obbiettivo legittimo; lo stesso dicasi per il secondo, a condizione che si intenda con “regolarità del mercato” la tutela della qualità dei servizi. Tuttavia, …, la Commissione nutre dubbi sul fatto che la determinazione dei costi minimi sia effettivamente idonea al perseguimento della tutela della sicurezza stradale e sia limitata a ciò che è necessario a conseguire tale scopo … Infatti, mentre vi può essere astrattamente un legame tra i costi di manutenzione e la sicurezza stradale, non è chiaro quale sia il legame tra la sicurezza stradale e il costo del lavoro, dei pedaggi autostradali … del carburante etc … (…)… Spetta però al giudice nazionale, alla luce del contesto globale nel quale le determinazioni dell’Osservatorio sono inserite, se tali determinazioni, nella parte in cui fanno riferimento alla sicurezza stradale e alla regolarità del mercato, possano essere considerate necessarie al conseguimento del predetto obbiettivo legittimo di interesse generale e limitate al necessario … (…) Secondo la Commissione … le tabelle operano in sostanza come tariffe minime … e rendono più difficile lo stabilimento di nuove imprese sul mercato … Pertanto, la Commissione ritiene che l’obbligo delle tariffe minime sia da qualificarsi come ostacolo ai sensi dell’art. 49 TFUE … Quanto ad un’eventuale giustificazione, l’art. 83-bis del Decreto 112/2008 menziona la sicurezza stradale … che può essere considerata come un motivo di interesse generale … E’ quindi necessario operare l’esame della proporzionalità della misura in esame, e cioè verificare se la misura in questione sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vada oltre a quanto necessario … Nella fattispecie sussistono dettagliate norme circa la sicurezza stradale, che costituiscono misure meno restrittive … Inoltre, le misure in esame vanno al di là del necessario perché non permettono al vettore di provare che esso, nonostante offra prezzi inferiori, si conformi pienamente alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza … Alla luce di ciò che precede la Commissione nutre dei dubbi circa la proporzionalità delle misure in questione sia quanto alla loro idoneità a perseguire gli obbiettivi prefissati sia quanto al fatto di andare al di là del necessario, sia quanto alla possibilità di raggiungere gli obbiettivi perseguiti tramite misure meno restrittive … (…omissis…)” Secondo la Commissione, pertanto, l’art. 49 TFUE osta ad una normativa quale quella dell’art. 83-bis, a meno che non ne sia accertata la proporzionalità al fine di perseguire motivi imperativi d’interesse generale quali la sicurezza stradale e la qualità dei servizi. Spetterà quindi allo Stato dare dimostrazione della concreta incidenza della normativa in questione “sospetta” rispetto alla finalità che essa si propone, o quanto meno enuncia di perseguire. Infine la parola passerà alla Corte di Giustizia.

 avv. Francesca D’Orsi
Studio Legale D’Orsi

Il bagaglio a mano: l'odissea del viaggiatore moderno
si torna a parlare  di bagaglio a mano, croce e delizia del viaggiatore moderno. Viaggiare in aereo con il solo bagaglio a mano è certamente utile: nessun rischio di smarrimento, nessuna attesa per la riconsegna, nessun rischio di danneggiamento. Tuttavia tale possibilità è riconosciuta  gratuitamente solo entro limiti stabiliti. Sappiamo tutti che è permesso portare con sé in cabina un bagaglio a mano, ma quando si parla di "come deve essere il bagaglio a mano" ecco che le idee si fanno a dir poco meno chiare. La normativa sul bagaglio a mano trova origine nel d.m. 001/36 del 28 gennaio 1987 che regolamentando la dimensione del bagaglio a mano dispone che "è consentito il trasporto in cabina di un solo bagaglio, corredato di etichetta nominativa, a condizione che la somma delle dimensioni (base, altezza, profondità) non superi complessivamente i 115 cm". Pertanto, sulla base della normativa precitata, ogni viaggiatore può portare con sé un bagaglio a mano di qualsiasi misura purché nella somma dimensionale non superi il valore indicato dal d.m. 001/36 precitato. Ma le cose non sono cosi semplici come possono sembrare. Ed è qui che nasce il paradosso del viaggiatore moderno: in teoria stando al dettato normativo, qualsiasi  bagaglio ricompreso in quella somma dimensionale è ammesso a bordo come bagaglio a mano, ma cosi non è nella pratica. Il viaggiatore moderno si troverà a fronteggiare, centimetro alla mano, le varie misure predisposte dal vettore aereo nelle proprie condizioni generali di trasporto.  Perché parafrasando un vecchio adagio "vettore che vai, misure del bagaglio a mano che trovi" e da una rapida ricerca sul siti internet dei vari vettori aerei ecco che il povero viaggiatore ne esce confuso e disorientato. E non si pensi ingenuamente che tale situazione si verifichi solo ed esclusivamente per i vettori c.d. low cost, infatti anche con  le c.d. compagnie di bandiera si assiste ad una certa confusione sulle famigerate misure del bagaglio a mano. Dal sito internet del vettore Alitalia si legge che " è ammesso a bordo del velivolo un solo bagaglio a mano del peso massimo complessivo di  8 kg che, comprese maniglie, tasche laterali e rotelle, non superi le seguenti dimensioni: 55 cm di altezza, 35 cm di larghezza e 25 cm di spessore" con l'invito a "Verificare misure e peso del tuo bagaglio a mano con il personale Alitalia o presso i misuratori bagaglio vicino ai banchi check-in, prima dell’imbarco. I passeggeri che non effettuano o non superano il controllo del bagaglio potrebbero non essere accettati a bordo”. Il vettore Easy Jet introduce un'altra variabile a questa equazione già cosi complicata per il nostro povero viaggiatore "la garanzia easy Jet sul bagaglio a mano".  In che cosa consiste questa garanzia. La garanzia è "portare UN solo bagaglio leggermente più piccolo di dimensioni non superiori a 50 x 40 x 20 cm, maniglie e ruote comprese, e il trasporto del bagaglio sarà sempre garantito con te negli alloggiamenti superiori o, se necessario, sotto il sedile anteriore". Ma se il viaggiatore non volesse "restringere le dimensioni" e si attenesse a quelle stabilite dalla normativa? Easy Jet risponde, "Puoi ancora scegliere di portare UN solo bagaglio di dimensioni leggermente più grandi e non superiori a 56 x 45 x 25 cm, maniglie e ruote comprese. Tuttavia, su alcuni voli affollati, il tuo bagaglio potrebbe dover essere alloggiato nella stiva".  Da RyanAir si assiste ad un'altra novità; il vettore irlandese ammette "Una borsa cabina per passeggero  di peso fino a 10 kg e con dimensioni massime di 55 cm x 40 cm x 20 cm , più 1 piccola borsa con dimensioni massime di 35 x 20 x 20 cm. A causa di limitazioni di spazio in cabina solo 90 borse cabina ( 55 x 40 x 20 cm ) può essere trasportata in cabina , ogni valigia aggiuntiva verrà trasportata gratuitamente nella stiva dell'aereo", bene direte Voi ed invece no ecco che "Ogni bagaglio aggiuntivo o con dimensioni superiori  verrà rifiutato al gate d’ imbarco , o laddove disponibile , collocato nella stiva dell'aereo per una tariffa di £ 50/€ 50 ( tariffa soggetta a IVA su voli nazionali a tariffe governative applicabili ) . Se non siete sicuri , controllate ai banchi del check-in prima di recarvi ai controlli di sicurezza aeroportuale". Il vettore Lufthansa ammette “In First e in Business Class si può portare con sé a bordo due bagagli a mano e il relativo contenuto. In Economy Class è invece concesso un solo bagaglio a mano. Tenga presente, tuttavia, che in singoli paesi possono valere disposizioni diverse.
Un bagaglio a mano deve misurare al massimo 55 cm x 40 cm x 23 cm e non può superare gli 8 kg. Sono esclusi i portabiti pieghevoli. La custodia per abiti viene considerato bagaglio a mano fino a una dimensione di 57 cm x 54 cm x 15 cm”. Vi sono poi compagnie aeree più generose, tra cui la British Airways che per sua stessa ammissione si dice “orgogliosa” di offrire una delle più generose franchigie bagaglio a mano gratuita di qualsiasi altra compagnia aerea ed invero consente di portare con se "un bagaglio di misure, tutto compreso, di 56cm x 45cm x 25cm, comprese maniglia, oltre ad un altro di 45cm x 36cm x 20cm sempre tutto compreso”. Le c.d. compagnie di bandiera sono quelle che più di altre rispettano la normativa contenuta nel d.m. 001/36 del 28 gennaio 1987. Tuttavia attualmente i vettori aerei maggiormente utilizzati dal viaggiatore medio sono i voli a tariffa ridotta che consentono di ridurre drasticamente il prezzo dei passaggi aerei a volte con qualche differente configurazione per i bagagli. Per questo nel caso dei voli low cost è sempre necessario informarsi su eventuali specifiche disposizioni per i bagagli da portare in cabina per evitare di incorrere in sovrapprezzi indesiderati che potrebbero far variare sensibilmente i costi.
Di seguito le regole sul bagaglio delle principali compagnie low cost, aggiornate.

* airberlin.com: 55x40x20 cm e limite peso 8 kg (10 kg con laptop);
* Air One: 55x35x25 cm e limite peso 8 kg;
* Blu-Express: 55x40x20cm e massimo 10 kg;
* easyJet: 56x45x25 cm e limite peso 20 kg (dal 2 luglio 2013, garanzia di imbarco in cabina solo per i bagagli con misure entro 50 x 40 x 20 cm);
* Meridiana: 55x40x20 cm e massimo 8 kg (5 kg sui voli operati da A/M ATR);
* Ryanair: 55x40x20 cm e limite peso 10 kg;
* Vueling: misura massima di 55x40x20cm e 10 kg di peso (14 kg con tariffa Excellence);
* Wizz Air: piccolo, dimensioni massime 42x32x25 cm; grande, dimensioni massime di 56x45x25 cm con supplemento.
Tuttavia il quadro complessivo (compagnie di bandiera e c.d. low cost) che emerge da questa analisi è che effettivamente le previsione del d.m. 001/36 del 28 gennaio 1987 sono destinate ad essere disattese: o perché effettivamente vengono previste delle dimensioni fisse in larghezza lunghezza o profondità anche se corrispondenti nella loro somma ai 115 cm; oppure perché vengono pretese delle misure fisse inferiori rispetto a quelle previste dalla normativa precitata. Insomma tra compagnie aeree più generose e compagnie aeree più restrittive ecco che al viaggiatore non basta attenersi alla normativa, ma dovrà verificare volta per volta con il vettore aereo prescelto le misure consentite e centimetro alla mano, cercare di far quadrare il cerchio del famigerato "bagaglio a mano".



avv. Daniela D’Alauro
Studio Legale Turci

I recenti sviluppi in materia di lotta  alla contraffazione

A partire dal 1° gennaio 2014 hanno trovato applicazione le disposizioni del Regolamento (UE) n. 608/2013, relativo alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale da parte delle autorità doganali, che ha abrogato il Regolamento (CE) n. 1383/2003. In particolare il nuovo Regolamento stabilisce le condizioni e le procedure per l’intervento delle autorità doganali quando merci sospettate di violare un diritto di proprietà intellettuale sono, o avrebbero dovuto essere, soggette a vigilanza o controllo doganale nel territorio doganale dell’Unione Europea, avendo come obiettivo, alla luce del mutato quadro economico, commerciale e giuridico, il rafforzamento della tutela dei diritti di proprietà individuale, garantendo nello stesso tempo la certezza del diritto.  A tal riguardo viene innanzitutto ampliata la nozione di “diritto di proprietà intellettuale”, che include categorie prive di tutela nella previgente disciplina e precisamente: la “denominazione commerciale”, purché protetta come un diritto esclusivo di proprietà intellettuale ai sensi della normativa nazionale o dell’Unione; la “topografia di prodotto a semiconduttori” ai sensi della normativa nazionale o dell’Unione e il “modello di utilità”, purché protetto come un diritto di proprietà intellettuale dalla normativa nazionale o dell’Unione. Viene esteso altresì l’ambito delle violazioni laddove nella nozione di “merce sospettata di violare un diritto di proprietà intellettuale” rientrano i dispositivi “principalmente progettati, prodotti o adattati con la finalità di rendere possibile o di facilitare l’elusione di qualsiasi tecnologia” volta a tutelare il diritto di proprietà intellettuale. La disciplina introdotta dal Regolamento si applica alle: merci dichiarate per l’immissione in libera pratica, per l’esportazione o la riesportazione; merci in entrata o in uscita dal territorio doganale dell’Unione e alle merci vincolate a un regime sospensivo o poste in zona franca o in un deposito franco.  Come il previgente Regolamento anche la nuova normativa non si applica alle violazioni derivanti né dal c.d. commercio parallelo illegale - ossia merci fabbricate con l’accordo del titolare del diritto, ma commercializzate per la prima volta nello spazio economico europeo senza la sua approvazione - né dai c.d. superamenti dei quantitativi (o “overruns”) -ossia merci, la cui fabbricazione è effettuata da una persona debitamente autorizzata dal titolare del diritto a produrre un certo quantitativo, ma prodotte in quantità superiore a quella convenuta tra tale persona e il titolare del diritto - in quanto trattasi, in entrambi i casi di merci autentiche; non rientrano nell’ambito di applicazione del Regolamento (UE) 608/2013 neppure la merci prive di carattere commerciale contenute nei bagagli personali dei viaggiatori né le merci immesse in libera pratica nell’ambito del regime della destinazione particolare.  I soggetti legittimati a presentare una domanda di intervento, da cui trae avvio il procedimento, volto a determinare se un diritto di proprietà intellettuale è stato violato e nel quale le autorità doganali sono invitate a intervenire, sono espressamente indicati nel Regolamento in relazione al tipo di domanda proposta. Si distingue infatti tra domanda c.d. nazionale e domanda c.d. unionale a seconda che venga richiesto l’intervento delle autorità doganali rispettivamente del solo Stato membro in cui viene presentata la domanda ovvero di più Stati membri. A titolo esemplificativo, possono proporre entrambe le domande i  titolari dei diritti di proprietà intellettuale, alcuni organi di difesa professionali ed alcune associazioni di produttori; possono presentare invece solo una domanda nazionale ovvero solo una domanda unionale rispettivamente i soggetti autorizzati ad utilizzare diritti di proprietà intellettuale  ovvero i titolari di licenze esclusive che coprono l’intero territorio di due o più Stati membri, a condizione che, in entrambi i casi, vi sia stata l’autorizzazione formale da parte del titolare del diritto a proporre un’azione per determinare se un diritto di proprietà intellettuale è stato violato.  In caso di rigetto della domanda l’Agenzia delle Dogane deve motivare la propria decisione e fornire informazioni sulla procedura di ricorso.  In caso di accoglimento della domanda, l’Agenzia delle Dogane stabilisce il periodo durante il quale le autorità doganali devono intervenire, salvo, alla scadenza, prorogare tale periodo su richiesta del destinatario della decisione. Il Regolamento (UE) 608/2013 ha reso obbligatoria la c.d. procedura semplificata già prevista dal previgente Regolamento solo in via facoltativa, laddove autorizzava gli Stati membri a prevedere una procedura che consentisse la distruzione di alcune merci senza l’obbligo di avviare un procedimento per stabilire se un diritto di proprietà intellettuale era stato violato, essendosi rivelata particolarmente efficace negli Stati membri in cui era in vigore. In base alle disposizioni del nuovo Regolamento le merci sospettate di violare un diritto di proprietà intellettuale possono essere distrutte sotto controllo doganale, senza che sia necessario determinare se un diritto di proprietà intellettuale sia stato violato, se entro dieci giorni lavorativi (tre giorni lavorativi in caso di merci deperibili) dalla notifica della sospensione dello svincolo o del blocco della merce, il richiedente ha confermato per iscritto che un diritto di proprietà intellettuale è stato violato, chiedendo la distruzione della merce, e il dichiarante o detentore della merce ha altresì confermato il proprio accordo alla distruzione.  Se il dichiarante o il detentore delle merci non hanno confermato il proprio accordo alla distruzione né hanno notificato la propria opposizione a tale distruzione alle autorità doganali entro i suddetti termini, le autorità doganali possono ritenere che il dichiarante o il detentore delle merci abbiano confermato il proprio accordo alla distruzione delle merci. Viene introdotta una procedura specifica per le piccole spedizioni, definite quali spedizioni postali o a mezzo corriere espresso che comprendano non più di tre unità ovvero di peso lordo inferiore a due chilogrammi. In tali casi le merci sospettate di essere contraffatte o usurpative possono essere distrutte senza l’esplicito consenso del richiedente, essendo sufficiente la richiesta generale presente nella domanda di intervento. Tuttavia in relazione sia alla c.d. procedura semplificata sia alla procedura per le piccole spedizioni, l’Agenzia delle Dogane con la Circolare 24/D del 30 dicembre 2013  ha precisato che nel nostro ordinamento non si applicano le disposizioni relative alla distruzione della merce, in quanto incompatibili con la normativa nazionale sancita dal codice di procedura penale, che non permette l’immediata distruzione delle merci prima di essere stato accertato un reato; inoltre l’accordo per la distruzione delle merci risulterebbe essere, di fatto, di tipo privatistico tra le parti e si porrebbe in contrasto con l’obbligo, in capo ai funzionari doganali nella loro veste di ufficiali di P.G., di riferire senza indugio all’Autorità Giudiziaria ex articolo 347 c.p.p. Il recente Regolamento istituisce una banca dati centrale della Commissione Europea, in formato elettronico, COPIS, che diventerà operativa non oltre il 1° gennaio 2015, in cui confluiranno tutte le decisioni di accoglimento, proroga o sospensione delle domande di intervento e le informazioni concernenti la sospensione dello svincolo delle merci ovvero il blocco delle stesse. La sopra richiamata Circolare ha specificato che in Italia continuerà ad essere utilizzato il sistema F.A.L.S.T.A.F.F. (Fully Automated Logical SysTem Against Forgery and Fraud), istituito nel 2004 dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per contrastare la contraffazione delle merci e l’usurpazione dei brevetti e basato su una banca dati multimediale dei prodotti autentici, integrata nelle procedure di sdoganamento. In particolare F.A.L.S.T.A.F.F. riceve i dati multimediali forniti dalle aziende a corredo delle istanze di tutela e li rende disponibili, in tempo reale, ai funzionari doganali per riconoscere i prodotti contraffatti e per individuare i prodotti non conformi agli standard di qualità e di sicurezza previsti dalla normativa comunitaria. Infatti la Direzione Centrale Tecnologie per l’Innovazione ha predisposto l’interfaccia system-to-system tra il sistema F.A.L.S.T.A.F.F. e il COPIS, che consentirà il riversamento nel sistema Unionale COPIS delle informazioni presenti nella banca dati italiana. Il Regolamento ha specificato che non si profila alcuna responsabilità delle autorità doganali, per tutti i casi in cui le stesse concedano lo svincolo ovvero omettano di bloccare merci sospettate di violare un diritto di proprietà intellettuale, che quindi sfuggono al controllo di un ufficio doganale; conseguentemente la decisione di accoglimento di una domanda non conferisce al destinatario di tale decisione alcun diritto al risarcimento nei confronti  dell’Agenzia delle Dogane. Per contro, si configura una responsabilità del destinatario della decisione nei confronti del detentore delle merci o dichiarante che abbiano subito un danno, nei casi in cui un procedimento venga interrotto a seguito di un atto o omissione del destinatario della decisione; i campioni prelevati non siano restituiti ovvero vengano danneggiati e resi inutilizzabili a seguito di un atto o omissione del destinatario della decisione; o infine  se emerge in seguito che le merci in questione non violano un diritto di proprietà intellettuale. Il destinatario delle decisione, ossia il richiedente, è tenuto a rimborsare i costi sostenuti dalle autorità doganali per il loro intervento, ma può chiedere un risarcimento all’autore della violazione o ad altre persone responsabili.

avv. Margherita Pace
Studio Legale TDP

Diritti ed Obblighi del  Passeggero nel trasporto ferroviario
Il 17 aprile 2014 è stato emanato il Decreto Legislativo n. 70 sulla disciplina sanzionatoria per le violazioni delle disposizioni del regolamento CE n. 1371/2007 relativo ai diritti ed obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario. La nuova normativa è stata quindi pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 103 del 6 maggio 2014 e, conseguentemente, è entrata in vigore pochi giorni fa, in data 21 maggio 2014. In realtà l’Italia avrebbe dovuto recepire il suddetto regolamento europeo entro il 3 dicembre 2009 e, non avendo assolto a tale obbligo in tempo, è comunque stata deferita, lo scorso marzo, alla Corte di Giustizia europea. Il Regolamento CE 1371, infatti, è già vigente negli altri stati europei da oltre quattro anni e ha imposto agli stessi di dotarsi di un corpo di norme sanzionatorie a tutela del passeggero e di un organismo di controllo che vegli sulla loro osservanza ed applicazione. Non avendo l’Italia provveduto ad adeguarsi in tempo al predetto sistema, si è esposta al controllo della Commissione Europea che, infatti, a giugno dello scorso anno, ha provveduto ad avviare una procedura d’infrazione conclusasi col deferimento del nostro Paese alla Corte di Giustizia dell’Unione.  I principi cardine contenuti nel Regolamento 1371/2007, e ai quali l’Italia avrebbe dovuto adeguarsi già da tempo, sono in primis il diritto dei passeggeri ad essere informati antecedentemente, durante e dopo il viaggio in ordine ai servizi garantiti e forniti dalla compagnia di trasporto, in ordine alla gestione del singolo viaggio (comprese le informazioni inerenti i possibili ritardi, sulle coincidenze e relative ai servizi a bordo), nonché attinenti alle procedure di reclamo. Secondariamente il Regolamento in esame prevede che il vettore ferroviario tuteli il singolo viaggiatore per gli eventuali danni che gli dovessero essere arrecati a causa del trasporto e ciò dotandosi, in particolare, di una copertura minima assicurativa per passeggero fissata in € 310.000,00 e garantendo rimborsi e risarcimenti per i bagagli (con un tetto massimo di € 1800,00), per gli eventuali ritardi e cancellazioni fatte, ovviamente, fatte salve le circostanze eccezionali. Ai viaggiatori disabili, inoltre, la normativa europea richiede che venga garantita assistenza continua per tutta la durata del viaggio e a seconda delle specifiche necessità. Con la pubblicazione del decreto legislativo n. 70/2014 l’Italia ha, finalmente, recepito questi principi, prevedendo un corpo di norme sanzionatorie che ne tutelano l’osservanza.  In particolare, in questa nuova normativa, vengono previste sanzioni pecuniarie nel caso in cui l’impresa ferroviaria di trasporto non rispetti i diritti dei passeggeri già stabiliti dal regolamento UE 1371. I vettori saranno severamente sanzionati– sia in relazione ai trasporti nazionali che regionali - anche in caso di carenza di informazioni sulle modalità di indennizzo e risarcimento e in caso di ritardi, di coincidenze perse e soppressioni.  In tal modo il d. lgs. 70/2014 fornisce un importante aiuto nella direzione  di una maggiore tutela dei diritti dei passeggeri e specialmente di quelli che devono far fronte a continui disagi e disservizi, cioè i pendolari. Il decreto legislativo è composto da 21 articoli dei quali analizzeremo ora, brevemente, il contenuto. All’art. 3 viene istituito organismo di controllo,sulla applicazione delle eventuali sanzioni derivanti dall’inosservanza delle norme contenute nel Regolamento 1371, la Autorità di regolazione dei trasporti - già costituita dall'articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, conmodificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. A tale Organismo viene assegnato anche un potere ispettivo pregnante e consentito di acquisire documentazione presso i soggetti interessati anche mediante ispezioni e accessi. Al comma 4 dell’art. 4 è stabilito che il singolo passeggero, trascorsi 30 giorni dalla presentazione di un reclamo alla impresa ferroviaria (procedura che viene comunque disciplinata dall’art.18 della stessa normativa), possa rivolgersi all’Organismo di controllo che istruirà e valuterà ogni singolo caso onde accertare l’eventuale infrazione.
Al successivo art. 5 viene demandato all’Autorità di regolazione dei trasporti di dotarsi, entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto, di una disciplina per l’accertamento e l’irrogazione delle sanzioni ‘in modo da assicurare agli interessati la piena conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio in forma scritta e orale, la verbalizzazione e la separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie’. Anche la determinazione dell’importo della multa viene determinato dall’Organismo di controllo nel rispetto di criteri proporzionali che tengano conto della gravità della sanzione, della reiterazione della fattispecie, del comportamento tenuto dal vettore per eliminarne o attenuarne le conseguenze e, infine, del rapporto percentuale di passeggeri coinvolti dalla violazione rispetto alla totalità dei trasportati. Nel capo II del decreto 70 vengono elencate  le sanzioni in materia contrattuale. In particolare vengono definite inefficaci le clausole che limitano o derogano l’applicazione del regolamento Europeo 1371/2007 (Art. 7) e stabilite sanzioni (da € 2.000 a € 20.000) nel caso in cui l’impresa ferroviaria ometta di rendere pubblica la soppressione di un servizio (art. 8). All’art. 9, comma 1,  del Decreto Legislativo in esame è stabilito che ‘In caso di inosservanza di ciascuno degli obblighi informativi relativi ai viaggi oggetto del contratto di trasporto di cui all'allegato II, parte I, del regolamento, ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, del regolamento, le imprese ferroviarie e i venditori di biglietti che offrono contratti di trasporto per conto di una o piu' imprese ferroviarie sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro. Alla stessa sanzione sono soggetti i venditori di biglietti che offrono contratti di trasporto per conto proprio e i tour operator qualora abbiano la disponibilità delle suddette informazioni’. La normativa prevede poi che siano agevolate le modalità di vendita dei titoli di viaggio  e che venga assicurata, in ordine a tale operazione, la massima snellezza e trasparenza, anche sui costi. Nel caso (in Italia frequente) in cui, anche solo temporaneamente, non sia disponibile in stazione alcuna modalità di compravendita del biglietto, questo dovrà essere venduto a bordo senza che sia applicato alcun sovraprezzo. Al vettore che non si attenga a questa norma sarà possibile richiedere che venga applicata una sanzione da € 1.000,00 ad € 5.000,00. Quanto alle sanzioni in materia di responsabilità delle imprese ferroviarie in relazione ai passeggeri e bagagli viene disposto (al capo III) che il vettore sia dotato di una assicurazione con copertura minima di € 310.000,00 a persona, come già detto, e che laddove quest’obbligo non sia rispettato venga comminata una sanzione amministrativa pecuniaria da € 50.000,00 ad € 150.000,00. Il capo IV del decreto legislativo 70 riguarda le sanzioni applicate in caso di perdite di coincidenze, ritardi e soppressioni. In particolare viene chiaramente statuito che il vettore ferroviario debba rendere conoscibili le disposizioni concernenti le modalità di rimborso e indennizzo al passeggero e che renda celeri le procedure liquidative (sul punto, si ricorda, che il regolamento UE 1371/2007 prevede il rimborso pieno del biglietto ovvero la riprotezione con altro trasporto in casso di cancellazione del viaggio ovvero il rimborso del 25% del biglietto in caso di ritardo contenuto tra i 60 e 119 minuti ovvero del 50% per i ritardi superiori). Assicurata al passeggero è anche l’assistenza in caso di ritardo o interruzione del viaggio, anche con l’ausilio di mezzi di trasporto alternativi. Nel caso in cui tutto ciò non venga osservato vengono applicate ulteriori, salate, ammende. Il capo V si occupa di tutelare in egual misura le persone affette da disabilità, alle quali va garantito dall’impresa il massimo accesso ed assistenza. Particolare attenzione viene poi rivolta alla tutela della sicurezza dei viaggiatori e, all’art. 17, viene stabilito che ‘Le imprese ferroviarie, i gestori delle infrastrutture e i gestori delle stazioni adottano le misure idonee, stabilite di concerto con le autorita' pubbliche, allo scopo di assicurare la sicurezza personale dei passeggeri come prescritto dall'articolo 26 del regolamento. In caso di inosservanza del predetto obbligo le imprese ferroviarie, i gestori delle infrastrutture e i gestori delle stazioni sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro. Restano fermi in ogni caso i compiti e gli interventi di esclusiva responsabilità degli organi di polizia e di pubblica sicurezza, come stabiliti dalle norme vigenti’.  Finalmente, anche in Italia, le imprese di trasporto ferroviario di persone dovranno, dunque, rispettare e tutelare i diritti dei passeggeri e impegnarsi a raggiungere e mantenere i più alti standard di servizio.
   Avv. Claudio Perrella
Studio legale LS Lexjus Sinacta


L’arbitrato nella vendita internazionale di soft commodities: termini e cautele per l’operatore italiano

Come noto i contratti-tipo GAFTA, FOSFA ed INCOGRAIN contengono una clausola compromissoria che deferisce ad arbitrato la risoluzione di ogni contenzioso nascente dal contratto, e  che costituisce senza dubbio uno degli elementi distintivi di tali contratti.  Il richiamo alla clausola compromissoria, oltre al vincolo di affidare agli arbitri la risoluzione dei contenziosi,  spesso implica anche un ulteriore obbligo, ossia la rinuncia a rivolgersi all’autorità giudiziaria del proprio paese  (per esempio per richiedere la concessione di un sequestro conservativo ai danni della controparte)  fino al momento in cui non venga emesso il lodo arbitrale che definisce il contenzioso. Tale previsione è contenuta in una clausola che viene tradizionalmente definita nel diritto inglese come Scott Avery Clause. (Mantovani c. Carapelli  (1980); Glencore v. Agros (1999).  Va però segnalata una differenza significativa tra i contratti GAFTA e FOSFA: nei primi  la clausola è stata negli anni recenti modificata,  ammettendo espressamente la possibilità  di chiedere un sequestro  conservativo (o un provvedimento analogo che serva a tutelare il credito) prima dell’inizio o in pendenza  del procedimento arbitrale; il limite invece esiste tuttora per i contratti FOSFA, come confermato anche in tempi molto recenti. (In tempi recenti  B v S (2011) EWHC 691 (Comm) Il regolamento arbitrale di ciascuna associazione   indica i termini  entro i quali promuovere l’arbitrato. Tali termini (che sono stati più volte ritoccati nel corso degli anni)  possono essere molto brevi; il principio seguito è che termini esigui trovano applicazione per reclami aventi ad oggetto la qualità della merce ed il rispetto delle specifiche contrattuali, mentre un lasso di tempo più esteso (di regola un anno) viene invece riconosciuto per contenziosi di natura diversa (in particolare il risarcimento del danno da default).  La brevità dei termini entro i quali dare inizio all’arbitrato nei contenziosi di natura qualitativa si spiega alla luce del fatto che analisi e controlli vanno eseguiti con rapidità per essere effettivamente rappresentativi, e soprattutto laddove si contesti uno stato precario della merce ogni ritardo è suscettibile di alterare in modo sostanziale il quadro probatorio. Un elemento controverso e spesso fonte di contenziosi è il potere attribuito agli arbitri di ammettere arbitrati promossi con ritardo. Le Arbitration Rules di GAFTA e FOSFA stabiliscono in particolare che la parte che non rispetta il termine previsto per dare inizio all’arbitrato può chiedere che gli arbitri ammettano comunque il reclamo.  Di regola gli arbitri esercitano tale potere qualora la parte reclamante dimostra che il ritardo è dovuto  ad un elemento fortuito o una causa di forza maggiore, o il ritardo è molto contenuto, e  non arreca di fatto alcun pregiudizio per la parte convenuta.( Comdel Commodities Ltd v Siporex Trade SA (1990)  Va tenuto presente tuttavia che è sempre opportuno muoversi con la massima tempestività,  senza confidare sulla possibilità di beneficiare di una proroga, la cui concessione non può mai darsi per scontata. Sotto questo profilo è emblematico un caso recente (SOS Corporacion Alimentaria SA and another v Inerco Trade SA  (2010)  EWHC 162- Comm) relativo ad un contenzioso sorto a seguito della accertata contaminazione di un carico di olio di semi di girasole di origine ucraina,  con  contratto che richiamava le condizioni FOSFA 54.   Parte acquirente ha rilevato con notevole ritardo (rispetto alla scadenza di 120 giorni prevista nelle FOSFA Rules)  l’esistenza di una contaminazione ed ha dato avvio al procedimento arbitrale cinque mesi dopo aver accertato che la merce era gravemente fuori specifica.   Gli arbitri FOSFA - e successivamente la Commercial Court alla quale era stata richiesta la concessione di una extension ai sensi della Section 12 dell’Arbitration Act 1996 -  hanno respinto la richiesta di rimessione in termini, evidenziando che parte acquirente non aveva offerto alcuna ragionevole spiegazione per giustificare il ritardo maturato. E’ previsto il termine massimo di un anno entro il quale la parte che ha dato inizio all’arbitrato deve dare impulso alla procedura, termine decorso il quale la parte perde il diritto di agire ed il procedimento si estingue.  Per evitare tale (grave) conseguenza è prevista la possibilità di rinnovare la presentazione del  reclamo entro 30 giorni dalla scadenza del termine annuale. Anche in tal caso occorre agire con tempestività, ed in caso di eventuali ritardi gli arbitri spesso operano una valutazione fondata sull’accertamento del danno che per la parte resistente deriva dall’eventuale ritardo.  Questo è stato ad esempio il criterio seguito in un caso (Gulf Import & Export Co v. Bunge -2009) nel quale il Board of Appeal della FOSFA, in relazione ad un contenzioso per controstallie pari a circa 5,5 milioni di dollari, ha ammesso il reclamo pur essendo decorso il termine annuale sul presupposto che parte resistente “could show absolutely no prejudice suffered by reason of Bunge’s failure to send them a renewal of claim notice”.  Un caso recentissimo (Bunge SA  v.  Nibulon Trading)  ha confermato nuovamente la gravità delle conseguenze che possono sorgere dal mancato rispetto dei termini previsti nei regolamenti arbitrali. Il contenzioso aveva ad oggetto i danni da inadempimento nascenti dalla mancata esecuzione di un contratto di vendita di grano di origine Ucraina.  Parte acquirente aveva nominato il proprio arbitro, e ne aveva dato comunicazione ai  venditori  il 1 dicembre 2006, ma aveva preferito in seguito sospendere il procedimento,  ed aveva per anni rinnovato le comunicazioni  di avvio dell’arbitrato. Il primo rinnovo era avvenuto il 2 novembre 2007  (nel rispetto dei 30 giorni dalla prima nomina degli arbitri), in seguito le comunicazioni erano state trasmesse il 31 ottobre 2008, il 30 ottobre 2009 ed il 22 ottobre 2010, e dunque tutte entro 30 giorni dalla precedente comunicazione, ma tutte premature rispetto al termine di 30 giorni calcolato tenendo conto della originaria nomina del 1 dicembre 2006. Il Board of Appeal della GAFTA ha ritenuto che tali comunicazioni fossero inefficaci,  in quanto trasmesse senza rispettare il termine prescritto, con una pronuncia di particolare severità ed ispirata ad estremo formalismo (poiché ha dichiarato  la inefficacia di comunicazioni di rinnovo trasmesse non oltre il termine prescritto, bensì qualche giorno prima del periodo di 30 giorni stabilito nei regolamenti).

avv. Fabio Pieroni           
Studio Legale Siccardi Bregante& C.

Il caso Theresa Libra / MSC Pamela
Il caso trae origine da una collisione avvenuta il 6.3.2011 nelle acque del Mare Cinese Meridionale tra le navi “Theresa Libra”, una chimichiera del 2007 di 11.254 tonnellate di stazza lorda e “MSC Pamela”, una portacontenitori del 2005 di 107.849 tonnellate di stazza lorda (la sentenza è consultabile per esteso all’indirizzo http://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/Admlty/2013/2792.html). Pochi giorni dopo l’avvenimento veniva sottoscritto tra le parti - come è prassi frequente nel settore – un accordo sulla giurisdizione (c.d. Collision Jurisdiction Agreement) in forza del quale la controversia veniva convenzionalmente sottoposta alla giurisdizione inglese. Il 25 Ottobre 2012, a seguito di trattative tra i legali delle parti in merito alla ricostruzione dinamica degli avvenimenti, veniva sottoscritto l’altrettanto non infrequente accordo di apporzionamento di responsabilità (c.d. Agreement to Settle Liability) in forza del quale il 75% della colpa per la collisione veniva convenzionalmente ascritta alla “MSC Pamela” ed il 25% alla “Theresa Libra”. Tale accordo prevedeva, tra l’altro, che in caso di mancata definizione amichevole, i reclami delle due parti avrebbero dovuto essere sottoposti all’Admiralty Registrar. Il 5 Dicembre 2012 il legale della “Theresa Libra” inviava al collega di controparte la ocumentazione a sostegno del proprio reclamo ammontante a circa USD 780.000 chiedendo di ricevere copia della documentazione avversaria per la relativa disamina. Nessun riscontro veniva però fornito dai legali della “MSC Pamela”. La richiesta veniva rinnovata il 21 Gennaio 2013 ed il successivo 28 Gennaio i legali incaricati dagli interessi della “Theresa Libra” inoltravano alla controparte documentazione integrativa a sostegno del proprio reclamo. Nella medesima data i legali di “MSC Pamela” predisponevano una domanda di risarcimento dei danni asseriti ammontare a USD 1.300.000 . In forza delle concordate percentuali di responsabilità ed all’esito delle compensazioni gli interessi della “MSC Pamela” sarebbero risultati, quindi, pagatori avendo un debito superiore al credito vantato verso la controparte. Il 6 Marzo 2013, al compimento del biennio dalla collisione, spirava il termine di decadenza per l’azione di danno. Il giorno 11 Marzo 2013 i legali della “Theresa Libra” sollecitavano nuovamente i colleghi avversari all’invio della documentazione a sostegno del relativo reclamo. Circa un mese dopo (in particolare il giorno 8 Aprile 2013) i legali degli interessi della “MSC Pamela” chiedevano conferma ai colleghi avversari dell’intervenuta instaurazione del giudizio entro il biennio dalla collisione. Lo stesso giorno veniva predisposta per gli interessi “Theresa Libra” una citazione notificata a controparte il successivo giorno 16 Aprile. Il giorno seguente, peraltro, i legali della “MSC Pamela” rendevano nota ai colleghi avversari l’intenzione dei propri Mandanti di avvalersi dell’eccezione di intervenuta decadenza dall’azione avendo gli armatori della “Theresa Libra” proposto domanda giudiziale successivamente allo scadere del termine biennale. In replica all’eccezione il 3 Maggio 2013 i legali della “Theresa Libra” presentavano istanza affinché il Giudice dichiarasse che parte attrice non era incorsa in decadenza ed in subordine concedesse estensione del termine per l’inizio dell’azione. L’eccezione proposta dai legali di “MSC Pamela” è stata ritenuta incompatibile con l’intervenuto accordo negoziale sulla suddivisione delle responsabilità per la collisione. Il Giudice ha rigettato l’eccezione volta a far dichiarare l’intervenuta decadenza avversaria dall’azione nonostante all’atto dell’instaurazione del giudizio fosse effettivamente decorso il termine biennale previsto per esercitare l’azione di danno.
Così ha, infatti, motivato il Giudice “sarebbe ingiusto e scorretto … se gli armatori della “Theresa Libra” avendo definito l’aspetto responsabilità ben entro il limite di decadenza biennale, avendo ottenuto il riconoscimento degli armatori della “MSC Pamela” alla rifusione del 75% dei danni subiti ed avendo prontamente cercato di scambiare la documentazione a sostegno del reclamo per concordare il quantum dovessero ora non potere esigere l’obbligazione di pagamento assunta dagli armatori della MSC Pamela. Avrei quindi esteso il termine per l’inizio dell’azione”. Ad ogni buon conto gli interessi della “Theresa Libra” non avevano neppure bisogno di ottenere l’estensione del termine in considerazione dell’intervenuto accordo sulla suddivisione delle responsabilità. Con la sottoscrizione di tali intese, infatti, le parti avevano assunto l’obbligazione di pagare reciprocamente la percentuale concordata di danno e tale soluzione impediva loro di opporsi reciprocamente il rifiuto di adempiere all’obbligazione qualora una delle due parti non avesse promosso l’azione entro due anni dalla data della collisione. Ne conseguiva che ciascuna parte era vincolata dall’accordo a non potersi avvalere del termine di decadenza. D’altro canto il predetto termine biennale è rinunciabile (o convenzionalmente prorogabile) e la sottoscrizione dell’accordo del 25 Ottobre 2012 faceva ritenere che tale rinuncia avesse in effetti espresso l’armatore di “MSC Pamela” con la firma dell’accordo in forza del quale ciascuna parte si era impegnata a pagare all’altra la percentuale concordata dei danni sofferti nella collisione. Le raggiunte intese prevedevano, infatti, che solo in caso di mancato accordo sull’ammontare dei rispettivi reclami le parti avrebbero sottoposto la questione al Giudice per la determinazione del quantum e dei costi. Le intese così come formulate non consentivano, secondo il Giudice, di invocare l’intervenuta decadenza dall’azione pur non promossa entro il biennio considerato che, con un anticipo di quattro o cinque mesi rispetto allo spirare del termine di decadenza, le parti si erano reciprocamente impegnate a pagare (“shall pay” era la formula utilizzata nell’accordo) la predeterminata percentuale di danno avversaria ed a sottoporre i reclami al Giudice solo qualora non fosse stato raggiunto un accordo. Così interpretando la volontà manifestata dalle parti con la sottoscrizione dell’Agreement to Settle Liability, il Giudice ha rigettato l’eccezione sollevata dai legali degli interessi di “MSC Pamela” finalizzata a precludere il reclamo avversario invocando l’intervenuta decadenza dall’azione; eccezione che, come detto, doveva intendersi rinunciata con la sottoscrizione del predetto accordo. Una decisione interessante, quindi, e confortante su una soluzione di frequente utilizzo quale l’accordo sul riparto di responsabilità ma che, al di là dell’esito, richiama l’attenzione su quali rischi si possano correre allorché l’azione sia soggetta a termini.



avv. Massimiliano Grimaldi
Grimaldi Studio Legale

 La declaratoria di decadenza dalla licenza di concessione demaniale è legittima solo se ricorre il requisito della particolare gravità della violazione
La amministrazione concedente è tenuta ad applicare l'articolo 47 del codice della navigazione alla luce del principio comunitario di proporzionalità e può conseguentemente decretare la decadenza dal titolo concessorio soltanto laddove l'inadempimento che può dare luogo a tale sanzione risulti di una certa consistenza. In questi termini si è pronunciato il Consiglio di Stato con la recente sentenza n. 232/2014 osservando altresì che gli elementi probatori riguardo alla effettiva ricorrenza di una ipotesi di inadempienza devono essere inequivoci, precisi e concordanti. Come è noto, la norma sopra richiamata attribuisce alla amministrazione la facoltà di dichiarare la decadenza dalla concessione nei seguenti casi: - per mancata esecuzione delle opere prescritte nell'atto di concessione o per mancato inizio della gestione nei termini assegnati; - per non uso continuato durante il periodo fissato a questo effetto nell'atto di concessione, o per cattivo uso;
- per mutamento sostanziale non autorizzato dello scopo per il quale è stata fatta la concessione; - per omesso pagamento del canone per il numero di rate fissato a questo effetto dall'atto di concessione; - per abusiva sostituzione di altri nel godimento della concessione; - per inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione, o imposti da norme di legge o dai regolamenti. Nel caso di specie, la amministrazione aveva decretato la decadenza dal titolo concessorio per inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione (articolo 47, comma 1, lettera f), del codice della navigazione) sulla circostanza che il concessionario - uno Yacht Club - aveva consentito di parcheggiare all'interno dell'area in concessione anche a soggetti estranei al sodalizio, limitandosi a richiedere ai frequentatori del parcheggio ch'essi avessero inoltrato una semplice domanda di ammissione a socio unitamente al pagamento di un acconto sulla quota sociale. Con ciò contravvenendo (il concessionario) alla specifica clausola contenuta nella licenza di concessione, a mente della quale il deposito temporaneo delle vetture avrebbe dovuto essere riservato ai soci.
L'amministrazione concedente aveva, in altri termini, tratto il convincimento che la associazione concessionaria avesse violato gli obblighi impostile dal titolo concessorio per il fatto di avere ammesso a fruire a titolo oneroso del parcheggio soggetti non ancora qualificabili, de iure, quali soci dello Yacht Club, posto che la semplice presentazione della istanza non comportava la acquisizione della qualità di membro del sodalizio essendo tale fase demandata alla determinazione del Consiglio direttivo. A fronte della specifica censura con la quale il concessionario lamentava la abnormità della sanzione applicatagli , il Giudice di prime cure rilevava di potere soltanto apprezzare la giustificazione dell'atto, non rientrando nei poteri conferiti quello di apprezzare la congruità della sanzione. Riproposta tale censura in appello, il Consiglio di Stato ha osservato che la possibilità per il giudice di apprezzare gli elementi probatori riguardo alla effettiva ricorrenza di una ipotesi di inadempienza rispetto agli obblighi discendenti dal titolo al fine di valutare la adeguatezza del provvedimento di decadenza rientra nei poteri impliciti al sindacato giurisdizionale sull'atto. Il Giudice dell'appello, pur concordando con la amministrazione concedente circa il fatto che il soggetto ammesso a parcheggiare nel piazzale in uso al concessionario dovesse essere, al momento della fruizione, "già socio" del Club e che tale non potesse considerarsi chi, a termini dello Statuto, non aveva ancora ottenuto l'accoglimento della sua domanda di ammissione da parte del Consiglio direttivo, ha quindi osservato che tali circostanze fattuali non potevano valere ad elidere la dedotta censura di violazione del principio di proporzionalità e di adeguatezza nella decadenza dal titolo. Dalla documentazione processuale era infatti risultato che, nell'unica occasione (un solo giorno) in cui gli organi di vigilanza avevano sottoposto a verifica le autovetture parcheggiate nell'area in uso al Club, soltanto nove macchine su un totale di quarantuno erano risultate essere di proprietà di soggetti estranei al sodalizio. Era altresì risultato che costoro avevano comunque presentato domanda per essere ammessi come soci, circostanza poi puntualmente verificatasi. Di fronte ad una siffatta situazione la declaratoria di decadenza dalla concessione è risultata agli occhi del Consiglio di Stato misura del tutto eccessiva, dal momento che l'amministrazione concedente ben avrebbe potuto, in osservanza del principio di gradualità e di proporzionalità nella applicazione del provvedimento lato sensu sanzionatorio, diffidare la associazione dal perseverare con quella prassi e fare così luogo al ritiro del titolo concessorio soltanto in occasione della accertata reiterazione del comportamento inadempiente. Proprio la accertata reiterazione delle violazioni ha di recente indotto il Tar per la Puglia, Sezione di Lecce, a ritenere rispettato il principio di proporzionalità con riguardo alla declaratoria di decadenza dal titolo concessorio pronunciata dalla Regione Puglia nei confronti del Comune di Lecce, concessionario per la gestione di uno stabilimento balneare destinato ad accogliere soggetti diversamente abili ed indigenti.  Il provvedimento di decadenza era stato pronunciato ai sensi dell'articolo 47, comma 1, lettere c) ed f), per avere l'ente locale rispettivamente: mutato lo scopo della concessione, adibendo parte dell'area destinata ad ombrelloni e sdraio  ad area per la sosta di natanti da diporto a vela; sostituito altri nel godimento della concessione, demandando la gestione dell'area alla cooperativa di dipendenti comunali; violato gli obblighi derivanti dalla concessione, realizzando sull'area alcune opere senza ottenere la preventiva autorizzazione della Regione (realizzazione di un corridoio di lancio per le imbarcazioni da diporto; realizzazione di un fabbricato in legno; di telai in legno; di una struttura in tubi; ampliamento del blocco servizi). Nel ricorso il Comune di Lecce aveva articolato le censure deducendo anche il vizio dell'eccesso di potere, per non avere la Regione graduato la sanzione in relazione alle violazioni riscontrate, nel rispetto del principio di proporzionalità. Alla luce delle difese articolate dalle parti e dei documenti prodotti in atti, il Tar  per la Puglia ha ritenuto rispettati i principi di proporzionalità e contemperamento delle esigenze sulla considerazione che la Regione aveva disposto la decadenza dal titolo concessorio non a fronte di una isolata violazione da parte del Comune ma in presenza di una pluralità di inadempimenti agli obblighi assunti con l'atto di concessione, taluni dei quali giudicati gravi, con conseguente piena congruità della sanzione applicata (Tar Puglia -Lecce, Sez. I, 29.04.2014, n. 1129). Alla luce delle recenti pronunce sopra richiamate e considerato l'atteggiamento non sempre uniforme della giurisprudenza, risulterebbe probabilmente utile una riformulazione dell'articolo 47 del codice della navigazione. Ciò che potrebbe avvenire nell'ambito del processo di revisione della normativa in materia di demanio marittimo alla quale il Governo dovrebbe (o avrebbe dovuto) procedere in attuazione dell'articolo 11, comma 2, della legge comunitaria 2010 (legge 15 dicembre 2011, n. 217). Tale disposizione prevede (va), infatti, la adozione di un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla norma di delegazione, tra i quali appare pertinente - per gli aspetti che qui occupano - quello di cui alla lettera g): stabilire criteri per la eventuale dichiarazione di decadenza dalle concessioni (...).

avv. Barbara Pozzolo
Studio Legale Pozzolo

Mediazione: sanzionata ai sensi dell’art.96c.p.c. la condotta dilatoria e ingiustificata della parte che non partecipa alla mediazione
un altro importante punto a favore della mediazione: la Compagnia di Assicurazione che non partecipa senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, e poi nel processo resiste alla domanda attorea pur nella consapevolezza dell'infondatezza delle tesi sostenute e nel difetto della normale diligenza con cui era stata istruita la pratica assicurativa, può essere condannata, oltre che al risarcimento del danno, anche al pagamento di una ulteriore somma ai sensi dell'art. 96  terzo comma c.p.c. Questo è quanto è stato deciso dal dott. Tutti della XII sezione del tribunale di Roma che, nella sentenza nr.4140/2014, in un giudizio avente ad oggetto la liquidazione di un danno sulla base di una polizza infortuni, ha stigmatizzato la condotta della Compagnia nel procedimento di mediazione aggiungendo alla condanna in sorte capitale una ulteriore somma, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., da versare agli attori a titolo di responsabilità aggravata. Si legge nella parte motiva della predetta sentenza “La Sig. *** aveva anche provato a rivolgersi ad un Ente di mediazione per trovare una soluzione della vertenza, ma, non essendosi presentata la ***, senza addurre motivazioni, la mediazione si è chiusa con la mera accettazione della proposta del mediatore per e 9.750,00, anche questa rimasta inevasa, per cui le spese affrontate dovranno essere rimborsate in ragione di E 205,00.Dalla somma totale di e 14.024,81, così ottenuta, vanno detratti C 3.266,52 già corrisposti, e sul totale residuo di e 10.758,29 vanno calcolati la rivalutazione e gli interessi legali a far data dal 23.02.2011 ad oggi in ragione di E 1.302,00 , per un totale complessivo di € 12.060,00 . Sul totale delle somme così liquidate per sorte capitale ed interessi, competono gli interessi legali dalla data della presente decisione al saldo, ex art 1282 c.c.Tenuto conto del comportamento della *** Ass.ni Spa, sia nella fase della mediazione che nella fase prettamente processuale, non presentandosi e senza giustificarsi nella fase mediatoria e resistendo alla domanda attorea pur nella consapevolezza dell'infondatezza delle tesi sostenute e nel difetto della normale diligenza con cui era stata istruita la pratica assicurativa, la mera opinabilità del diritto fatto valere e la consapevolezza della mancanza di documentazione medica, questa Società viene condannata al pagamento dell'ulteriore somma di E 2.000,00 ai sensi dell'art. 96 c.p.c.
La spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo d'ufficio., tenuto conto delle somme in concreto liquidate e dei valori medi di liquidazione del D.M. 140/12, applicabile alla fattispecie come da giurisprudenza di legittimità (cfr. Cassn.16581/12)”.Il Giudice capitolino, stigmatizza quindi il comportamento della Convenuta società di assicurazione sia nella fase istruttoria del sinistro, sia nella fase stragiudiziale in particolare nel tentativo di mediazione esperito dagli attori. Il Giudice quindi, rilevata la mancata presentazione della Compagnia di sicurtà senza giustificato motivo all’incontro di mediazione e tenuto conto del comportamento processuale tenuto dalla stessa nel giudizio, ha ritenuto integrata la fattispecie giuridica della responsabilità aggravata ex art 96 terzo comma c.p.c.Il comma in oggetto, introdotto con la riforma del processo civile dall’art. 45, comma 12, della L. 18 giugno 2009, n. 69., ha il chiaro obiettivo di rafforzare le sanzioni per l'uso distorto degli strumenti processuali nell’ottica di deflazionare l’abuso dello strumento processuale. L’art. 96 c.p.c. cosi dispone “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza.Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.Il terzo comma dell'articolo in commento, deduce un ulteriore strumento di deflazione del contenzioso che si differenzia dalle ipotesi di responsabilità aggravata di cui ai primi due commi, in quanto può essere attivato anche d'ufficio prescindendo da un'esplicita richiesta di parte, al fine di scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzione del sistema giustizia.Trattasi di ipotesi di responsabilità aggravata e la sanzione mira a punire l'abuso degli strumenti processuali. Sul punto la giurisprudenza ha rilevato come la condanna inflitta ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. assuma una doppia valenza: da un lato costituisce un risarcimento e dall'altro ha la funzione di una vera e propria sanzione per rimarcare la disapprovazione per l'utilizzo emulativo dello strumento processuale da parte dell'ordinamento. La condanna a questo ulteriore importo è scaturita dalla condotta tenuta dalla compagnia di assicurazioni dapprima in sede di mediazione, ove era stata invitata e non aveva partecipato senza addurre alcuna giustificazione e poi nel giudizio ove aveva resistito nella consapevolezza della infondatezza delle tesi sostenute. La pronuncia del giudice capitolino appare molto interessante per il meccanismo sanzionatorio utilizzato dal Giudice. Infatti, il Tribunale non ha sanzionato il comportamento della Compagnia assicurativa (mancata comparizione all’invito d sulla base della sanzione specifica di cui all'art. 8, comma 4-bis, Dlgs 28/2010 il quale prevede che "Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio", ma ha qualificato il comportamento tenuto dalla Compagnia come una vera e propria responsabilità processuale aggravata, con il pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata (nel caso di specie alla somma di euro 2000,00 oltre spese processuali). Come detto, la norma dell'art 96 terzo comma c.p.c. introdotta con la riforma del processo civile del 2009, ha il chiaro obiettivo di rafforzare le sanzioni per l'uso distorto degli strumenti processuali. La mediazione obbligatoria collocandosi nel percorso che può condurre al processo costituendone condizione di procedibilità è uno strumento creato al fine di ridurre il contenzioso giudiziale attraverso il componimento bonario stragiudiziale davanti ad un terzo imparziale. La mancata comparizione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione rende tale strumento processuale del tutto inutile snaturandone il significato generando un abuso dello strumento giudiziale. Tale abuso dello strumento giudiziale realizza pienamente il bene giuridico tutelato dalla norma dell'art. 96 terzo comma c.p.c. e come tale rende applicabile la norma della responsabilità processuale aggravata anche alla ipotesi in cui il giudizio si instauri per la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione obbligatoria. La violazione del bene giuridico tutelato dalla norma dell’art. 96 terzo comma c.p.c. si concretizza nel comportamento della parte che con il suo atteggiamento temerario generi l'insorgenza della lite giudiziale, comportamento che  fa venir meno sin da subito le ragioni che giustifica il sacrificio esistenziale dell'altra parte nel giudizio (spese sostenute per la difesa, incertezza del diritto controverso, tempo impiegato per giungere alla definizione giudiziale). Questa decisione del Tribunale romano appare molto importante ai fini della valorizzazione dello strumento della mediazione.  Il Giudice cosi statuendo, ha riconosciuto alla strumento della mediazione un importanza fondamentale ai fini della deflazione del contenzioso giudiziale tanto che è arrivato a sanzionare quale lite temeraria e quindi  come abuso del diritto il comportamento della parte, in questo caso la Compagnia di assicurazione, che non si presenti all’incontro di mediazione previsto senza fornire un giustificato motivo della mancata adesione al tentativo di conciliazione e resista, nella consapevolezza della infondatezza delle tesi sostenute, nel giudizio instauratosi a seguito del mancato accordo raggiunto in sede di mediazione. 


avv. Chiara Raggi
Studio Legale Mordiglia

Può una crociera fluviale rientrare nella disciplina del cabotaggio marittimo?
con sentenza n. 41/4 del 27 Marzo scorso, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che una crociera che inizia e termina con gli stessi passeggeri in uno stesso porto di uno Stato membro, ancorché il percorso preveda la navigazione in tratti fluviali e dunque con un itinerario effettuato in acque essenzialmente non marittime,è soggetta alla disciplina europea sul cabotaggio marittimo di cui al Regolamento (CE) 3577/92 del 7 dicembre 1992. In forza del detto regolamento, la libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo in uno Stato membro (cabotaggio marittimo) è applicabile agli armatori dell’Unione che impiegano navi registrate in uno Stato membro e che battono bandiera di tale Stato, sempre che tali navi soddisfino i requisiti del diritto nazionale in materia di cabotaggio.I fatti alla base della pronuncia della Corte di Giustizia Europea sono i seguenti. La società svizzera Alpinia River CruisesGmbh e la società tedesca Nicko Tours Gmbh rispettivamente, società armatrice e società utilizzatrice della moto nave turistica svizzera “Bellissima”, avevano organizzato lo svolgimento di crociere settimanali con arrivo e partenza da Venezia. L’itinerario di crociera prevedeva l’attraversamento della Laguna fino a Chioggia, l’attraversamento del mare territoriale tra Chioggia e Porto Levante per poi risalire il fiume Po per circa 39 miglia e rientrare a Venezia seguendo l’itinerario inverso. La capitaneria di Porto di Chioggia, il 12 marzo del 2012, negava l’autorizzazione alla m/v Bellissima ad operare sulla tratta Chioggia-Porto Levante “per la mancanza dei requisiti di bandiera richiesti dalla normativa” di cui al citato Regolamento  3577/2012. In altre parole, come confermato dalla successiva sentenza del TAR Veneto (n. 480/2012), il servizio di crociera in oggetto rientrerebbe nella nozione di cabotaggio marittimo di cui al detto Regolamento e, come tale, soggetto alla riserva di cui all’art. 224 cod. nav. che riserva i servizi di cabotaggio nei termini di cui al Regolamento “agli armatori comunitari che impiegano navi registrate in uno Stato membro dell’Unione Europea e che battono bandiera del medesimo Stato Membro”. Pertanto, qualificando tali servizi quali servizi di cabotaggio marittimo ai sensi del Regolamento, si determina l’applicazione ad essi della riserva di armamento europeo prevista dall’art. 224 cod. nav. e dunque l’esclusione dell’Alpina River Cruises, società di armamento svizzero, dai servizi in questione.  Il Consiglio di Stato, investito dell’impugnazione, sottoponeva alla Corte la questione pregiudiziale “se il regolamento 3677/92 debba essere interpretato come applicabile all’attività crocieristica svolta tra porti di uno Stato membro senza imbarco e sbarco in questi porti di passeggeri diversi, in quanto detta attività inizia e termina con l’imbarco e sbarco del medesimi passeggeri e nel medesimo porto dello Stato membro”. La soluzione di tale controversia dipendeva dalla questione se la riserva del servizio di cabotaggio fra i porti italiani agli armatori comunitari che impiegano navi registrate in uno Stato membro dell’Unione europea e che battono bandiera del medesimo stato membro prevista dall’art. 224 cod. nav., sia stata legittimamente opposta all’Alpina e alla Nicko Tours rispetto alla crociera effettuata con nave battente bandiera svizzera. Al fine di determinare se una crociera che inizia e termina  in uno stesso porto costituisca o meno servizio di cabotaggio, occorre verificare se una tale crociera rientri nei servizi di cabotaggio previsti dal regolamento 3577/92. Secondo le ricorrenti la nozione di cabotaggio marittimo si applica ai soli servizi che comportino un vero e proprio trasporto via mare. secondo l’Alpina e la Nicko Tours, la crociera da esse organizzata non implicava siffatto trasporto marittimo essendo la crociera effettuata in acque interne ad eccezione del breve transito del mare territoriale tra Chioggia e Porto Levante.  Per le ricorrenti, dunque, non sarebbe stata necessaria una risposta alla questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato dal momento che il regolamento 3577/92 verte solo sui trasporti via mare e che,pertanto, esso non trova applicazione per i trasporti fluviali come quello oggetto del procedimento principale. In conclusione, secondo le ricorrenti, piuttosto che fornire l’interpretazione richiesta dal giudice europeo, si sarebbe dovuto accertare che il regolamento 3577/92 non riguarda in nessun caso crociere il cui itinerario prevede la navigazione in acque non marittime. La Corte Europea, prendendo spunto dalle obiezioni sollevate dalle ricorrenti, ha in effetti sottolineato che il regolamento 3577/92 riguarda solo i servizi di trasporto in uno Stato membro che presentino un carattere marittimo con la conseguenza che il trasporto per via navigabile in uno Stato membri non sarebbe disciplinato dalla normativa sul cabotaggio marittimo qualora sia privo di carattere marittimo.  Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dall’Alpina e dalla Nicko Tours, secondo la Corte di Giustizia Ce non sembra che  la crociera oggetto del procedimento presenti un carattere essenzialmente non marittimo.  Seguendo il ragionamento della Corte occorre, infatti, partire dalla nozione di “mare” di cui la regolamento 3577/92 che non si limita a quella del mare territoriale ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare firmata a Montego Bay il 10 Dicembre 1982, ma che include, altresì, le acque marittime interne. Di conseguenza, anche ove si volesse accedere alla tesi delle ricorrenti e sostenere che l’attraversamento del tratto di mare tra Chioggia e Porto Levante è troppo breve per conferire un carattere marittimo alla crociera, bisognerebbe concludere riconoscendo che, oltre al detto tratto di mare, l’itinerario di crociera di cui al procedimento prevede anche la navigazione della laguna di Venezia e della foce del fiume Po che fanno comunque parte delle acque marittime interne rientrando nella nozione di mare anzidetta. La crociera organizzata da Alpinia e da NickoTorus, contrariamente a quanto affermato dalle ricorrenti, ha dunque un carattere essenzialmente marittimo.  Alla luce di tali considerazioni, per rispondere alla questione sollevata dal Consiglio di Stato, la Corte doveva comunque  accertare e verificare se la crociera organizzata dall’Alpinia e dalla Nicko Tours rientrasse tra la nozione di trasporto disciplinato dal regolamento sul cabotaggio marittimo. Poiché infatti il regolamento 3577/92 ha come unico oggetto il cabotaggio marittimo, solo le crociere che corrispondono a tale nozione rientrano nell’ambito di applicazione dello stesso.Anche sotto tale profilo la Corte ha dato risposta affermativa, sostanzialmente confermando la decisione del TAR e della Capitaneria Marittima di Chioggia. Del marzo del 2012. Con la sentenza che qui si commenta, la Corte ha infatti affermato che, ai sensi del regolamento, ogni prestazione di servizio crocieristico fornita contro remunerazione rientra nell’ambito di applicazione dello stesso regolamento. E’ vero che l’unico elemento che distingue la crociera organizzata dall’Alpinia e dalla Nicko Tours da un servizio di cabotaggio continentale come definito dal Regolamento è la circostanza che il servizio di trasporto non venga effettuato “fra i porti” di un medesimo Stato (cfr. Art. 2 punto 1 lett. a-c)  ma che inizie termini nel medesimo porto. Tuttavia,secondo la Corte, l’elenco di cui all’articolo 2 del regolamento non deve essere inteso di carattere tassativo e non può avere l’effetto di escludere dall’ambito di applicazione del cabotaggio marittimo i servizi di trasporto che presentano tutte le caratteristiche essenziali del cabotaggio marittimo. Secondo la Corte occorre, pertanto, rispondere alla questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato dichiarando che un servizio di trasporto consistente in una crociera che inizia e termina con gli stessi passeggeri in uno stesso porto di uno Stato membro in cui essa è effettuata, rientra nella nozione di cabotaggio marittimo ai sensi del regolamento n. 3577/92. Con l’applicazione della disciplina sul cabotaggio marittimo trova quindi legittimazione definitiva per il caso in esame la riserva di armamento di cui all’art. 224 cod. nav. ed il provvedimento di diniego opposto all’Alpina e alla Nicko Tours rispetto alla crociera effettuata con nave battente bandiera svizzera. Sembra tuttavia che tale decisione della Corte di Giustizia CEsi ponga in contrasto con la tendenza dell’Unione Europea volta alla liberalizzazione dei servizi con gli stati terzi consentendo, mediante la conclusione di accordi bilaterali, l’accesso al mercato interno da parte di armatori non europei; ciò limitando, di fatto, la collaborazione dell’unionecon i paesi terzi in un’ottica di potenziamento della flotta interna e dei livelli occupazionali locali ed escludendola concorrenza di operatori stranieri.
 

DAVIDE MCINNES
Ince&Co.LLP
Recenti decisioni inglesi di diritto marittimo
La prima metà del 2014 ha visto alcuni casi di diritto marittimo molto interessanti discussi davanti alle Corti Inglesi. Nel caso della Valle di Cordoba, la Corte ha esaminato se un carico rubato da pirati fosse da considerarsi come “lost cargo” o “in-transit loss” in base ad una clausola “in transit loss” ("ITC") in un charterparty a viaggio. In questo caso, i noleggiatori (charterers) chiedevano il risarcimento agli armatori ritenendo che un trasbordo effettuato da pirati illegalmente di 5.300 mts di olio per motori di alta qualità rientrasse nella portata della ITC. La nave veniva finalmente rilasciata dai pirati e il carico rimanente veniva scaricato in base al charterparty. I noleggiatori (charterers) chiedevano un risarcimento agli armatori pari al valore del carico trasportato. Secondo la Corte la ITL determinava solo la quantità di carico da risarcire in base alle franchigie del charterparty (in questo caso, pari allo 0,5%) mentre non specificava il tipo di perdita che si possa ricomprendere nella “in-transit loss”. In ogni caso, la Corte ha sostenuto che il trasbordo non fosse coperto dalla clausola ITL, che è incorporata nei charterparties per regolare le discrepanze per le quali gli armatori non sarebbero responsabili. Un trasbordo da parte di pirati non era da considerarsi un sinistro occorso durante il trasporto. La Corte ha, inoltre, ritenuto che, anche se questo non fosse stato il caso, i proprietari avrebbero potuto fare affidamento sulle eccezioni previste dalle Regole Hague-Visby che erano state altresì incorporate nel charterparty. Ciò a significare che la clausola ITL non può essere interpretata in modo tale che gli armatori possano essere ritenuti responsabili verso i noleggiatori (charterers) per qualsiasi perdita superiore alle franchigie previste nella clausola ITL. Si tratta di una decisione importante per gli armatori, in quanto se la Corte avesse  ritenuto che la clausola ITL creasse una responsabilità oggettiva per la perdita del carico, gli armatori che incorporano nei contratti le ITL avrebbero probabilmente perso la copertura P&I. Questo perché le usuali regole dei Club affermano che la copertura P&I decada qualora gli armatori stipulino contratti  con condizioni più onerose di quelle previste in base alle Regole di Hague-Visby. Nel recente caso della Atlantik Confidence, la Corte d'Appello ha ritenuto che, in linea di principio, è possibile costituire un fondo di limitazione in Gran Bretagna a mezzo di garanzia, compresa una "LOU" emessa da un P&I Club. La decisione di primo grado della High Court era tale che un fondo di limitazione potesse essere costituito solo a mezzo di un pagamento al Tribunale da effettuarsi in contanti. Il motivo per cui la Corte d'Appello ha sostenuto unanimemente che una garanzia fosse idonea ai fini della costituzione di un fondo limitazione era che la Convention of Liability for Maritime Claims 1976 (così come è stata modificata dal Protocollo del 1996), aveva lo scopo di semplificare il processo attraverso il quale i proprietari potessero limitare la loro responsabilità nei sinistri marittimi. Il testo della Convenzione è tale che la garanzia debba essere "accettabile in base alla legislazione dello Stato Contraente in cui viene costituito il fondo" (“acceptable under the legislation of the State Party where the fund is constituted”). La Corte d'Appello ha unanimamente ritenuto che non fosse in effetti necessario che una garanzia richiamasse espressamente la legislazione inglese purché fossero soddisfatti i requisiti della Convenzione in relazione alla forma.  Questi requisiti sono, in primo luogo, che una garanzia sia accettabile solo se non contravvenga al diritto inglese (per esempio, lo Statute of Frauds). In tale caso, una LOU dal Club firmata e autorizzata è stata ritenuta accettabile ai fini della legislazione inglese. Il secondo requisito è che la garanzia debba essere considerata adeguata da parte della Corte nazionale. Per questa ragione, la Corte doveva essere certa dallo stato finanziario del garante (qui il P&I Club), della praticità dell’esecuzione e delle condizioni della garanzia stessa. Una LOU da un P&I Club soddisfa tutti questi requisiti.  Tale decisione è molto utile per la creazione del fondo di limitazione in Gran Bretagna, in quanto riflette le garanzie commerciali che sono state proposte dagli assicuratori per molti reclami marittimi. La Admiralty Court ha inoltre emesso una decisione interessante nel caso della Astipalaia v Hanjin Shenzen in relazione ai danni risarcibili a seguito di una collisione. Nel caso la "Astipalaia", una nave VLCC, che aveva subito danni da collisione andava in bacino per riparazioni della durata di 10 giorni, ma veniva obbligata ad aspettare quasi 3 mesi prima che le grandi compagnie petrolifere ritirassero un "technical hold" sulla nave. Nonostante ciò la Astipalaia veniva noleggiata per 60 giorni come chiatta (ossia per un nolo meno vantaggioso rispetto a quello che avrebbe potuto ottenere in caso di approvazione da parte delle grandi compagnie petroliere). Durante tale noleggio di 60 giorni venivano ritirati i "technical holds". Gli armatori reclamavano la perdita di profitto pari quello che avrebbero guadagnato con un nolo normale fino alla data in cui erano stati ritirati i "technical holds". Gli interessati alla Hanjin Schenzhen (altra nave collidente) sostenevano  che il quantum dovrebbe essere basato solo sul danno subito per il tempo che la Astipalaia era rimasta in bacino, anche perché il mercato era drasticamente calato quando la nave aveva lasciato il bacino. La corte emetteva la sua decisione in favore degli armatori della Astipalaia,r Riconoscendo la perdita di nolo per tutto il periodo in cui questa non avevo ottenuto l’approvazione delle società petrolifere; danno da riconoscersi sulla base del un nolo  più alto che avrebbe ottenuto. Anche se questa decisione non crea un  nuovo principio  è una concreta dimostrazione del fatto che le corti tengano i considerazione gli effetti commerciali dell’incapacità di una nave a ritornare all’esercizio normale e non solo l’immediata perdita di nolo. Nel caso di specie il mercato delle VLCC forniva una guida affidabile per determinare i danni ma tale esercizio potrebbe non essere altrettanto facile per altri mercati che presentano caratteristiche diverse o nel caso di navi che possano essere noleggiate in più di un mercato.
Infine come menzionato nel precedente articolo l’appello nel caso “DC Merwestone” è fissato nel Luglio 2014. Questo caso riguarda l’utilizzo di mezzi fraudolenti nel formulare un reclamo in base ad un contratto assicurativo marittimo e sarà ovviamente di interesse per tutto il mercato assicurativo.

avv. Daniela Aresu
Studio Legale Aresu
La normativa
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
DECRETO 24 APRILE 2014  - DISCIPLINA DELLE MODALITÀ DI APPLICAZIONE A REGIME DEL SISTRI DEL TRASPORTO INTERMODALE NONCHÈ SPECIFICAZIONE DELLE CATEGORIE DI SOGGETTI OBBLIGATI AD ADERIRE, EX ARTICOLO 188-TER, COMMA 1 E 3 DEL DECRETO LEGISLATIVO N. 152 DEL 2006. (14A03549) (GU Serie Generale n.99 del 30-4-2014). Il decreto contiene alcune novità significative in materia di Sistri. La prima è che i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che hanno fino a 10 dipendenti non sono più soggetti al Sistri. L’art.1 ridefinisce infatti l’ambito di applicazione del SISTRI per quanto riguarda i produttori di rifiuti; sono obbligati ad aderire al SISTRI: - enti e imprese produttori iniziali di rifiuti pericolosi derivanti da attività agricole e agroindustriali, di pesca professionale e di acquacoltura, con più di 10 dipendenti, laddove non conferiscano i rifiuti a circuiti organizzati di raccolta. - Enti e imprese, con più di 10 dipendenti, produttori iniziali di rifiuti pericolosi derivanti dalle attività di demolizione e costruzione, da lavorazioni industriali, da lavorazioni artigianali, da attività commerciali, da attività di servizio e da attività sanitarie. - Enti ed imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi e che svolgono attività di stoccaggio (ovvero operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 e operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13). - Enti che raccolgono, trasportano, recuperano e smaltiscono rifiuti urbani nella Regione Campania. Per i non obbligati o per chi non aderisce volontariamente, restano fermi gli adempimenti relativi a registri di carico e scarico e formulari. L’articolo 2 disciplina, anche ai fini dell’operatività SISTRI, il deposito temporaneo che non necessita di autorizzazione: lo stoccaggio di rifiuti nell’ambito di attività intermodale di carico e scarico, di trasbordo, di sosta tecnica all’interno di porti, scali ferroviari, interporti, terminal e scali merci, stabilendo che il soggetto al quale sono affidati i rifiuti in attesa della successiva presa in carico svolge attività di deposito preliminare a condizione che la durata non superi i 30 giorni.  Vengono inoltre disciplinati i casi in cui la presa in carico da parte dei soggetti che effettuano il trasporto non avvenga nei limiti fissati. L’articolo 4 stabilisce che i soggetti tenuti ad aderire al Sistri sono tenuti al versamento del contributo annuale entro il 30 giugno 2014, comunicando gli estremi di pagamento attraverso l’area “gestione aziende” del portale SISTRI.L’articolo 5 disciplina l’operatività delSISTRI con riguardo ai rifiuti urbani nella regione Campania. 
Infine viene stabilito che tutte le comunicazioni verso SISTRI (iscrizione, modifiche, pagamenti, richieste di conguaglio ed anche risoluzione di criticità) vengono gestite tramite i canali di contatto telematico disponibili sul sito www.sistri.it.

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 7 APRILE 2014 - Procedure per il rilascio dell'autorizzazione all'imbarco e trasporto marittimo e per il nulla osta allo sbarco e al reimbarco su altre navi (Transhipment) delle merci pericolose. (Decreto n. 303/2014). (14A03389)(GU Serie Generale n.104 del 7-5-2014). La normativa in parola consente di dirimere le numerose difficoltà interpretative sorte durante la vigenza del D.M.n.1105 del 2005 e 278/2006, entrambi ora abrogati.
Il Dpr 134/2005, che introduce nel nostro ordinamento il cd. IMDG Code, all’art.3 così recita: 1) Il trasporto di merci pericolose deve essere effettuato in conformità alle prescrizione del codice IMDG. 2) Per la navigazione nazionale, l’Amministrazione può adottare misure che consentano l’equivalenza alle prescrizioni del codice IMDG, purchè tali equivalenze siano efficaci quanto le suddette prescrizioni e garantiscano lo stesso livello di sicurezza.
In sintesi, si prevede l’applicazione dell’IMDG Code anche in campo nazionale, ma la normativa lascia spazio a delle facilitazioni che, conformemente alla norma, venivano dapprima introdotte con il D.M. 18/11/2005 n.1105, recante norme integrative per il trasporto di merci pericolose su navi mercantili in viaggi nazionali.  L’art.4 di tale decreto  disponeva che a bordo di navi traghetto da carico e da passeggeri è consentito il trasporto di veicoli stradali autopropulsi o rimorchiabili…..nonchè di contenitori e colli rispondenti alle norme ADR purché sia fornita al Comandante della nave copia delle istruzioni scritte per il conducente del veicolo stradale di cui alla sezione 5.4.3 ADR.
Il che significava che, nell’ipotesi di percorso misto strada-traghetto, il veicolo stradale che trasportava merci pericolose poteva seguire il regolamento stradale ADR con le condizioni prescritte (copia delle istruzioni scritte ADR al comandante della nave). Il decreto n.1105 è stato abrogato e sostituito dal Decreto in oggetto. Ecco in sintesi le principali novità. Fermo restando che possono essere trasportate per via marittima soltanto quelle merci pericolose elencate nel codice IMDG o quelle espressamente autorizzate, il nuovo decreto prevede la possibilità di imbarcare merci pericolose su navi traghetto in”parziale” regime ADR/RID. Sempre nell’ambito del trasporto su navi traghetto, per le merci pericolose imballate in quantità limitata e/o in quantità esenti non occorre l’autorizzazione all’imbarco ed al trasporto; è richiesta soltanto una comunicazione scritta all’autorità marittima del porto d’imbarco, in cui si afferma che il trasporto ha le caratteristiche sopra indicate ed è conforme alle esenzioni dei capitoli 3.4 e 3.5 dell’A.D.R e del RID. Il punto 5.1 del decreto conferma la prescrizione per effetto della quale i veicoli stradali devono essere in possesso di un documento attestante la rispondenza al punto 5 della risoluzione IMO A.581(14), rilasciato dall’Amministrazione del paese di immatricolazione o da organismi autorizzati dalla stessa oppure, ed è questa la novità introdotta dal decreto, dal costruttore del veicolo, in merito al rizzaggio dei veicoli sulla nave.Nel trasporto di merci pericolose in cisterna, al soggetto che richiede l’autorizzazione va consegnata soltanto la copia del certificato di visita, iniziale o periodica , mentre il certificato di approvazione (in cui si evince l’elenco dei prodotti trasportabili) è richiesto solo per le cisterne che trasportano gas, in linea con quanto prescrive il codice IMDG. Inoltre, allo spedizioniere o al raccomandatario marittimo è fatto obbligo di fornire, al comandante della nave, anche i numeri di chiamata di emergenza dello speditore.
Nel trasporto occasionale di materiale radioattivo (Classe 7), in cui non è previsto il decreto di autorizzazione rilasciato al vettore, alla richiesta di autorizzazione andrà allegata la comunicazione effettuata al Prefetto ad alla ASL delle province dove ha inizio e termine il trasporto stesso.
Per quanto concerne la spedizione di rifiuti pericolosi, la documentazione per la tracciabilità dei rifiuti è rappresentata dalla scheda SISTRI e, fino al 31.12.2014 – salvo ulteriori proroghe, dal formulario di identificazione che, quindi, vanno allegati entrambi all’istanza di imbarco e sbarco.

DECRETO LEGISLATIVO 17 APRILE 2014, N. 70
DISCIPLINA SANZIONATORIA PER LE VIOLAZIONI DELLE DISPOSIZIONI DEL REGOLAMENTO (CE) N. 1371/2007, RELATIVO AI DIRITTI E AGLI OBBLIGHI DEI PASSEGGERI NEL TRASPORTO FERROVIARIO. (14G00081) (GU Serie Generale n.103 del 6-5-2014)  Entrata in vigore del provvedimento: 21/05/2014

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 20 SETTEMBRE 2013  - DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CORSI DI QUALIFICAZIONE INIZIALE E FORMAZIONE PERIODICA PER IL CONSEGUIMENTO DELLA CARTA DI QUALIFICAZIONE DEL CONDUCENTE, DELLE RELATIVE PROCEDURE D'ESAME E DI SOGGETTI EROGATORI DEI CORSI. (14A03779) (GU Serie Generale n.115 del 20-5-2014)

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 11 FEBBRAIO 2014, N. 72  - REGOLAMENTO DI ORGANIZZAZIONE DEL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, AI SENSI DELL'ARTICOLO 2 DEL DECRETO-LEGGE 6 LUGLIO 2012, N. 95, CONVERTITO, CON MODIFICAZIONI, DALLA LEGGE 7 AGOSTO 2012, N. 135. (14G00084) (GU Serie Generale n.105 del 8-5-2014) Entrata in vigore del provvedimento: 23/05/2014  - Cambia l’organizzazione del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, che sarà articolato in due Dipartimenti , per le Infrastrutture e per i Trasporti, e  in sedici Direzioni Generali. Il Decreto prevede anche organi decentrati : sette Provveditorati interregionali che seguono le Opere Pubbliche e che dipendono dal Dipartimento per le Infrastrutture e quattro Direzioni territoriali, che dipendono dal Dipartimento  dei Trasporti. Sono incardinati nell’assetto organizzativo del Ministero il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e il Corpo delle capitanerie di Porto, nonché il Comitato Centrale dell’Albo Nazionale degli autotrasportatori. L’art.3 del Dpcm  istituisce la conferenza permanente del Ministero che svolge funzioni di coordinamento generale sulle questioni interdipartimentali o comuni all’attività dei Dipartimenti. E’ formata dal capo di Gabinetto, dai Capi dei Dipartimenti, dal Direttore Generale  del Personale e degli affari generali, dal Direttore generale per i sistemi informativi e statistici e dal direttore generale per lo sviluppo del territorio, la programmazione e i progetti internazionali.

 

dr. Gambattista Poggi
Studio Poggi & Associati

Abuso del diritto comunitario in materia di diritti doganali
Mediante ordinanza n. 5808 del 13 marzo 2014, visto l'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea e l'art. 295 c.p.c., la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale concernente l’interpretazione del diritto comunitario in relazione alle contestazioni sollevate dalla ricorrente aventi ad oggetto la violazione e falsa applicazione: i) del regolamento 1047/2001, 565/2002, degli artt. 1344 e 1414 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5; ii) del divieto di pratiche abusive e del diritto del soggetto passivo di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la propria contribuzione fiscale in relazione all'art.360 c.p.c., comma 1, n. 3; iii) degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all'art.360 c.p.c., comma 1, n. 3; la ricorrente contestava altresì l’omessa motivazione su fatti controversi nonché la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Per migliore comprensione, si rammenta che il citato Regolamento (CE) n. 1047/2001 della Commissione istituisce il regime di titoli d'importazione e di certificati d'origine e fissa le modalità di gestione dei contingenti tariffari per l'aglio importato dai paesi terzi, mentre il Regolamento (CE) n. 565/2002 della Commissione, del 2 aprile 2002, fissa le modalità di gestione dei contingenti tariffari e istituisce il regime di certificati d'origine per l'aglio importato dai paesi terzi. L’ordinanza trae origine, da un contenzioso tra la società Alfa e l’Agenzia delle Dogane di Livorno (Agenzia) a seguito di notifica di avviso di rettifica di accertamento relativo all'acquisto di alcune partite di aglio originario dell'Argentina da altra società Beta. Nel caso di specie, veniva contestata alla società Alfa, attiva nel settore import-export di prodotti ortofrutticoli, l'illecita evasione dei diritti doganali ed iva attraverso un meccanismo fraudolento in cui altra società Delta agiva come società di comodo. L’operazione, che secondo l’Agenzia avrebbe assunto il connotato della fraudolenza, era consistita nei seguenti passaggi: la società importatrice Delta, in qualità di operatore comunitario attivo nel settore dell'importazione ed esportazione di prodotti ortofrutticoli, aveva acquistato con dazio agevolato partite di aglio allo stato estero, ovvero merce in transito negli spazi doganali, dalla società Gamma. Delta aveva provveduto a vendere il prodotto alla società Beta che, a sua volta, era stato dalla stessa rivenduto alla ricorrente Alfa. La società Alfa non riusciva a fornire alcuna valida ragione economica ulteriore rispetto al conseguimento di un risparmio d’imposta. Il prezzo di acquisto pagato da Alfa avrebbe tenuto conto del trattamento daziario ridotto derivante dai certificati abilitativi che davano diritto all'agevolazione tariffaria in possesso della sola società Delta, considerata dall’Agenzia società importatrice di comodo, permettendo quindi alla società importatrice Alfa, di ottenere indebite agevolazioni tariffarie. Alfa rivolgendosi alla società importatrice di comodo Delta in possesso dei requisiti per ottenere titoli di importazione a dazio agevolato, nell'ambito del contingente tariffario GATT, pur non essendo titolare dei titoli che le avrebbero consentito l'importazione a prezzi di favore nell'ambito del contingente tariffario, risultava quindi aver acquistato prodotti senza il pagamento del dazio specifico, per quantità superiori a quelle spettanti in base al titolo d'importazione. La Commissione tributaria provinciale di Livorno con sentenza 152/6/06 depositata in data 15/11/2006, accoglieva il ricorso, mentre, su ricorso in appello proposto dall’Agenzia, la Commissione tributaria regionale della Toscana con sentenza 46/10/10  depositata in data 7/9/2010 aveva riformato la decisione di primo grado. Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale la società Alfa ha proposto ricorso per Cassazione per i motivi di contestazione sopra indicati la cui interpretazione costituisce oggetto di ordinanza e remissione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Tra i motivi dell’ordinanza la Corte richiama la normativa nazionale, in particolare l’art. 1344 c.c., in materia di contratti stipulati in frode alla legge nonché il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, comma 1, secondo cui non sono opponibili all'Amministrazione Finanziaria “gli atti, i fatti ed i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti", nonché tra le disposizioni di diritto dell'unione europea lo stesso Regolamento Commissione Europea CE 1047/2001 del 30 maggio 2001 (terzo Considerando “misure per limitare, per quanto possibile, la presentazione di domande di titoli A a fini speculativi, non connesse ad un'effettiva attività commerciale nel mercato degli ortofrutticoli”, quinto Considerando e art. 5), oltre  al Regolamento Commissione Europea 2988/95, art. 4, n. 3: "Gli atti per i quali si stabilisce che hanno per scopo il conseguimento di un vantaggio contrario agli obiettivi del diritto comunitario applicabile alla fattispecie, creando artificialmente le condizioni necessarie per ottenere detto vantaggio, comportano a seconda dei casi il mancato conseguimento oppure la revoca del vantaggio stesso". Secondo la Corte di Cassazione, potendo anche nel campo del diritto doganale l’operatore trarre benefici da operazioni a carattere elusivo intraprese allo scopo sostanziale di procurarsi agevolazioni, la fattispecie dell’abuso del diritto è pienamente applicabile così come si rende possibile il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, dovendo il giudice stabilire se il comportamento della società ricorrente costituisca o meno atto elusivo posto in violazione delle disposizioni dei sopra menzionati regolamenti comunitari. Secondo la ricorrente sarebbe risultato sufficiente ad escludere la condotta fraudolenta il fatto che nell’importazione non sono stati acquistati e trasferiti titoli o diritti derivanti dai titoli di importazione a dazio agevolato per aggirare i limiti del contingente GATT in quanto la merce acquistata risultava già introdotta nel territorio nazionale, sdoganata da società in possesso dei predetti titoli di importazione e successivamente ceduta alla ricorrente dietro compenso seppure ad un importo inferiore a quello del dazio specifico, ovvero inferiore al costo che l'importatore avrebbe pagato se avesse importato la merce al di fuori del contingente. L’Agenzia contesta alla società importatrice ricorrente la frode doganale tesa ad aggirare il meccanismo di tutela del mercato interno predisposto dalla Comunità Europea, attraverso l'imposizione di dazi differenziati per quantità di merce importata ed il contingentamento delle importazioni mediante utilizzo della quota parte assegnata ad altri importatori. Secondo l’Agenzia delle Dogane, la ricorrente non è riuscita a spiegare quale sia stato il vantaggio, oltre a quello fiscale, del pagamento dei dazi agevolati per il quale abbia fatto ricorso ad altri soggetti per importare la merce che poi riacquistava attraverso società di comodo, con l’effetto della sostanziale cessione sostanziale dei diritti portati dal titolo di importazione a dazi agevolati ad esse intestato, né ritiene che l'applicazione della normativa comunitaria possa estendersi fino a ricomprendere operazioni realizzate al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario senza alcuna valida ragione economica (Corte di Giustizia, sentenza 14 dicembre 2000 C-110/99 Emsland-Starke, sentenza 21 febbraio 2006 C- 255/02 Halifax). La Corte di Cassazione rimette quindi alla Corte di Giustizia la questione di interpretazione delle norme comunitarie sopra menzionate, anche alla luce di interpretazioni difformi nella giurisprudenza della Corte medesima (sez. 5 nr. 24938 del 6/11/2013), tenuto conto del principio secondo cui il giudice nazionale ha l'obbligo di adottare, quella maggiormente aderente al diritto comunitario. Il sopra citato regolamento CE, AURATOM, n.2988/95 del Consiglio del 18 dicembre 1995, contiene una nozione di “irregolarità” molto ampia perché include “qualsiasi violazione di una disposizione del diritto comunitario derivante da un’azione o un’omissione di un operatore economico che abbia o possa avere come conseguenza un pregiudizio al bilancio generale delle Comunità o ai bilanci da queste gestite, attraverso la diminuzione o la soppressione di entrate provenienti da risorse proprie percepite direttamente per conto delle Comunità, ovvero una spesa indebita” (articolo 1, § 2). Tale nozione viene poi completata dal citato articolo 4, che prevede il disconoscimento oppure la revoca dei vantaggi derivante da atti contrari agli obiettivi del diritto comunitario ovvero mediante i quali sono state create artificialmente le condizioni necessarie per ottenerli. Si richiama a questo proposito anche il caso Halifax (Corte di Giustizia UE, causa C-255/02 del 21.02.06, Halifax), nel quale la Corte di Giustizia ha affermato che la Sesta Direttiva n.77/388/ CEE del 17 maggio 1977, “dev’essere interpretata come contraria al diritto del soggetto passivo di detrarre l’Iva assolta a monte allorché le operazioni che fondano tale diritto integrano un comportamento abusivo”, ancorché “il soggetto passivo (abbia) il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale”. Affinché possa parlarsi di “comportamento abusivo”, “le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della Sesta Direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni. Non solo. Deve altresì risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l'ottenimento di un vantaggio fiscale..omissis…il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali” (§ 74, 75). Secondo la Corte di Giustizia la diretta conseguenza è che le operazioni implicate nel comportamento abusivo, devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione che si sarebbe creata in loro assenza (§ 94). Nel caso Cadbury Schweppes (Corte di Giustizia UE, causa C-196/04 del 12.09.06), la Corte di Giustizia ha giudicato contraria alla libertà di stabilimento la normativa nazionale che include, nella base imponibile della società residente in uno Stato membro, gli utili realizzati dalla società estera controllata stabilita in un altro Stato membro, allorché tali utili siano ivi soggetti ad un livello impositivo inferiore a quello applicabile nel primo Stato, “a meno che tale inclusione non riguardi costruzioni di puro artificio destinate ad eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta”. Nessun abuso è configurabile laddove risulti da elementi oggettivi e verificabili che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la società estera controllata eserciti effettivamente un’attività economica nello Stato di stabilimento. La Corte di Giustizia ha successivamente in più occasioni ulteriormente riconosciuto e “rafforzato” il divieto di abuso del diritto, quale principio comunitario, il cui rispetto non può trovare ostacolo nel principio giuridico della cosa giudicata esterna, allorché quest’ultimo sia interpretato in modo da non permettere un’applicazione effettiva del divieto di abuso del diritto. La problematica deve essere, quindi, ricondotta al dovere degli Stati membri di eliminare sempre le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario. Il fondamento di tale obbligo è individuabile all’art. 10 del Trattato CE che impone l’obbligo ai singoli Stati membri di adottare tutte le misure, idonee ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto comunitario e l’applicazione del principio di effettività e del principio di equivalenza che regola i rapporti tra il diritto comunitario e i singoli ordinamenti giuridici. La stessa Corte di Giustizia ha, inoltre, più volte ribadito l’importanza del principio dell’autorità di cosa giudicata nell’ordinamento giuridico comunitario e negli ordinamenti giuridici nazionali. Detto principio tende a garantire la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, essendo importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione. Alla luce delle molteplici sentenze comunitarie in materia di abuso di diritto, incluse quelle sopra richiamate, si ritiene che l’esito del contenzioso rimesso con la predetta ordinanza n.5808 del 13 marzo 2014 dinanzi alla Corte di Giustizia, potrebbe probabilmente non risultare favorevole alla società Alfa a seguito della prevedibile attuazione del cosiddetto “abuse test”, che, come già avvenuto in altri giudizi, verrà affidato dalla Corte medesima al giudice nazionale e mediante il quale il giudizio del rinvio avrà il compito di verificare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’abuso del diritto europeo. Con ogni probabilità la Corte di Cassazione, valorizzando gli elementi in punto di fatto sopra menzionati, qualificherà la condotta della società contribuente quale abuso del diritto europeo, come in analoga controversia nella quale erano coinvolti gli stessi soggetti (Cassazione n.24938/13). La Corte di Cassazione ha già avuto, quindi, modo di affermare che ancorché fosse apparentemente corretta ciascuna fase negoziale, nella sostanza economico-sociale la complessiva operazione era rivolta a procurare benefici la cui concessione risultava contraria all’obbiettivo perseguito dalla normativa comunitaria, essendo la complessità delle operazioni commerciali in realtà preordinate non ad una cessione legittima ma ad una illegittima cessione di licenze, implicante l’illegittima negoziabilità dei titoli di importazione tra categorie non omogenee, che veniva ad alterare le quote di mercato prefissate.

Principali scadenze fiscali per le imprese dal 16 giugno al 15 luglio 2014
16-06-14 Contribuenti Iva mensili: liquidazione e versamento dell'Iva relativa al mese precedente. Contribuenti Iva trimestrali: liquidazione e versamento dell'Iva relativa al primo trimestre 2014.
16-06-14 Contribuenti Iva con obbligo di liquidazione mensile/trimestrale che hanno ricevuto le dichiarazioni d'intento rilasciate da esportatori abituali: presentazione della comunicazione dei dati contenuti nelle dichiarazioni d'intento ricevute per le quali le operazioni effettuate senza applicazione di imposta sono confluite nella liquidazione con scadenza 16 maggio 2014.
16-06-14 Versamento saldo IRPEF, IRES ed IRAP relativo all’anno d’imposta 2013 e primo acconto relativo all’anno d’imposta 2014.
16-06-14 Per i sostituti di imposta: versamento ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e assimilati corrisposti nel mese precedente; versamento della rata dell'addizionale regionale dell'Irpef trattenuta ai lavoratori dipendenti e pensionati sulle competenze del mese precedente; versamento ritenute alla fonte su redditi di lavoro autonomo e/o su redditi da provvigione corrisposti nel mese precedente.
25-06-14 Operatori intracomunitari con obbligo mensile: presentazione degli elenchi riepilogativi (INTRASTAT) delle cessioni e/o acquisti intracomunitari di beni nonché delle prestazioni di servizi intracomunitari effettuati nel mese precedente in via telematica all'Agenzia delle Dogane oppure all'Agenzia delle Entrate sempre mediante invio telematico.
30-06-14 Soggetti passivi Iva che abbiano effettuato operazioni con operatori economici aventi sede, residenza o domicilio negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato (Paesi c.d. "black-list") individuati dal D.M. 04/05/1999 e dal D.M. 21/11/2001, come modificati dal D.M. 27/07/2010: Comunicazione mensile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi di importo superiore a euro 500 effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi c.d. "black-list" in via telematica all'Agenzia delle Entrate.