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OTTAVO numero - Febbraio 2014

 avv. Chiara Raggi
Studio Legale Mordiglia
Demolizione e riciclaggio di navi: la Ue adotta il proprio Regolamento
Il 10 dicembre 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea l'importante Regolamento (UE) n. 1257/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, relativo alla demolizione navale e  riciclaggio di navi. Scopo del Regolamento è quello di rafforzare la sicurezza, la protezione della salute umana e dell’ambiente marino dell’Unione durante l’intero ciclo di una nave al fine di assicurare che i rifiuti pericolosi o tossici provenienti dal riciclaggio delle navi siano soggetti ad una gestione sicura e compatibile con l’ambiente. Lo scopo è dunque quello di evitare l’introduzione delle navi a fine ciclo vita nell'elenco dei rifiuti compresi nella Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti del 22 marzo 1989 e nel Regolamento CE 1013 del 2006 sulla spedizione dei rifiuti. Negli ultimi anni si è largamente affermata la pratica della demolizione delle navi del riciclaggio dei materiali di costruzione principalmente presso siti del Sud – est asiatico privi delle più elementari norme di sicurezza e di salvaguardia della salute umana ed ambientale. Come si legge in una nota del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 1°Gennaio 2014, le principali motivazioni che hanno dato origine a questo fenomeno sono state:  il progressivo aumento del prezzo dell’acciaio, del rame e dei metalli provenienti da rottamazione;il bassissimo costo e la vasta disponibilità della manodopera nei paesi del Sud-Est Asiatico;la mancanza di norme a tutela dell'ambiente e della salute umana in tali Paesi in via di sviluppo. Al fine di limitare tali pratiche di riciclaggio,l'International Maritime Organization (IMO), in accordo con l' International Labour Organization (I.L.O.), ha stabilito tramite la Convenzione di Hong Kong  (HKC) una serie di protocolli, di criteri e di procedure da adottare per la progettazione, la costruzione, il finanziamento e la preparazione delle navi al fine di facilitare il riciclaggio sicuro e compatibile con l’ambiente e l’istituzione di un adeguato meccanismo di esecuzione per il riciclaggio delle navi. Tale Convenzione, pur sottoscritta il 15 maggio del 2009, ha avuto sino ad oggi scarsa efficacia in quanto è previsto che la stessa entri in vigore dopo la ratifica di almeno 15 Stati Membri la cui flotta mercantile combinata rappresenti almeno il 40% della stazza lorda in aggiunta a precise percentuali di naviglio demolito. Con l’entrata in vigore del nuovo Regolamento Europeo sul Riciclaggio delle Navi Mercantili anche l’entrata in vigore della Convenzione di Hong Kong avrà senz’altro un nuovo impulso. La spinta verso l’elaborazione di un testo di legge europeo nasce,invero,il 21 ottobre 2009 quando il Consiglio Europeo invitò la Commissione ad analizzare le relazioni tra la Convenzione IMO di Hong Kong “per un riciclaggio delle navi sicuro e compatibile con l'ambiente" e la Convenzione ONU di Basilea “sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento” nonché il Regolamento (CE) n. 1013/2006 relativo alle procedure e regimi di controllo per le spedizioni di rifiuti. Nell’ottica di disincentivare il cosiddetto “spiag-giamento” degli scafi sulle coste dei paesi in via di sviluppo (in particolare, India, Pakistan e Bangladesh), e dunque una pratica di arenamento delle navi altamente pericolosa ed inquinante, Il testo della legge, redatto dal Comitato Enviroment Oublic Health and FoodSafety (ENVI) nel marzo del 2012, è stato tuttavia avversato duramente dalle associazioni di categoria dello shipping internazionale. La proposta prevedeva infatti di tassare gli scali delle grandi navi mercantili nei porti del Vecchio Continente per finanziare un fondo per il sostegno di strutture di ship-recycling in territorio europeo realizzate in conformità ai criteri di sicurezza, tutela e sostenibilità ambientali previsti dalla stessa UE.  Le associazioni di armatori di oltre 50 paesi rappresentate dall’ECSA (European Community Shipowners Association), dall’ICS (International Chamber of Shipping) e dalla ASF (Asian Shipowners’ Forum) avevano rilevato, in una nota congiunta diffusa prima della votazione in aula a Strasburgo, tutte le loro riserve alla proposta di legge evidenziandone gli aspetti più critici e controproducenti. In particolare, secondo le associazioni degli armatori, imporre una tassa sul commercio avrebbe danneggiato non solo i paesi impegnati nel businnes delle demolizioni navali ma anche gli stessi partner commerciali della UE. Inoltre, secondo la classe armatoriale, la previsione di una tassa sulla competitività dei porti europei, avrebbe avuto un evidente effetto negativo in termini di perdita di traffico a favore di altri porti oppure di altre modalità di trasporto. Le argomentazioni e le istanze degli armatori hanno avuto un’evidente influenza nell’aula di Strasburgo tanto che, se pure sul filo, con 299 voti favorevoli e 29 e 21 astensioni, il Parlamento Europeo ha bocciato la proposta del Comitato ENVI, rinviando al Consiglio Europeo il compito di trovare un accordo. Si è dunque giunti al 22 Ottobre scorso quando il Parlamento Europeo ha adottato a Strasburgo il Reg. 1257/2013 in materia di riciclaggio di navi trovando dunque un compromesso tra le necessità dell’industria marittima e quelle della tutela dell’ambiente e dei lavoratori dei paesi asiatici. Il nuovo Regolamento, che si applicherà alle navi battenti bandiera di uno Stato Membro e, per quanto riguarda le disposizioni di cui all’art. 12 del Regolamento (i.e. inventario dei materiali pericolosi), anche alle navi battenti bandiera di un paese terzo che fanno scalo in un porto Europeo, fissa una serie di requisiti generali ed obblighi di adeguamento in capo agli armatori nonché ai cantieri del Vecchio Continente specializzati nello scrapping e nella demolizione navale. E’ sancito, in particolare, all’art. 5 del Regolamento che ogni nuova nave debba tenere a bordo un inventario dei materiali pericolosi che siano presenti nella struttura della nave o nelle sue attrezzature e con l’indicazione, seppure approssimativa, dei quantitativi. Tale elenco, suddiviso in tre sezioni (materiali pericolosi, rifiuti generati dall’attività di bordo e scorte presenti a bordo) dovrà essere compilato tenendo conto delle linee guida dell’IMO e sarà soggetto al controllo e alla verifica dell’amministrazione o da un organismo dalla stessa autorizzato. Oltre alla tenuta a bordo dell’inventario delle merci pericolose, gli armatori dovranno fornire un piano di riciclaggio della nave (predisposto sulla base delle disposizioni di cui alla HKC e delle linee guida dell’IMO) nonché garantire che le navi vengano demolite unicamente negli cantieri di demolizione inclusi nell’apposito elenco europeo. A seguito dell’espletamento, con esito positivo, dei controlli e delle verifiche (iniziali e periodiche) sull’adempimento da parte dell’armatore ai detti obblighi, l’amministrazione competente rilascerà il relativo certificato di cantiere di scrapping situato in un paese terzo che intenda riciclare navi battenti bandiera di uno Stato Membro. L’intenzione del legislatore europeo sembra quella di incentivare le nazioni già attive nell’industria del riciclaggio a dotarsi di condizioni minime di sicurezza piuttosto che creare strutture e impianti nuovi. Tanto è vero che lo stesso Regolamento prevede che, entro il 31 dicembre del 2016, la Commissione presenti al Parlamento una relazione sulla possibilità di istituite un incentivo finanziario atto ad agevolare il riciclaggio delle navi sicuro ed eco-compatibile. L’operatività del Regolamento è comunque ancora lontana se si pensa che per la sua applicazione dovranno passare almeno 2 anni (31 Dicembre 2015) e massimo 5 (31 Dicembre 2018). La data reale di applicazione dipenderà poi dalla velocità con cui i cantieri di demolizione riusciranno ad adeguarsi ai nuovi standard ed essere così inclusi nell’elenco delle società ufficialmente autorizzate ed approvate dalla UE.

 Avv. Andrea Facco
Studio Legale Ghelardi e Associati

Droni, il Futuro nei nostri Cieli 

Aeromobili a Pilotaggio Remoto: recenti sviluppi, nuovo Regolamento Enac e spunti di riflessione. Premessa un’introduzione sui “droni” il cui nome tecnico è “aeromobili a pilotaggio remoto”, il presente articolo riferisce della recente regolamentazione di settore emanata dall’Ente Nazionale Aviazione Civile (ENAC) e tratta alcune questioni legali relative alla responsabilità civile dell’operatore di tali aeromobili e all’assicurazione della stessa. Sempre più frequentemente si sente parlare di aeromobili a pilotaggio remoto (APR) (Remotedly Piloted Aircrafts System RPAS), mezzi aerei -dei più svariati aspetti, dimensioni e pesi- privi di equipaggio- il cui volo è controllato da un pilota posto a terra o su di un altro mezzo oppure da un computer installato a bordo ed eventualmente in comunicazione con una stazione di terra. Essi sono conosciuti anche tramite vari acronimi quali Remotedly Piloted Vehicle, RPV, Unmanned Vehicle System UVS, Remotedly Operated Aircraft ROA, Unmanned Aircrafts Systems UAS o il più noto, ma ora desueto, Unmanned Aerial Vehicle UAV. Sebbene esistenti da molti anni -la nascita risale alla prima guerra mondiale- solo recentemente si è assistito ad un sensibile incremento nella loro diffusione. Dopo gli attentati del settembre 2011 negli Stati Uniti, il loro uso si è ampliato nel settore militare ed anche in quello civile. L’espansione -che ha riguardato soprattutto la tipologia di mezzi di più ridotte dimensioni- è stata favorita dal notevole recente sviluppo delle tecnologie sia quelle applicabili al controllo ed alimentazione del mezzo che quelle applicabili alle apparecchiature che possono venire istallate sullo stesso e, in particolare, di quelle nell’ambito della sensoristica, dei microcontrollori, delle batterie e sensori MEMS come accelerometri, giroscopi e magnetometri. I mezzi a pilotaggio remoto, infatti, sono tipicamente equipaggiati con svariate apparecchiature -che riducendosi di peso possono ora essere agevolmente trasportate anche da tali mezzi- quali telecamere digitali professionali compatte, telecamere termiche (infrarosso) o multi spettrali fino ad arrivare a sensori evoluti quali quelli per la rilevazione degli agenti chimici nell’atmosfera impiegati per il monitoraggio della qualità dell’aria. In generale si usa dire che tali mezzi aerei sono utilizzati per le missioni che sono troppo «dull, dirty or dangerous» ovvero «noiose, sporche o pericolose» per essere effettuate da tradizionali aeromobili dotati di equipaggio. L’impiego dei mezzi aerei a pilotaggio remoto non solo consente di evitare i rischi che normalmente corrono gli equipaggi di aeromobili tradizionali nell’ultima delle citate situazioni ma è anche di gran lunga più economico ed ha l’ulteriore vantaggio -sempre più determinante alla luce dei cambiamenti climatici in atto ed alle conseguenti discipline normative limitative delle emissioni di anidride carbonica- di causare un contenuto impatto ambientale essendo alimentati la maggior parte di detti mezzi da motori elettrici. Tra le applicazioni civili più diffuse si possono elencare i controlli di pubblica sicurezza o di scorrevolezza del traffico sulle grandi arterie stradali, le perizie in luoghi pericolosi o contaminati, la sorveglianza e la rilevazione degli incendi, la ricerca finalizzata al soccorso di persone disperse, il telerilevamento, l’aerofotogrammetria, la mappatura del territorio, il controllo di sicurezza di istallazioni, fabbriche, dighe, infrastrutture, condutture petrolifere e linee elettriche, le perizie geofisiche finalizzate all’individuazione di risorse naturali nel sottosuolo, il controllo delle frontiere marittime e, nelle aree ove è diffusa, della pirateria, il controllo ed il conteggio della fauna selvatica e delle mandrie nonché della flora e della biodiversità, la sorveglianza sulle piantagioni, la verifica delle zone colpite da estremi fenomeni ambientali quali terremoti, tsunami, inondazioni ed allagamenti, il contrasto dei reati ambientali il monitoraggio della qualità dell’aria ecc. Tenuto conto del citato progresso tecnologico, alcuni ipotizzano la possibilità di utilizzare a breve tali mezzi addirittura per il trasporto di cose. A tale sviluppo non sono rimasti insensibili gli organismi internazionali e nazionali preposti alla regolamentazione del settore, i quali hanno provveduto all’emanazione di normative ancorché con un certo ritardo in quanto, come inevitabile, l’evoluzione tecnologica è stata più rapida di quella legale. Tralasciando i mezzi aerei destinati ad impieghi militari e limitando l’attenzione a quelli per utilizzi civili, si osserva che l’Organizzazione dell’Aviazione Civile Internazionale (ICAO) già nel 2011 ha elaborato una circolare -Cir 328 AN/190 Unmanned Aircraft Systems (UAS)- con l’obbiettivo di fornire una struttura normativa internazionale attraverso l’emanazione di standard e pratiche raccomandate finalizzate a garantire un’operatività sicura ed uniforme nei vari Stati di tali mezzi aerei, come già avvenuto per le operazioni degli aeromobili dotati di equipaggio. Come noto, tuttavia, tale strumento normativo costituisce solo una linea guida spettando ai singoli Stati contraenti l’adozione delle norme obbligatorie. Anche l’Agenzia Europea per la Sicurezza Aerea (EASA) ha emanato nel 2009 una disciplina avente ad oggetto, in particolare, la certificazione aeronautica degli Unmanned Aircraft Systems la quale, tuttavia, si applica esclusivamente agli aeromobili con impieghi civili ed aventi una massa superiore ai 150 chilogrammi e  quindi non riguarda la maggior parte dei mezzi aerei a pilotaggio remoto impiegati sul nostro territorio nazionale per fini civili che sono di peso decisamente più modesto. Nell’ambito dell’ordinamento europeo la disciplina di tali mezzi resta di competenza dei singoli Stati membri. Il nostro paese si è dotato piuttosto recentemente di un Regolamento “ad hoc” dell’Ente Nazionale Aviazione Civile -Regolamento “Mezzi Aerei a Pilotaggio Remoto Edizione n. 1 del 16.12.2013- la cui entrata in vigore era stata inizialmente fissata per il 14 febbraio 2014 ma è stata poi prorogata 30 aprile dello stesso anno -e non è affatto escluso che venga ulteriormente prorogata- per le difficoltà degli operatori nel dare piena attuazione alle novità introdotte dalla disciplina nonché per il riconoscimento della necessità di fornire agli operatori con il dovuto anticipo le informazioni e le guide utili all’implementazione dei requisiti regolamentari ed, infine, per la riconosciuta necessità di ampliare il periodo di transizione necessario all’adeguamento alle nuove norme. Sebbene gli appassionati di costruzione ed utilizzo dei mezzi aerei a pilotaggio remoto per finalità ricreazionali non condividano l’adozione di una stringente regolamentazione, le implicazioni giuridiche sottese all’utilizzo di tali mezzi rendevano improcrastinabile l’intervento del regolatore, si pensi, per esempio, agli aspetti della sicurezza operativa, della certificazione e della qualificazione dei piloti, dei rischi legati al potenziale loro utilizzo con finalità di terrorismo o, infine, a quelli attinenti alle possibili violazioni della riservatezza mediante l’utilizzo delle telecamere. I paesi membri dell’Unione europea, tuttavia, non si sono mossi all’unisono e l’Italia è stata tra i primi paesi ad aver emanato una normativa di carattere vincolante. Altri paesi, per contro, non hanno ancora provveduto o lo hanno fatto adottando norme di carattere non vincolante. Forse sarebbe auspicabile l’emanazione di un quadro di riferimento armonizzato a livello europeo. Da una prima lettura del Regolamento emergono alcune questioni interpretative, in parte attribuibili alle scarse chiarezza e sistematicità della citata norma. Occorre peraltro aggiungere, tuttavia, che molte di dette questioni potrebbero trovare soluzione nella Circolare applicativa in via di emanazione. Il Regolamento si occupa di molti aspetti di cui non è possibile, per motivi di spazio, dare conto compiutamente nel presente scritto. In sintesi esso distingue gli “aeromobili a pilotaggio remoto” dagli “aeromodelli” in considerazione dell’impiego che ne viene fatto: per operazioni specializzate (lavoro aereo) i primi, esclusivamente per scopi ricreazionali o sportivi i secondi. Il Regolamento -precisato che la propria competenza si estende fino ad includere gli aeromobili a pilotaggio remoto aventi una massa massima al decollo non superiore a 150 chilogrammi (essendo, come visto, la regolazione di quelli di massa superiore a tale soglia di competenza della citata Agenzia Europea per la Sicurezza Aerea)- traccia una fondamentale distinzione in base al peso ovvero distingue la categoria aeromobili di peso inferiore a 25 chilogrammi (che ricomprende la maggior parte del mercato attuale) da quelli di peso superiore a tale cifra. Nell’ambito della categoria più numerosa inoltre è tracciata un’ulteriore distinzione in ragione dell’utilizzo che viene fatto di tali aeromobili ovvero se per operazioni di volo c.d. “critiche” o meno laddove le prime sono quelle svolte in spazi aerei sovrastanti aree congestionate, con elevata urbanizzazione quali, per esempio, quelle residenziali o caratterizzate dalla presenza di linee ferroviarie, autostradali ed impianti industriali. Per ogni classe di mezzi, il Regolamento detta precise disposizioni quanto alla certificazione dei mezzi stessi, alla possibilità ed ai limiti di utilizzazione, all’identificazione o la registrazione, alla condotta delle operazioni, all’organizzazione interna dell’operatore, alla manutenzione, alla formazione dei piloti, agli equipaggiamenti di sicurezza e così via. Nel limitato spazio a disposizione vale la pena di accennare a due aspetti -separati ma intimamente connessi- dell’esercizio dei mezzi a pilotaggio remoto ovvero la responsabilità civile derivante dal loro impiego e l’obbligatoria assicurazione della stessa. Una delle principali fonti di responsabilità per gli operatori di mezzi aerei a pilotaggio remoto è quella derivante dai danni che detti mezzi potrebbero causare a persone o cose poste sul suolo in occasione di una loro caduta. Sono abbastanza frequenti, infatti, i casi di perdita di controllo da parte del pilota oppure di esaurimento delle batterie in volo, circostanze che comportano la caduta dell’aeromobile con conseguenze -derivanti dal peso dello stesso e dall’accelerazione impressa dalla forza di gravità- potenzialmente importanti. In relazione alla responsabilità occorre dare atto, innanzi tutto, della circostanza che per espressa disposizione normativa contenuta nel Codice della Navigazione (in prosieguo il “Codice”) (art. 743, secondo comma, cod. nav.) i mezzi aerei a pilotaggio remoto definiti come tali dai regolamenti dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile «sono considerati aeromobili». Tale fondamentale premessa comporta la conseguenza, carica di implicazioni, che alle relative operazioni si applicano le disposizioni (della parte II relativa alla “navigazione aerea”) del Codice. Non tutte le norme contenute nel citato Codice appaiono, tuttavia, astrattamente applicabili ai mezzi aerei a pilotaggio remoto. Un analogo problema si era già posto con l’introduzione nel nostro ordinamento della figura dell’ “apparecchio per il volo da diporto o sportivo” (c.d. aerei “ultraleggeri”) anche se, in tale caso, il Codice aveva avuto cura di precisare, nel quarto comma del citato articolo, che a tali “apparecchi” «non si applicano le disposizioni del libro primo della parte seconda del presente codice». In relazione ai mezzi aerei a pilotaggio remoto, in assenza di precisazioni, dovrebbero astrattamente applicarsi tutte le norme della parte aerea del Codice, anche se alcune di esse quali per esempio quelle sugli atti di stato civile in corso di navigazione (art. 834 e ss.) o quelle sul trasporto aereo di persone (art. 941 e ss.) appaiono palesemente inapplicabili presupponendo la presenza di passeggeri a bordo.  Altre norme del Codice, invece, sembrano applicabili, si pensi, per esempio, a quelle che disciplinano la figura dell’ “esercente” dell’aeromobile (artt. 874 e ss.) con importanti conseguenze sul piano, come vedremo, della responsabilità di tale soggetto. Quest’ultimo, come noto, è il soggetto che «assume l’esercizio di un aeromobile» dovendo intendersi per “esercizio”, come precisato dalla dottrina maggioritaria, non già la navigazione in sé (aspetto effettuale) bensì l’organizzazione volta alla navigazione (aspetto teleologico). Con riguardo ai sopra citati “apparecchi per il volo da diporto o sportivo” è dibattuto in dottrina se sia applicabile la figura dell’“esercente” o meno. I sostenitori della tesi dell’inapplicabilità motivano la loro posizione sulla base delle seguenti considerazioni: (i) di solito non esiste in relazione a tali “apparecchi” un’organizzazione vera e propria, essendo i medesimi, di regola, posseduti e gestiti dai piloti che li utilizzano, (ii) il loro impiego è svolto prevalentemente a livello personale e per finalità diportistiche ed, infine, (iii) detto impiego ha limitata rilevanza pubblicistica. Nel caso dei mezzi aerei a pilotaggio remoto, tuttavia, quantomeno in relazione a quelli destinati all’effettuazione di operazioni specializzate a titolo oneroso, non sembrano valere le considerazioni formulate in relazione agli “apparecchi”. Per i mezzi aerei a pilotaggio remoto, infatti, dovrebbe sussistere una vera e propria organizzazione del soggetto che il Regolamento definisce “operatore” ed, inoltre, la loro utilizzazione non è affatto svolta a livello personale bensì per fini economici mentre la rilevanza pubblicistica potrebbe divenire importante in ragione della diffusione prevista di tali mezzi. Resta, tuttavia, irrisolto il problema di come, per i mezzi aerei di massa inferiore ai 25 chilogrammi, possa essere effettuata la pubblicità della dichiarazione di esercenza prevista dal Codice, non esistendo un apposto Registro, istituito, invece, per gli aeromobili di massa superiore. Nell’ipotesi in cui la figura dell’“esercente” di aeromobile a pilotaggio remoto fosse astrattamente ammissibile e se, quindi, l’“operatore” di cui al Regolamento fosse assimilabile all’ “esercente” di cui al Codice, allora si dovrebbe ritenere applicabile il disposto di cui all’art. 965 del Codice disciplinante la «responsabilità dell’esercente per i danni a terzi sulla superficie» il quale -mediante il suo richiamo alle norme delle convenzioni internazionali e quindi alla Convenzione di Roma del 7 ottobre 1952 sui danni causati da aeromobili stranieri a terzi sulla superficie- introduce una responsabilità c.d. “oggettiva” -ovvero a prescindere dalla colpa- dell’ “esercente”. Il debito derivante da una tale responsabilità è, tuttavia, limitato entro importi predeterminati dalla citata norma. Alla responsabilità dell’“esercente” potrebbe poi aggiungersi anche quella del “pilota” il quale, ai sensi dell’art. 17 del citato Regolamento, è «responsabile per la condotta del volo». La responsabilità del “pilota” -a differenza di quella dell’ “esercente”- dovrebbe, peraltro, essere non già “oggettiva” bensì di tipo tradizionale e quindi fondata sull’eventuale colpa dello stesso ma il relativo debito non è soggetto a limitazioni quantitative. Per quanto riguarda il profilo assicurativo, l’art. 20 del Regolamento dispone, piuttosto laconicamente, l’obbligatorietà della stipula di una copertura assicurativa con i “massimali minimi” -cosiddetti anche “minimali”- di cui al Regolamento comunitario n. 785/2004 che tali soglie ha previsto per i tradizionali aeromobili. Applicandosi il Codice dovrebbe, peraltro, venire in rilievo anche l’art. 1015 che stabilisce la facoltà per il soggetto terzo danneggiato sulla superficie di agire -oltre che nei confronti dell’ “esercente”- direttamente nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile di quest’ultimo. Allo stato non risulta che sia diffuso un clausolario specifico per la copertura assicurativa della responsabilità civile dei piloti e degli operatori dei mezzi aerei a pilotaggio remoto non apparendo facilmente adattabili quelli già esistenti per l’aviazione generale ma non è escluso che esso venga predisposto in un prossimo futuro.

 avv. Giancarlo Soave
Studio Legale Soave

Brevi note in tema di trasporto ferroviario di merci pericolose.
Il presente articolo ha l’obiettivo dichiarato di combinare due argomenti, il trasporto di beni su ferrovia ed il trasporto di merci pericolose,  che sebbene  non siano certamente  tra i più popolari e dibattuti da parte degli addetti ai lavori (soprattutto in ragione degli scarsi volumi), rivestono un importanza cruciale nel settore  dell’intermodalità. Scopo del presente scritto è, dunque, quello di   fornire un inquadramento generale ed organico della normativa riguardante le responsabilità degli operatori coinvolti nella filiera. Il trasporto delle merci pericolose su ferrovia è oggi disciplinato dal Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 35, che ha modificato il Decreto Legislativo 13 gennaio 1999, n. 41  rubricato “Attuazione delle direttive 96/49/CE e 96/87/CE relative al trasporto di merci pericolose per ferrovia” che a sua volta aveva abrogato l'allegato n. 7 alle "condizioni e tariffe per il trasporto delle cose sulle Ferrovie dello Stato, regolamento per il trasporto per ferrovia delle merci pericolose (RMP)", introdotte dal regio decreto-legge del 25 gennaio 1940, n. 9, convertito dalla legge 13 maggio 1940, n. 674, e successivamente  modificato. Le norme regolamentari e tecniche integrative che riguardano lo specifico settore del trasporto dei rifiuti sono, invece, state adottate ai sensi dell'articolo 18, comma 2, lettera i), e comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, così come  successivamente modificato ed integrato. Particolare attenzione merita il disposto del comma 3 dell’art. 7 del predetto D. lgs. n. 35/2010, secondo  cui “le merci pericolose, il cui trasporto internazionale su ferrovia è ammesso dagli accordi internazionali, possono essere trasportate su strada rotabile, all'interno dello Stato, alle medesime condizioni stabilite per i predetti trasporti internazionali”, che consente  di fatto l’estensione anche in ambito nazionale della normativa prevista sul piano internazionale dalle convenzioni di riferimento. Dopo aver sommariamente tratteggiato la cornice normativa di settore, necessaria premessa per un corretto inquadramento della vicenda, è  opportuno volgere lo sguardo sui possibili profili di responsabilità previsti dalla normativa vigente in capo ai vari soggetti  astrattamente coinvolti nel trasporto di merce pericolosa su rotaia. Sul punto, meritano particolare attenzione gli articoli 7 (molto articolato per  i differenti contenuti) ed 11 del D. lgs. n. 35/2010 che introducono, a vario titolo,  i diversi profili di responsabilità in capo ai due principali soggetti (ma non solo, come si dirà oltre) coinvolti nel trasporto su ferrovia, il vettore e lo speditore. Cercando di sintetizzare al massimo, il comma 9 (sull’idoneità tecnica dei veicoli, delle cisterne o dei contenitori e sulla corretta apposizione dei pannelli di segnalazione del pericolo) 10 (sui dispositivi di equipaggiamento e protezione dei conducenti o dell’equipaggio) ed 11 (sulle condizioni di trasporto dettagliate ai punti 3 e 4) dell’art. 7 regolano  esclusivamente la posizione e le conseguenti responsabilità del vettore, scelta comprensibile considerato il suo ruolo di attore protagonista del trasporto. D'altronde il tassativo incipit  dei commi indicati non lascia margini a dubbi di sorta (“il vettore che viola le prescrizione fissate….”). Scorrendo l’articolo in esame,  il comma 12 introduce, invece,  un profilo di responsabilità in capo ad un figura differente dal vettore, ma altrettanto centrale ed importante, ossia lo speditore, stabilendo che: “lo speditore o il trasportare che violano gli obblighi di sicurezza in capo agli stessi posti rispettivamente dal capitolo 1.4.2.1[3] e 1.4.2.2[4] del RID sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 1.500 euro a 4.500 euro”. Considerati i profili di responsabilità in gioco, riveste particolare importanza per l’interprete, così come per l’operatore, una puntale  definizione della figura del vettore e  dello speditore, così da avere ben chiara e nitida la differenza tra i due operatori. Soccorre sul punto la definizione operata dal RID che   qualifica come speditore  “l’impresa che spedisce merci pericolose per conto proprio o per conto terzi. Quando il trasporto è effettuato sulla base di un contratto di trasporto, lo speditore secondo questo contratto è considerato come speditore” mentre il  trasportatore viene definito come  “l’impresa che esegue il trasporto con o senza il contratto di trasporto” (in sostanza, il vettore effettivo incaricato). A completamento dell’impianto sanzionatorio previsto dall’articolo in riferimento, sebbene dal punto di vista sistematico non sia stata posta come norma chiusura bensì nel corpo del testo, il comma 8  introduce una responsabilità generalizzata, di carattere penale, nei riguardi  di tutti i possibili soggetti coinvolti nel trasporto: “chiunque senza regolare autorizzazione, quando sia prescritta, trasporta o presenta al trasporto merci pericolose, ovvero non rispetta le condizioni imposte, a tutela della sicurezza, negli stessi provvedimenti di autorizzazione è punito con l'ammenda da 5.000 euro a 15.000 euro e l'arresto fino a sei mesi”. Così come formulata, la disposizione lascia intendere che vi possano essere ulteriori profili di responsabilità in capo a soggetti differenti dallo speditore e dal vettore. Passando ora all’analisi dell’articolo 11, del D.lgs. n. 35/2010 i commi 1 e 2 stabiliscono invece che: “le disposizioni concernenti il consulente alla sicurezza per il trasporto delle merci pericolose sono quelle previste dall'ADR, RID, ADN. 2. Il legale rappresentante dell'impresa la cui attività comporta trasporti di merci pericolose, oppure operazioni di imballaggio, di carico, di riempimento o di scarico, connesse a tali trasporti, nomina un consulente per la sicurezza”. Il successivo articolo 12 prevede  a sua volta tutta una serie di sanzioni (anche di ingente importo) in caso di omissione di nomina e/o violazioni di disposizioni di legge. In sintesi, sebbene la normativa lasci spazio a possibili ulteriori profili di responsabilità in capo a terze parti, giocoforza i due soggetti principali destinatari dell’apparato sanzionatorio sopra descritto saranno, generalmente,  il vettore e lo speditore. Infine, per concludere la presente disamina, merita un breve accenno anche la problematica, tutt’altro che irrilevante, dell’obbligo della designazione di un consulente per la sicurezza dei trasporti di merci pericolose. In particolare, il punto focale della questione attiene all’individuazione del soggetto onerato della designazione, quesito di non secondaria importanza visto l’impianto sanzionatorio previsto dalla legge in capo allo speditore ed al vettore. La risposta al quesito la si può ritrovare nel D. lgs. 40/2000 rubricato “Attuazione della direttiva 96/35/CE relativa alla designazione e alla qualificazione professionale dei consulenti per la sicurezza dei trasporti su strada, per ferrovia o per via navigabile di merci pericolose” (espressamente richiamato dall’11, comma 2, del D. lgs. 35/2010), che, all’articolo 2, comma 1, così dispone: “salvo quanto previsto al comma 2, le disposizioni del presente decreto si applicano alle imprese che effettuano operazioni di trasporto di merci pericolose su strada, per ferrovia o per via navigabile interna, oppure operazioni di carico e scarico connesse a tali trasporti”. Dunque partendo proprio da un analisi  del campo di applicazione del decreto in questione, che prescrive ed impone la nomina di un consulente alla sicurezza, si giunge alla conclusione che il soggetto onerato non possa essere lo speditore ma solamente il vettore, in quanto impresa che effettua le operazioni di trasporto.
 avv. Guglielmo Camera
Studio Legale Camera Vernetti

Prescrizione e Decadenza

P
rescrizione: Con prescrizione si intende un periodo di tempo indicato dalla legge entro il quale una persona deve far valere un proprio diritto. Trascorso tale periodo senza che il titolare del diritto lo faccia valere, il diritto si estingue e la persona non potrà più esercitarlo. Alcuni diritti fondamentali quali i diritti della personalità o della potestà sui figli non si prescrivono e, quindi, possono essere esercitati senza limiti di tempo. Alle parti di un contratto è sottratta la possibilità di prolungare o abbreviare i termini di prescrizione stabiliti dalla legge, né possono rinunciare alla prescrizione prima dello spirare di detti termini. Una volta però che il termine sia decorso, il soggetto contro il quale il diritto ormai prescritto poteva essere fatto valere può rinunciare. Si pensi al caso del lavoratore che, non avendo percepito la retribuzione, nei successivi cinque anni non ne chieda il pagamento al datore di lavoro: il lavoratore a questo punto non potrebbe più pretendere il pagamento della retribuzione, ma se il datore di lavoro rinuncia alla prescrizione, il lavoratore avrà la possibilità di far valere il proprio diritto oltre i termini stabiliti dalla legge. I termini di prescrizione sono soggetti a “sospensione” o “interruzione”. L'interruzione si verifica qualora il titolare proponga una domanda giudiziale o arbitrale ovvero compia un atto di costituzione in mora ovvero si verifichi il  riconoscimento del debito da parte del soggetto obbligato. In caso di proposizione di domanda giudiziale, la prescrizione rimane interrotta per tutto il giudizio, fino a quando la sentenza che lo definisce non passa in giudicato. La sospensione opera invece tra alcuni soggetti legati da alcuni rapporti  quali, ad esempio,  i coniugi, o chi esercita la potestà e le persone che vi sono sottoposte, tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi e  tra il debitore che ha dolosamente occultato l'esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto. La legge stabilisce varie prescrizioni: cinque anni per i diritti extracontrattuali, dieci anni per i diritti nascenti dai contratti, salvo diversa regolamentazione per alcuni contratti quali, a titolo di esempio, il contratto di trasporto o spedizione che abbia avuto inizio dentro l’Europa(un anno) ovvero quello assicurativo (due anni).  Decadenza: La decadenza consiste nella perdita della possibilità di far valere un diritto che non sia stato esercitato entro un termine prefissato dalla legge. Le decadenze sono di tre tipi: a) Legale ossia prevista dalla legge; b) Giudiziale ove i termini di decadenza sono fissati dal giudice su istanza della parte interessata; c) Convenzionale in cui i termini di decadenza vengono pattuiti tra le parti. Per i termini di decadenza stabiliti in relazione ai diritti più importanti (i c.d. diritti indisponibili: per es., in tema di rapporti familiari), le parti non possono né modificare la disciplina prevista dalla legge, né rinunciare alla decadenza; e il giudice può rilevarla d’ufficio, cioè anche in assenza di una specifica richiesta di parte. Se, invece, la decadenza è stabilita a tutela di diritti disponibili, le parti possono concordemente modificare il regime stabilito dalla legge. Per tale motivo le parti possono stabilire clausole di decadenza ma tali patti sono nulli se rendono eccessivamente difficile a una di esse l’esercizio del diritto (2965 c.c.). La decadenza, a differenza della prescrizione, può essere modificata o prorogata su accordo delle parti. Peraltro non può essere interrotta solo con l’inizio di un procedimento giudiziale. Pertanto un atto di costituzione in mora quale una raccomandata non è efficace a tal fine ed è, come tale irrilevante.

 avv. Serena Giovidelli
Studio Legale Cimmino Carnevale  De FIlippis

Assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile: come si applica ai natanti.

La nota, questa volta, prende le mosse da alcune pronunce del Giudice di Pace, la cui ripetitività sta determinando il consolidarsi di un innovativo ed interessante orientamento in materia di assicurazione della responsabilità civile obbligatoria, nello specifico caso in cui il danneggiato agisce nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile, reclamando danni a cose prodotti dalla circolazione dei natanti (Giudice di Pace di Pozzuoli, Avv. Italo Bruno,sentenza del 21.06.2010, Giudice di Pace di Procida, Avv. D’Alterio, ordinanza del 18.07.2013; Giudice di Pace di Napoli, Avv. Di Mauro, ordinanza del 27.08.2013). Si premette brevemente che l’art. 123 del D.Lgs 209/2005, meglio conosciuto come Codice delle Assicurazioni Private, estende  l’obbligo della copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi anche alle unità da diporto, prevedendo espressamente che alle stesse si applicano, in quanto compatibili, le norme previste per l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, come, del resto, già sancito, a suo tempo, dalla L 990/69, oggi abrogata. Più precisamente la norma in esame dispone che: “le unità da diporto, con esclusione delle unità non dotate di motore, non possono essere poste in navigazione in acque ad uso pubblico o su aree a queste equiparate se non siano coperte dalla assicurazione della responsabilità civile verso terzi prevista dall’art. 2054 c.c. (…) per danni alla persona”.  Il successivo art. 144, sotto il capo relativo alle procedure liquidative, prevede che il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o natante, per i quali vi è obbligo di assicurazione, ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile.
In questo quadro normativo, pertanto, è prassi ormai comune che il danneggiato che lamenti i soli danni a cose prodotti in conseguenza della circolazione dei natanti agisca comunque direttamente nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile per ottenere il relativo risarcimento. Ebbene, tale azione diretta, secondo detto orientamento che si sta diffondendo nella giurisprudenza di merito, è considerata improcedibile. Invero da una più attenta lettura dell’art. 123 citato, si rileva che l’azione diretta del danneggiato per i danni derivanti dalla circolazione dei natanti è, in realtà, limitata esclusivamente a quelli alla persona, laddove, invece, i danni a cose sfuggono da tale previsione, ovvero, esulano proprio dalla normativa di cui al citato Codice delle Assicurazioni Private. La norma in commento, infatti, aggiunge alla precedente analoga previsione relativa ai veicoli a motore, la precisazione, mancante in quest’ultima, “per i danni alla persona”. La differenza, tuttavia, non è solo letterale, atteso che colui che ritiene di avere subito tali tipi di danni ha, quindi, il ben diverso onere di citare in giudizio il proprietario del natante, confidando sulla chiamata in garanzia da parte di quest’ultimo della propria compagnia di assicurazione, non potendo, per i medesimi motivi di inoperatività della normativa in esame a tali specifiche fattispecie, neppure trovare applicazione la procedura di risarcimento diretto contro la propria assicurazione. Ciò in quanto, come rilevato anche dalla giurisprudenza di legittimità, già sotto la vigenza della L 990/69 nell’assicurazione per la responsabilità civile, l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore è ammessa soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge, mentre in tutti gli altri casi, (nei quali, appunto, rientra quello in esame – ndr) l’assicuratore è obbligato solo nei confronti dell’assicurato a tenerlo indenne da quanto questi debba pagare ad un terzo cui ha provocato un danno, siccome “al di fuori delle eccezioni dette, soltanto l’assicurato è legittimato ad agire nei confronti dell’assicuratore e non anche il terzo, nei confronti del quale l’assicuratore non è tenuto per vincolo contrattuale né a titolo di responsabilità aquiliana” (cfr. fra tutte Cass. 9516/2007). Ma non è tutto. Il tempo occorrente per intraprendere l’azione nei confronti dell’unico legittimato passivo, ovvero del proprietario del natante, e quello necessario a quest’ultimo per agire nei confronti della propria impresa di assicurazione, per attivare la relativa copertura assicurativa, determinano o possono determinare anche il maturare del termine prescrizionale, di due anni, del diritto dell’assicurato di agire nei confronti della propria assicurazione, che, pertanto, risulterebbe prescritto. Quindi e concludendo attraverso tale meccanismo legislativo, la Compagnia di assicurazione potrebbe non dover risarcire alcun danno né al terzo, essendo la relativa azione intrapresa direttamente nei suoi confronti da considerarsi improcedibile, né al proprio assicurato, qualora, per agire contro di essa, sia anche decorso il termine di prescrizione previsto dalla legge per tale tipo di azione, ovvero, nel frattempo, il danneggiato, a fronte di una prima pronuncia a sé sfavorevole, non abbia anche e persino desistito dal proseguire ulteriormente l’azione risarcitoria, dovendone comunque sopportare i relativi costi di giustizia e di difesa. 

 avv. Francesca D’Orsi
Studio Legale D’Orsi

Il Parlamento Europeo vota sui diritti dei passeggeri del trasporto aereo
Negli ultimi anni il settore dell'aviazione ha subito cambiamenti rilevanti collegati all'aumento del numero di passeggeri e dei voli nel mercato europeo liberalizzato. Tale evoluzione, tuttavia, generalmente positiva, è stata in qualche modo accompagnata da pratiche sleali e dalla riduzione della qualità dei servizi, che hanno avuto un impatto negativo sui viaggiatori. Dall'entrata in vigore del regolamento 2004/261/CE del 11.02.2004 molti sono stati i problemi causati dalle zone grigie e dalle lacune esistenti nel regolamento in vigore, che hanno generato la mancata uniformità applicativa negli Stati membri e la difficoltà dei passeggeri a far valere i propri diritti quando i vettori infrangono la normativa. L'attuazione incompleta e incoerente del regolamento esistente da parte dei vettori e delle autorità nazionali provoca confusione nei passeggeri e nel settore. Inoltre i passeggeri non dispongono di informazioni sui propri diritti e sono insoddisfatti delle modalità e dei costi connessi al rispetto degli stessi. L'elemento principale è il fatto che i vettori non riconoscono automaticamente i diritti dei passeggeri interessati, i quali devono dunque far valere individualmente i loro diritti presso grandi compagnie internazionali. In tali casi i clienti si sentono spesso insicuri, anche a causa della complessità della procedura. Molti passeggeri sono restii ad adire un tribunale a causa dei costi elevati e dell'impegno che ciò comporta. L'incertezza giuridica ha portato a una serie di sentenze da parte della Corte di giustizia europea, che con il passare del tempo ha prodotto un'ampia giurisprudenza sui diritti dei passeggeri. I dati mostrano che in realtà soltanto un numero esiguo di passeggeri, pur avendo in teoria diritto a benefici e compensazioni, presenta una richiesta in tal senso. Questa situazione ha indotto la commissione trasporti del Parlamento europeo a tornare sull’argomento con un disegno di legge posto in votazione e approvato in prima lettura il 5 febbraio u.s. Il Parlamento Europeo ha approvato a larga maggioranza - 580 voti a favore e 41 contrari - le nuove norme sui diritti dei passeggeri aerei. La votazione è iniziata con la presentazione del disegno di legge da parte del relatore Georges Bach (PPE, LU) il quale ha dichiarato che: "I diritti dei passeggeri aerei riguardano praticamente ogni cittadino dell'Unione europea. E' la storia di Davide contro Golia, poiché solo il 2% dei passeggeri ottiene realmente un risarcimento dopo la presentazione di una denuncia contro una compagnia aerea. Credo che il testo che abbiamo votato oggi rappresenti un ragionevole equilibrio tra compagnie aeree e diritti dei passeggeri. Abbiamo migliorato la protezione dei consumatori da un lato, pur riconoscendo la flessibilità che questo settore richiede, dall'altro". La revisione del regolamento 261/2004 stabilisce norme comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di cancellazione o ritardo del volo e di responsabilità del vettore aereo con riferimento al trasporto aereo dei passeggeri e dei loro bagagli. Il testo approvato fornisce maggiore chiarezza su ciò che costituisce "circostanze eccezionali", ossia quegli avvenimenti straordinari al di fuori del controllo del vettore aereo che esonerano quest'ultimo dall'obbligo di rimborso ai passeggeri rimasti a terra. Si definisce un quadro più chiaro ed efficiente sui diritti dei passeggeri e sugli obblighi dei vettori aerei in caso di circostanze eccezionali, includendo una lista tassativa di circostanze eccezionali in base alle quali al vettore aereo è consentito ritardare o cancellare un volo senza dover effettuare pagamenti compensativi.  Viene inoltre posto un argine alle pratiche commerciali attuate da diverse compagnie aeree, come per esempio la politica del "no-show" (mancata presentazione all'imbarco da parte del passeggero). Diversi vettori aerei negano infatti l'imbarco ai passeggeri su un volo di ritorno se questi non hanno utilizzato il viaggio di andata di un biglietto. Si tratta di una pratica contraria all'interesse dei consumatori che si è finalmente deciso di disciplinare con il nuovo testo. Altro aspetto fondamentale del dossier riguarda il diritto al risarcimento in caso di ritardi prolungati. I passeggeri avranno diritto a un indennizzo di 300 euro a partire dalle tre ore di ritardo del volo, e non dalle cinque ore in su, come richiesto dalla Commissione Europea nella sua proposta legislativa. Ciò è in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione che riconosce ai passeggeri, in casi di ritardi prolungati (e quindi superiori alle 3 ore) gli stessi diritti dei passeggeri i cui voli sono stati cancellati.  Non ci saranno inoltre più sorprese sul prezzo del biglietto, né costi aggiuntivi ingiustificati. Il prezzo del biglietto pubblicato dovrà necessariamente riflettere il prezzo finale che il consumatore è tenuto a pagare. A tal fine, il nuovo testo prevede che il prezzo pubblicizzato debba già indicare eventuali spese extra, come, per esempio, tutti i costi relativi al pagamento tramite carta di credito o le spese per il check-in. La revisione introduce diverse importanti disposizioni riguardo il bagaglio massimo consentito ai passeggeri in cabina. Sarà infatti consentito imbarcare a titolo gratuito i propri oggetti o effetti personali, compresi gli acquisti effettuati in aeroporto, in aggiunta al bagaglio massimo autorizzato. Ai passeggeri sarebbe consentito portare in cabina, a titolo gratuito, anche soprabiti e borse, compresa almeno una borsa di dimensioni standard di acquisti effettuati in aeroporto, in aggiunta al bagaglio massimo autorizzato in cabina. Sono presenti all'interno del testo anche disposizioni che agevolano l'imbarco degli strumenti musicali, nonché oggetti essenziali per le persone con disabilità o condizioni mediche. Le nuove norme richiederebbero ai vettori aerei di prevedere personale di contatto presso ogni aeroporto per informare i passeggeri sui loro diritti, sulle procedure di reclamo, sull'assistenza, sul rimborso e sulla riprogrammazione dei voli. I passeggeri potrebbero rivolgersi a detto personale per presentare reclami, compresi quelli per il bagaglio perso o danneggiato. quando i voli subiscono ritardi, le informazioni sulla riprogrammazione dei voli dovrebbe essere fornita ai passeggeri entro e non oltre i 30 minuti dopo l'orario iniziale di partenza. Per garantire che i passeggeri non restino bloccati nell'eventualità il vettore aereo dichiarasse la bancarotta, il Parlamento ha chiesto che questi ultimi siano tenuti a predisporre adeguati meccanismi di garanzia, come dei fondi, oppure a sottoscrivere polizze assicurative. Alle autorità nazionali dovrebbero essere garantiti infine poteri sufficienti per punire i vettori aerei che violano i diritti dei passeggeri e valutare le relazioni su come i passeggeri sono stati aiutati nel far fronte ai ritardi e alle cancellazioni dei voli. Il testo, in base alla procedura di codecisione, passa ora al vaglio del consiglio dei Ministri UE, cioè dai rappresentanti dei governi azionali, i quali potranno accettare la proposta dei deputati o adottarne una propria e discuterla successivamente con il parlamento, dopodiché entrerà in vigore entro due anni dalla pubblicazione sulla Gazzette Ufficiali. Il testo del disegno di legge approvato è disponibile per esteso sul sito del Parlamento Europeo.


avv. Daniela D’Alauro
Studio Legale Turci

I recenti interventi dell’UE contro le frodi in materia di IVA

il legislatore europeo con il recente Regolamento di esecuzione UE n. 17/2014 del 10 gennaio 2014 ha dato attuazione ad alcune misure volte a contrastare le frodi in materia di IVA, già introdotte nel corso del 2013.   I suddetti interventi si sono resi necessari in quanto, come indicato dal Consiglio dell’Unione Europea, la frode fiscale in materia di imposta sul valore aggiunto provoca notevoli perdite di bilancio e incide sulle condizioni di concorrenza e, di conseguenza, sul funzionamento del mercato interno; negli ultimi anni si sono sviluppate forme di frode fiscale improvvisa e massiccia, in particolare attraverso l'utilizzo di strumenti elettronici che facilitano scambi rapidi ed illeciti su vasta scala.   In particolare le direttive 2013/42/UE e 2013/43/UE del 22 luglio 2013 sono intervenute modificando la direttiva 2006/112/CE ed ampliando l’ambito di applicazione del meccanismo dell’inversione contabile (c.d. reverse charge), in base al quale, in deroga alla disposizione generale dell’art. 193 previsto dalla medesima direttiva, l'IVA non è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile, bensì dal destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi.   La direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, prevedeva già all’art. 395 la possibilità per gli Stati membri di chiedere una deroga alla medesima direttiva, al fine di evitare alcune forme di evasione o elusione fiscale; tuttavia la suddetta previsione non è stata in grado di offrire risposte sufficientemente rapide alle richieste di misure urgenti da parte degli Stati membri.  A tal riguardo è intervenuta la direttiva 2013/42/UE introducendo la misura speciale del meccanismo di reazione rapida (c.d. Quick Reaction Mechanism - QRM), che consiste nella facoltà di applicare il meccanismo dell'inversione contabile per un breve periodo, a seguito di apposita notifica alla Commissione UE da parte dello Stato membro interessato.   In particolare, è stata prevista la possibilità per gli Stati membri di designare il destinatario quale debitore dell'IVA su determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi, come misura speciale del meccanismo di reazione rapida per combattere frodi improvvise e consistenti che potrebbero comportare perdite finanziarie gravi e irreparabili.   La misura speciale del QRM è subordinata ad adeguate misure di controllo da parte dello Stato membro per quanto riguarda i soggetti passivi che effettuano le cessioni di beni o le prestazioni di servizi, cui si applica tale misura, e ha una durata non superiore a nove mesi.   Il recente Regolamento di esecuzione UE n. 17/2014 sopra richiamato ha previsto un apposito modulo standard di notifica, che gli Stati membri devono utilizzare per notificare alla Commissione l’adozione di una misura speciale del meccanismo di reazione rapida.   In particolare devono essere fornite alla Commissione le informazioni indicanti il settore interessato, le merci o i servizi per i quali è notificata una misura speciale del QRM, il tipo e le caratteristiche della frode, la data in cui è stato rilevato il primo caso di frode in quel settore, l'esistenza di imperativi motivi di urgenza, il carattere improvviso e massiccio della frode e le sue conseguenze in termini di perdite finanziarie gravi e irreparabili.   La notifica deve essere inviata alla Commissione in via elettronica ad un apposito indirizzo e-mail, comunicato dalla Commissione al Comitato permanente per la cooperazione amministrativa, e contempora-neamente agli altri Stati membri, i quali possono presentare osservazioni in merito.   Se la Commissione ritiene di non essere in possesso di tutte le informazioni necessarie, chiede allo Stato membro interessato, entro due settimane dal ricevimento della notifica, le informazioni supplementari di cui ha bisogno.   Le informazioni supplementari fornite dallo Stato membro interessato alla Commissione sono inviate contemporaneamente agli altri Stati membri; se le informazioni supplementari fornite non sono sufficienti, la Commissione informa lo Stato membro interessato entro una settimana.   Una volta in possesso di tutte le informazioni, la Commissione ne dà comunicazione agli Stati membri e, nel valutare se esistono i presupposti per l’emissione della misura richiesta, deve tener conto delle eventuali osservazioni formulate dagli altri Stati membri.  Nel caso in cui la Commissione abbia obiezioni nei confronti della misura speciale del QRM, redige un parere negativo entro un mese da tale notifica e ne informa lo Stato membro interessato e il comitato IVA.    Qualora invece la Commissione approvi l’emissione della misura richiesta, ne dà conferma allo Stato membro interessato e al comitato IVA entro lo stesso termine; lo Stato membro può adottare la misura speciale del QRM a decorrere dalla data di ricevimento di tale conferma.   Lo Stato membro che desidera introdurre una misura speciale del QRM deve farne contestualmente domanda alla Commissione in conformità alla procedura ordinaria stabilita dall'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE.   La coeva direttiva 2013/43/UE ha anch’essa modificato la direttiva 2006/112/CE, estendendo l'applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell'inversione contabile alla cessione di determinati beni e alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi. Con il suddetto intervento vengono quindi ampliati i casi previsti all’art. 199 bis della direttiva 2006/112/CE ed introdotti dalla direttiva 2010/23/UE limitatamente alle quote di emissioni di gas ad effetto serra.   In particolare il legislatore europeo, rilevata la gravità delle frodi in materia di IVA, ha previsto la possibilità per gli Stati membri di essere autorizzati ad applicare, a titolo temporaneo, un meccanismo in base al quale l'obbligo di versare l'IVA, con riguardo a talune categorie di beni e servizi, è trasferito al soggetto passivo destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi imponibile, compreso il caso in cui tali categorie non siano elencate all'articolo 199 della direttiva 2006/112/CE né oggetto di deroghe specifiche concesse agli Stati membri. L’introduzione del meccanismo dell’inversione contabile è dunque rivolto a determinati beni e servizi, che negli ultimi anni sono stati maggiormente esposti al rischio di frode: si tratta in particolare dei settori relativi a cessioni di gas e di energia elettrica, servizi di telecomunicazione, console di gioco, tablet PC e laptop, cereali, colture industriali, tra cui semi oleosi e barbabietole, metalli grezzi e semilavorati, tra cui metalli preziosi.   Il legislatore europeo estende altresì l’ambito temporale laddove l’originario termine del 30 giugno 2015, concesso agli Stati per poter sospendere l’ordinario regime impositivo, stabilendo che il soggetto tenuto al pagamento dell’IVA è il destinatario delle cessioni di beni ovvero delle prestazioni di servizi in luogo del cedente/prestatore,  viene prorogato al 31 dicembre 2018.  Inoltre, nell'applicare il meccanismo dell'inversione contabile, gli Stati membri determinano a loro discrezione le condizioni per l'applicazione del medesimo meccanismo, fra cui la fissazione delle soglie, le categorie di prestatori, cedenti, acquirenti o destinatari cui tale meccanismo può applicarsi e l'applicazione parziale del meccanismo all'interno delle categorie.   Entrambe le direttive, sia la 2013/42/UE sia la 2013/43/UE, sono volte a fronteggiare in modo incisivo il fenomeno purtroppo diffuso negli ultimi anni delle c.d. frodi carosello, ossia operazioni fittizie poste in essere utilizzando società di comodo ed aventi lo scopo di ottenere crediti di imposta in relazione ad operazioni per le quali i cedenti non versano allo Stato la relativa IVA.   E’ opportuno sottolineare che gli interventi legislativi sopra richiamati sono stati effettuati dal legislatore europeo in osservanza del principio di sussidiarietà, sancito dall'articolo 5 del Trattato sull'Unione Europea.  Invero, in questo specifico settore, offrendo un’interpretazione opposta alla consuetudine applicativa del principio, sulla base del Protocollo 2 del medesimo Trattato, si afferma che gli obiettivi prefissati possono essere meglio perseguiti attraverso un’azione posta in essere a livello europeo, laddove l’intervento dell’Unione è in grado di fornire una più adeguata ed efficace risposta ai fenomeni di frode improvvisa e massiccia nel settore dell'IVA, aventi spesso una dimensione internazionale e dunque più difficilmente contrastabili individualmente dai singoli Stati membri.



avv. Fabio Pieroni           
Studio Legale Siccardi Bregante& C.

Il caso Athena

La vertenza origina dal noleggio con subnoleggio della nave Athena per il trasporto di un carico di grano dalla Russia (Novorossysk) alla Siria (Tartous) successivamente dirottato a Bengasi in Libia (Minerva Navigation Inc c. Oceana Shipping AG e Oceana Shipping AG c. Transatlantica Commodities SA; leggila all’indirizzo:http://www.bailii.org/ew/cases/EWCA/Civ/2013/1723.html). Entrambi i contratti (quello di noleggio a tempo tra gli armatori Minerva Navigation e i noleggiatori Oceana Shipping AG ed il subnoleggio per viaggio singolo tra quest’ultima e la Transatlantica Commodities SA) erano stipulati sulla base del formulario New York Produce Exchange (NYPE 1946). I contratti contenevano una clausola (la n° 15) del seguente tenore “… in caso di perdite di tempo … colpa del comandante … o per qualunque altra causa che impedisca la piena operatività della nave, il pagamento del nolo cesserà per il periodo di tempo perso … e tutti i costi extra direttamente incorsi inclusi combustibile consumato durante il periodo in cui il nolo deve ritenersi sospeso saranno a carico dell’armatore …”. Giunta la nave a Tartous il carico, come anticipato, veniva rifiutato dai ricevitori per asserita contaminazione ed i noleggiatori impartivano istruzioni di dirigere su Bengasi (Libia). Per il nuovo porto di destinazione era però necessario procedere all’annullamento delle polizze di carico originarie con emissione di nuove in sostituzione. Pendente il disbrigo della regolarizzazione delle polizze, i noleggiatori ordinarono, quindi, alla nave - che partita dalla Siria aveva,frattanto, raggiunto le acque internazionali prospicienti la Libia - di dirigere all’ancoraggio nella rada di Bengasi e restare in attesa di ordini. Il comandante, d’accordo con gli armatori, si portò invece a 50 miglia al largo della Libia. Contrariamente alle istruzioni dei noleggiatori e nonostante le proteste di questi la nave restò in acque internazionali per circa 11 giorni allorché, risolto il problema con le polizze di carico, mosse finalmente alla volta di Bengasi che raggiunse 3 giorni dopo dove ormeggiò ed iniziò la discarica portandola regolarmente a termine. Successivamente alla discarica i noleggiatori iniziarono arbitrato contro gli armatori contestando la debenza di noli e spese per il periodo di 11 giorni in cui la nave era rimasta al largo della costa libica. La chiave di volta degli argomenti di parte attrice era rappresentata dalla clausola 15 del NYPE ed in particolare dalla circostanza che la nave fosse andata “fuori fitto” per fatto imputabile agli armatori con conseguente obbligo di questi di farsi carico dei costi incorsi durante tale periodo e diritto dei noleggiatori di rifiutare la frazione di nolo relativa. Gli arbitri ritennero che il reclamo dei noleggiatori fosse effettivamente fondato. I noleggiatori avevano, infatti, soddisfatto la prova – su di essi incombente - della ricorrenza di una delle condizioni previste dalla clausola 15 (il tardato arrivo in porto imputabile al rifiuto del comandante di procedere all’ancoraggio in rada a Bengasi) e della conseguente immediata incapacità lavorativa della nave. Gli armatori impugnarono il lodo. Il giudice, in accoglimento delle tesi armatoriali, ritenne che la clausola 15 consentisse ai noleggiatori di non pagare il nolo e reclamare costi solo laddove ci fosse stata una perdita di tempo da valutarsi rispetto all’intero periodo di noleggio e non una frazione di esso. Una perdita di tempo contingente, invece, non era idonea a fare scattare le previsioni della clausola 15. D’altro canto se anche la nave avesse raggiunto la rada di Bengasi non avrebbe potuto scaricare in pendenza dell’emissione delle nuove polizze per cui non vi era stata, in realtà, alcuna perdita di tempo. La sentenza è stata impugnata dai noleggiatori dinnanzi alla Corte di Appello che ha confermato la correttezza dell’impostazione del collegio arbitrale. Secondo la Corte di Appello, infatti, la clausola 15 andava intesa con riferimento all’operatività immediata della nave e non con riguardo all’intero periodo di noleggio. Ciò che era indispensabile accertare, secondo la Corte, era “la piena operatività della nave” riferita alla possibilità per la nave di svolgere il servizio richiesto immediatamente successivo. Nessuna rilevanza potevano avere altri eventi successivi. Solo una tale interpretazione poteva, infatti, ritenersi in linea con le esigenze di certezza delle parti. Nel caso di specie l’attività richiesta alla nave era stata quella di raggiungere la rada di Bengasi, cosa che non era stata fatta. Tanto bastava per la piena operatività della clausola 15 e per considerare la nave fuori nolo con conseguente diritto dei noleggiatori di non corrispondere il nolo agli armatori ed onerare questi ultimi dei costi incorsi nel medesimo periodo. Diverse interpretazioni della clausola ed in particolare quella di valutare le perdite di tempo in relazione all’intero periodo di noleggio avrebbero rischiato - ha precisato la Corte di Appello –di dare ingresso a bizzarre ipotesi come quella di considerare la nave fuori nolo in base al contratto di noleggio principale e sotto nolo nel sub contratto. Si tratta di una decisione importante che aggiunge chiarezza all’interpretazione della clausola 15 del NYPE (frequente nei traffici di merci trasportate via mare) in un’area, quella del reclamo per fuori nolo, nella quale i contorni sono spesso poco delineati e fonte frequente di controversia.

 

avv. Claudio Perrella
Studio Legale LS LexJusSinacta

Accertamento e certificazione delle specifiche contrattuali nella vendita di commodities
(prima parte) - La verifica e la certificazione delle caratteristiche qualitative della merce è da sempre un passaggio essenziale del commodity trade. Il prezzo viene infatti determinato tenendo conto delle specifiche pattuite, ed eventuali discrepanze rispetto alla caratteristiche previste possono rendere la merce inutilizzabile per l’uso previsto, o comportare forti deprezzamenti. Diventa dunque essenziale prevedere le modalità con cui procedere a campionamento ed analisi della merce, facendo in modo che i campioni siano adeguatamente rappresentativi, e vengano raccolti nelle varie fasi della movimentazione (in particolare, le operazioni di imbarco e sbarco)  in modo tale da riflettere adeguatamente lo stato complessivo del carico.  La prassi vede di regola l’adozione di due di tipologie di clausole: si distinguono in particolare le ipotesi in cui i certificati hanno semplicemente l’effetto di far scattare l’obbligo di pagamento del prezzo da parte del compratore, senza precludere successive contestazioni (non avendo tali certificati carattere vincolante), dai casi in cui all’accertamento della conformità quantitativa e qualitativa contenuta nei certificati viene attribuito invece un valore definitivo e pressoché insormontabile (c.d. clausole “final and binding”).  Mentre in passato le clausole che attribuiscono ai certificati di quantità e qualità una efficacia “final and binding” erano considerate abbastanza eccezionali (con la conseguenza che in caso di formulazioni ambigue si tendeva ad escludere che la clausola avesse l’effetto di rendere i certificati “finali”), ormai da tempo tali pattuizioni sono la regola nel commodity trade, al punto da essere state recepite in numerosi dei contratti-tipo.  Le conseguenze che nascono dalla scelta di attribuire efficacia “finale” ai certificati di analisi e qualità sono, come è facile intuire, di estremo rilievo, dal momento che sulla base di tali certificati il compratore può trovarsi costretto ad accettare (ed a pagare interamente) merce che in realtà non corrisponde alle specifiche.  Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale consolidato è da tempo nel senso di riconoscere piena validità a simili pattuizioni, anche qualora i certificati risultino viziati da errori ed omissioni del perito o del laboratorio che li emette (Rolimpex v. Dossa & Sons Ltd (1971);  Toepfer v. Continental Grain Co. (1973).  E’ essenziale peraltro che i certificati siano rigorosamente emessi dal soggetto indicato, a seguito di analisi e controlli eseguiti nel pieno rispetto delle procedure.  L’efficacia del certificato può infatti essere contestata qualora sia rilasciato da un  soggetto diverso, o privo dei  requisiti  e qualifiche indicate (Soon Hua Seng v. Glencore Grain (1996) Coastal Bermuda v. Esso Petroleum (2001) Veba Oil Supply and Trading GMBH v. Petrotrade- 2001). E’ inoltre possibile inserire nel contratto clausole che contemplano in via preventiva l’eventualità che il certificato sia errato o viziato da errori procedurali. Un precedente significativo sul punto è rappresentato dal caso Apioil v. Kuwait Petroleum  (Apioil v. Kuwait Petroleum Italia (1995).  nel quale una delle clausole del contratto di vendita prevedeva che il certificato di qualità fosse “final at loading” a meno che non fosse provato che “testing and/or sampling was incorrectly performed”.  Profili analoghi sono presenti in un caso di poco successivo,  nel quale il contratto prevedeva che il certificato di qualità fosse final  salvo il caso di “manifest error” (Un manifest error ricorre ad esempio se vi è un errore di trascrizione, o un palese errore nell’analisi o nel campionamento, o ancora se si verifica la confusione dei campioni prelevati).  La posizione raggiunta dalla giurisprudenza inglese è stata recentemente messo in discussione nel caso “Mercini Lady” (KG Blominflot Bunkergellschaft fur Mieralole mbh & Co KG v Petroplus Marketing AG -2010)  relativo ad una vendita FOB di un carico di 38.500 tonnellate di gasolio. Nonostante al porto di imbarco il  controllore  avesse certificato che il carico era nei limiti previsti, la merce si era presentata invece gravemente fuori specifica al sediment test eseguito all'arrivo, dopo soli 4 giorni di traversata marittima. Parte acquirente aveva dunque rigettato il carico, reclamando danni superiori a  3 milioni di dollari.  In primo grado il Giudice Field ha ritenuto che l’obbligo del venditore in un contratto FOB di garantire che la merce sia di “satisfactory quality”  implica che essa resti in specifica anche in corso di viaggio, ossia “for a reasonable time thereafter”; la corte ha concluso che tale obbligo finiva per privare di carattere vincolante il certificato di qualità emesso alla caricazione.  La decisione è stata tuttavia drasticamente riformata in secondo grado, dove la Corte d’Appello ha evidenziato che seguendo tale impostazione l’intero sistema finirebbe per essere compromesso (“the whole point of a final and binding determination by an independent inspector on loading would be rendered pointless)  determinando una situazione di incertezza, in aperto contrasto con la natura e le finalità di tali certificati.


avv. Massimiliano Grimaldi
Grimaldi Studio Legale

Rilascio delle patenti nautiche
La generica esigenza di salvaguardia della sicurezza marittima non giustifica l’adozione del requisito della residenza nel Paese di rilascio
La generica esigenza di salvaguardia della sicurezza marittima non giustifica l’adozione del requisito della residenza nel Paese di rilascio. Questa la condivisibile conclusione alla quale è pervenuta la Corte di giustizia CE con la recentissima sentenza 6 febbraio 2014 nella causa C-509-12 avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal central Administrativo Norte (Portogallo) con decisione del 5 luglio 2012 nel procedimento Instituto Portuàrio e dos Transportes Maritimos (IPTM) contro Navileme-Consultadoria Nàutica Lda e Nautizende- Consultadoria Nàutica Lda. Tale domanda è stata presentata nell’ambito della suddetta controversia radicatasi a seguito del diniego dell’IPTM di consentire ai cittadini dell’Unione europea non residenti in Portogallo l’accesso agli esami per il rilascio delle patenti nautiche da diporto. in particolare, la Navileme e la Nautizende hanno presentato al Tribunal Administrativo e Fiscal do Porto (Tribunale Amministrativo e Tributario di Oporto) un ricorso amministrativo avverso l’IPTM, l’organismo incaricato, in Portogallo, dell’organizzazione degli esami e del rilascio delle patenti nautiche. Le due scuole di navigazione hanno la loro sede in Portogallo e il loro oggetto sociale consiste, in particolare, nel garantire la formazione obbligatoria dei candidati che intendono presentarsi all’esame per il conseguimento della suddetta patente. A detta di tali scuole, a partire dal dicembre 2004 l’IPTM ha negato l’ammissione all’esame per il conseguimento della patente ai loro allievi non residenti in Portogallo con la motivazione che non soddisfacevano i requisiti previsti dall’articolo 29, paragrafo 1, del Regulamento da Náutica de Recreio aprovado pelo Decreto-Lei n. 124/2004, del 25 maggio 2004 (RNR) il quale stabilisce quanto segue: «Fatte salve le disposizioni contenute nell’articolo seguente, le patenti nautiche sono rilasciate dall’IPTM ai candidati residenti nel territorio nazionale muniti di un attestato di frequenza con esito positivo della formazione necessaria per il loro conseguimento, alle condizioni previste dall’articolo 35. (...)». la Navileme e la Nautizende hanno affermato che il requisito della residenza di cui all’articolo 29, paragrafo 1, dell’RNR non rispetta né il diritto dell’Unione né la giurisprudenza della Corte - i quali vietano le restrizioni alla libera prestazione dei servizi fondate sulla nazionalità e sulla residenza - poiché avrebbe l’effetto di limitare la libertà degli allievi di recarsi in Stati membri diversi da quello di residenza, nella fattispecie in Portogallo, per fruire di servizi di formazione relativi alla preparazione per l’esame della patente nautica. Esse hanno sostenuto che tale restrizione diminuisce conseguentemente il numero di allievi iscritti alle loro formazioni. Secondo le predette scuole, una simile restrizione non è giustificata alla luce del Trattato FUE. Sulla base di tale argomento, la Navileme e la Nautizende hanno chiesto al Tribunal Administrativo e Fiscal do Porto, da un lato, di condannare l’IPTM al risarcimento dei danni e, dall’altro, di obbligarlo ad ammettere all’esame per la patente nautica i cittadini dell’Unione non residenti in Portogallo e, in caso di superamento dell’esame, ad autorizzare tali cittadini a condurre le imbarcazioni corrispondenti alla patente da essi conseguita. Il Tribunal Administrativo e Fiscal do Porto ha accolto le loro richieste. L’IPTM ha quindi appellato tale sentenza dinanzi al Tribunal Central Administrativo Norte il quale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se, tenuto conto del divieto di discriminazione tra cittadini di uno Stato membro e cittadini di un altro Stato membro [(articolo 18 TFUE (...)], della libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione e delle deroghe alla stessa [(articolo 45, paragrafo 3, TFUE (...)], nonché della libera prestazione dei servizi e delle sue eventuali restrizioni [articoli 52 e 62 TFUE (...)], il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una disposizione interna che subordini il rilascio della patente nautica al requisito della residenza nel territorio nazionale». Preliminarmente, occorre ricordare, da un lato, che il diritto alla libera prestazione di servizi può essere invocato da un’impresa nei confronti dello Stato membro in cui essa è stabilita quando i servizi sono forniti a destinatari stabiliti in un altro Stato membro, e, dall’altro, che tale diritto comprende la libertà per i destinatari di servizi di recarsi in un altro Stato membro per fruirvi di un servizio, senza essere ostacolati da restrizioni. Analogamente, le persone stabilite in uno Stato membro che si recano in un altro Stato membro come turisti o nell’ambito di un viaggio di studi devono essere considerate destinatari di servizi ai sensi dell’articolo 56 TFUE (v. sentenza del 15 giugno 2010, Commissione/Spagna, C-211/08). Di conseguenza, in una fattispecie come quella in questione, le disposizioni relative alla libera prestazione di servizi di cui agli articoli da 56 TFUE a 62 TFUE si applicano, da un lato, alla fornitura di servizi di formazione per il conseguimento della patente nautica offerti da scuole di navigazione, come la Navileme e la Nautizende, ad allievi di altri Stati membri non residenti in Portogallo e che aspirino a conseguire la loro patente nautica in detto Stato membro, nonché, dall’altro, alla fruizione di questi stessi servizi da parte degli allievi. Ciò detto, la Corte ha osservato che una disposizione di diritto nazionale come quella del regolamento portoghese, la quale limiti il rilascio della patente nautica ai soli residenti dello Stato membro in questione, viola il divieto di qualsiasi restrizione alla libera prestazione di servizi sancito dall’articolo 56, paragrafo 1, TFUE. Il governo portoghese si è difeso affermando che la restrizione oggetto del procedimento principale si è resa necessaria per motivi di ordine pubblico e, segnatamente, per la necessità di garantire un livello di sicurezza marittima elevato, il che avrebbe imposto in particolare di assicurare l’effettivo controllo dei possessori di patente nautica; ed il requisito della residenza stabilito nella normativa nazionale sarebbe stato essenziale a tal fine. La Corte si è quindi curata di verificare se la restrizione oggetto del procedimento principale potesse essere ammessa come una delle misure derogatorie espressamente previste dall’articolo 52 TFUE, applicabile in materia in forza dell’articolo 62 TFUE, oppure giustificata, conformemente alla giurisprudenza della Corte stessa, da motivi imperativi di interesse generale, non mancando in tale contesto di sottolineare la necessità che l’applicazione di una siffatta misura dovesse in ogni caso essere idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo invocato e non dovesse eccedere quanto necessario per conseguirlo. La Corte ha al riguardo osservato che la finalità di sicurezza e di ordine pubblico, espressamente prevista dall’articolo 52 TFUE ed alla quale si è riferito il governo portoghese, costituisce un obiettivo legittimo che potrebbe, in via di principio, giustificare una restrizione alla libera prestazione di servizi. Tuttavia, contrariamente a quanto ha sostenuto il governo di quel Paese, il requisito della residenza non può essere giustificato da tale obiettivo. Infatti, il ricorso a una simile giustificazione presuppone ad avviso della Corte l’esistenza di una minaccia effettiva e sufficientemente grave nei confronti di uno degli interessi fondamentali della collettività (v. sentenza del 21 gennaio 2010, Commissione/Germania, C-546/07); presupposti che nel caso di specie il governo portoghese non ha addotto. La Corte ha altresì rilevato che un requisito come quello della residenza oggetto del procedimento principale, il quale non presenti alcun nesso con la formazione seguita e la capacità di navigare, non è di per sé idoneo al raggiungimento dell’obiettivo perseguito, segnatamente quello di garantire la sicurezza della navigazione marittima, e che in ogni caso l’obiettivo di garantire un maggiore livello di sicurezza marittima può essere realizzato tramite misure meno restrittive della libera prestazione di servizi. In particolare, fissando a un livello elevato la soglia di superamento dell’esame per il conseguimento della patente nautica.

avv. Cecilia Vernetti
Studio Legale Camera Vernetti

Coperture  “all risks” e onere della prova
In base alle condizioni generali della polizza italiana di copertura contro i danni alle unità da diporto (modellate sulla polizza ANADI) è previsto che la copertura operi in relazione a qualsiasi evento produttivo di danno  materiale e diretto subito dall’unità assicurata, così come descritta nella scheda di polizza. Le polizze italiane yacht, infatti, si definiscono coperture c.d. “all risks”, ossia coprono la generalità dei rischi della navigazione, fatti salvi quelli espressamente esclusi. I formulari inglesi (modellati sulle ITCH), al contrario, adottano il principio dei c.d. named perils, in base al quale sono coperti non tutti i rischi della navigazione, ma soltanto quelli espressamente elencati nella polizza. Tale differenza di impostazione comporta alcune rilevanti implicazioni pratiche, sotto il profilo degli oneri probatori posti a carico dell’assicurato e dell’assicuratore. Infatti, in caso di sinistro l’assicurato dovrà provare che il danno occorso all’unità sia riconducibile ad un rischio coperto. Tuttavia adottando il sistema c.d. “allrisks” l’onere della prova a carico dell’assicurato sarà grandemente facilitato, essendo sufficiente dimostrare che il danno sia conseguito ad un accidente della navigazione, senza necessariamente provare anche lo specifico rischio in concreto  verificatosi. Il sinistro quindi sarà in tal caso risarcibile, salvo che l’assicuratore non provi che il sinistro si sia verificato in conseguenza di un rischio escluso dalla copertura. La questione è stata di recente affrontata dal Tribunale di Monza che con la sentenza n. 134/2013 ha così stabilito “Dalla lettura delle condizioni generali di polizza ed in particolare dell’art. 13 (”Rischi assicurati”), si deduce come il rischio oggetto della copertura sia qualsiasi evento produttivo di danno materiale e diretto subito dall’unità da diporto descritta nella scheda di polizza di cui all’art. 10. E’, pertanto, evidente la ricomprensione del danno subito dalla imbarcazione della L. (“solchi sulla superficie della murata laterale destra e graffi localizzati sulla fascia di colore blu”), tra quelli assicurati, indipendentemente dalla non circostanziata individuazione dell’evento storico produttivo dello stesso, verosimilmente da ricondursi a materiale incisione con oggetto a punta di scalpello, tipo cacciavite o lama”. In tale caso l’assicurato si era limitato a fornire la prova della sussistenza del danno (solchi e graffi sulle murate)e non anche dell’evento causativo di tali dannie del fatto che lo stesso si fosse verificato entro i limiti spaziali e temporali previsti dal contratto assicurativo. Il Tribunale tuttavia, interpretando rigorosamente la clausola di cui sopra, ha ritenuto che, trattandosi di copertura contro la universalità dei rischi non fosse richiesta la prova dell’evento storico produttivo di danno. Diverso sarebbe stato l’esito, in caso di applicazione delle clausole yacht inglesi. In tal caso, infatti, l’assicurato avrebbe dovuto indicare anche lo specifico evento produttivo di danno e la relativa riconducibilità ad un rischio coperto. La sentenza in commento si segnala anche sotto l’aspetto della quantificazione dei danni riconosciuti dal Giudice a titolo di indennizzo. Infatti, il Tribunale, pur riducendo grandemente la pretesa attorea (che includeva anche danni indiretti non coperti dalle clausole in commento),ha e ritenuto di ammettere a risarcimento il costo relativo all’integrale riverniciatura dello scafo e sovrastruttura, anziché delle sole parti danneggiate. Il giudice, infatti,ha seguito l’impostazione del CTU secondo il quale la riverniciatura totale (anziché la riverniciatura delle sole parti danneggiate e la lucidatura della parti non danneggiate) trovasse fondamento nella finalità di evitare differenze cromatiche e di lucentezza tra la parte riverniciata e quella solo lucidata. Ciò tenuto conto che lo stato di vetustà dello scafo al momento del sinistro (sette anni)dovesse  ritenersi incompatibile con la lucidatura del bene, da ritenersi adeguata soltanto in una situazione di limitata usura e invecchiamento.


avv. Barbara Pozzolo
Studio Legale Pozzolo

Il contenzioso giudiziale sulla mediazione …

Facciamo un rapido aggiornamento sull’acceso contenzioso che vede l’Avvocatura, attraverso le sue associazioni di categoria,contrapporsi alla sopravvivenza dell’istituto della Mediazione. Dopo la pronuncia della Corte Costituzionale che aveva rilevato l’eccesso di delega nella previsione del D.l. 28/2010 sulla obbligatorietà del tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda in sede giudiziale, il legislatore era nuovamente intervenuto con il Decreto 69/2013 c.d. “del fare” per reintrodurre la mediazione obbligatoria ed apportare alcuni correttivi, alla luce delle criticità emerse. L’OUA (Organismo Unitario dell’Avvocatura) aveva immediatamente presentato motivi di impugnazione aggiuntivi al ricorso pendente al TAR Lazio rispetto a quelli già svolti chiedendo nuovamente che il TAR concedesse la sospensione in via cautelare del provvedimento impugnato.  Il TAR in sede cautelare, nella Camera di Consiglio del 4 dicembre 2013, ritenuta preliminarmente la propria competenza, respingeva la richiesta misura cautelare (sospensione del Regolamento D.M.180/2010) con ordinanza n. 4872 depositata il 10 dicembre 2013. Il Tar dato preliminarmente atto della riunione dei ricorsi n. 10937 del 2010 (al quale erano stati aggiunti motivi di impugnazione, a seguito dell’entrata in vigore del d.l. 69/2013 intervenuto a seguito della sentenza della Corte Costituzionale) e del ricorso n. 11235 del 2010, riteneva che “non sussistono i presupposti per la concessione della misura cautelare richiesta con i mezzi aggiunti; Ritenuta, in particolare, per un verso, l’insuscettibilità dell’atto regolatorio impugnato di arrecare all’attualità in capo ai ricorrenti un danno caratterizzato dai requisiti dell’irreparabilità e della gravità, ben potendo i medesimi conseguire l’integrale riparazione delle posizioni azionate in gravame che dovessero essere ritenute illegittimamente lese in sede di accoglimento nel merito del ricorso, per altro verso, la necessità di esaminare le nuove questioni di costituzionalità dedotte in ragione delle modifiche normative sopravvenute in corso di giudizio nella sede propria del merito”. Dopo il rigetto dell’istanza cautelare pronunciato dal TAR, l’OUA presentava reclamo al Consiglio di Stato, con ricorso rubricato al R.G. 544/2014. In data 11 febbraio 2014 con l’ordinanza n. 607, il Consiglio di Stato accoglieva il reclamo, sia pur nei limiti che andiamo di seguito ad evidenziare. I Giudici di Palazzo Spada,pur accogliendo l’appello, non hanno disposto la sospensione cautelare richiesta e ciò proprio sulla base delle medesime argomentazioni già espresse dal Tribunale di primo grado. Sul punto,l’ordinanza resa è di cristallina chiarezza (nonostante le interpretazioni fuorvianti che ne sono state date all’indomani della pubblicazione):“considerato che le questioni sottoposte appaiono meritevoli di un vaglio nel merito, dovendosi in tali limiti accogliere l’appello e disporre la sollecita fissazione dell’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 55comma 10 del codice del processo amministrativo;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) Accoglie l’appello (Ricorso numero: 544/2014) e, per l’effetto, ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia trasmessa al Tar per la sollecita fissazione dell’udienza di merito ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm. Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza in commento, conferma la posizione già espressa dal Tribunale di primo grado e,in ordine alla mancata concessione della misura cautelare richiesta, si limita ad affermare che “le questioni sottoposte appaiono meritevoli di un vaglio nel merito” ed a tal fine ha disposto che il TAR Lazio, ai sensi dell’art. 55, co. 10, D.lgs n. 104/2010, fissi “sollecitamente” l’udienza sul merito. Ricordiamo che l’art. 55, comma 10 prevede che: “Il tribunale amministrativo regionale, in sede cautelare, se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data della discussione del ricorso nel merito. Nello stesso senso può provvedere il Consiglio di Stato, motivando sulle ragioni per cui ritiene di riformare l’ordinanza cautelare di primo grado; in tal caso, la pronuncia di appello è trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la sollecita fissazione dell’udienza di merito”.ll successivo comma 11 dispone che: “L’ordinanza con cui è disposta una misura cautelare fissa la data del ricorso nel merito”. Se quindi le intenzioni dei Giudici di Palazzo Spada fossero state quelle di accogliere il ricorso integralmente, essi avrebbero utilizzato questo comma invece del precedente che prevede un semplice rinvio della questione al TAR Lazio per la sua trattazione nel merito. Alcuni commenti immediatamente apparsi circa la asserita “sospensione dell’obbligatorietà della mediazione” appaiono quindi erronei (od eccessivamente entusiastici) alla luce del tenore letterale dell’ordinanza del Consiglio di Stato. Non vi è stata infatti nessuna sospensione del D.M.  impugnato. Ciononostante l’OUA ha comunque presentato al Consiglio di Stato un’ istanza, ai sensi dell’art. 112 co. 5 cod. amm., per la richiesta di chiarimenti. Il Consiglio di Stato ha quindi fissato l’udienza dell’11 marzo 2014 per consentire la discussione. Nel mentre il Tar, in ossequio alle indicazioni del Consiglio di Stato,ha fissato per l’ 08 ottobre 2014l’udienza per la trattazione sul merito dell’eventuale annullamento del d.m. n. 180 del 18 ottobre 2010 avente ad oggetto “regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi ai sensi dell’ art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010… To be continued
   Richard GUNN
ReedSmith

l punto di vista anglosassone sulla convenzione sul Lavoro Marittimo del 2006

L
a Convenzione sul Lavoro Marittimo del 2006 (“Convenzione”) è di grande importanza poiché prevede degli standard minimi lavorativi e di vita per tutti i marittimi che operino su navi battenti bandiera di Stati contraenti, prevedendo alcune norme per rendere i luoghi di lavoro più sicuri.  La Convenzione ha scopo di assicurare condizioni di vita e di lavoro più decenti per tutti i marittimi, allo stesso tempo consentendo una sana competizione fra tutti gli armatori.   Un breve aggiornamento: Il 20 agosto 2013 la Convenzione è entrata in vigore ed è diventata una strumento importante per il Paris MoU, così rendendo i propri requisiti ufficialmente soggetti a PSC. Gli ultimi dati dal Paris MoU-vedi il loro sito-dimostrano che durante il primo mese settenavi sono state fermate per deficienze relative alla Convenzione. Ciò significa che il 10% del numero totale di detenzioni in altre ha riguardato deficienze relative alla Convenzione. In aggiunta a ciò, sono state trovate un totale di 4260 deficienze, 494 delle quali sono attribuibili a qualsiasi convenzione ILO. Di queste, 494,30 (6,1%) sono state considerate talmente serie da tenere la nave ferma mentre 23 delle stesse sono state considerate violazioni alla convenzione che ha causato la detenzione di 7 singole navi. I requisiti in base alla Convenzione: La convenzione del 2006, che va a giustapporsi ad altre convenzioni internazionali, riflette gli accordi internazionali sulle condizioni minime di vita lavorative dei marittimi. La convenzione assicura che i contratti tra marittimi ed armatori prevedano certe condizioni che debbono essere soddisfatte. In particolare, agli armatori viene richiesto di fornire ai marittimi contratti di arruolamento e procedure di bordo per reclami nonché implementare le misure relative agli orari lavorativi e ai salari dei marittimi, agli alloggi, al cibo, alla protezione medica ed alla tutela della salute ed al welfare. Armatore: Così come previsto dalla convenzione, un armatore “sta a significare il proprietario della nave o qualsiasi altra organizzazione o persona, come i manager, agenti o locatori a scafo nudo, che si sono assunti la responsabilità della operatività della nave da parte dell’armatore e che, nell’assumere tale responsabilità, hanno concordato di assumere i doveri e le responsabilità imposte sugli armatori in base a questa convenzione, indipendentemente dal fatto che altra organizzazione o persona assolva obblighi o assuma responsabilità per conto dell’armatore”.  Numerosi manager hanno espresso la loro preoccupazione per una definizione così ampia.  All’ILO è stato chiesto di chiarire la definizione. Questa ha replicato che non è necessario dal momento che la frase e chiara e che l’uso della  locuzione “indipendentemente” non crea una separata categoria di armatori. Marittimo: In base alla convenzione, marittimo “sta a significare qualsiasi persona che sia impiegata o utilizzata o lavoriin qualsivoglia capacità a bordo della nave alla quale questa convenzione trovi applicazione”. Il linguaggio utilizzato permette una interpretazione ampia della definizione. Sembrerebbe abbracciare una enorme categoria di “impiegati” che lavorino sulla nave incluso l’equipaggio dei noleggiatori su navi offshore (scienziati, operatori ROV);  squadre di operai, sub appaltatori su traghetti e operatori di intrattenimento. L’interpretazione corretta è una questione che viene lasciata allo stato di bandiera e differenti bandiere potrebbero avere differenti interpretazioni. Risorse finanziarie: La convenzione richiede che gli armatori abbiano delle risorse finanziarie disponibili (“FSP”) in relazione al rimpatrio, costi per lesioni o malattia, indennizzi per morte o per invalidità a lungo termine e spese funerarie.  La copertura del Club generalmente si estende anche a coprire i costi di rimpatrio nel caso di insolvenza dell’armatore (guarda le circolari del IG  datate marzo e maggio 2013) e la maggior parte degli Stati di bandiera accetteranno tale copertura del club come un FSP adeguata. Peraltro una questione rimane irrisolta ossia se la copertura del club possa variare nel caso in cui la convenzione richieda agli armatori di assicurare i salari all’equipaggio conto del rischio di insolvenza. Nel caso in cui l’armatore non provveda al rimpatrio, questo sarà a carico dello Stato di bandiera. Qualora lo stato di bandiera non provveda, questo sarà carico dello Stato in cui è situato il porto. Tali costi sono recuperabili dall’armatore ma nel caso di insolvenza ciò potrebbe non essere possibile. Ci sono sicuramente sul mercato alcuni prodotti assicurativi disponibili per assicurare lo Stato e la bandiera. Peraltro qualcuno argomenta che la copertura del club da sola potrebbe non assolvere del tutto agli obblighi dell’armatore e che pertanto dovrebbe essere richiesta una assicurazione alternativa. Ci sono alcuni prodotti assicurativi disponibili che potrebbero assicurare l’armatore contro i rischi previsti dalla convenzione ed in particolare gli stipendi dell’equipaggio. Questioni relative alla convenzione da considerare nei contratti: Le parti di un contratto dovrebbero avere quindi chiaro chi sia il soggetto che si assuma la responsabilità dei requisiti previsti dalla convenzione. In particolare si deve considerare: Nel caso di contratti di noleggio a tempo, qualora il ritardo causato da un fermo nave sia considerato come off hire,  ed in tal caso se ci siano altre parti dalle quali possa essere ottenuto un risarcimento; Qualora l’assicurazione debba essere ottenuta per coprire adeguatamente le responsabilità che potrebbero nascere dalla convenzione, e Qualora la convenzione imponga determinate responsabilità ulteriori rispetto a quelle ivi elencate. Quando sono previsti dei problemi che possono sorgere in base a convenzione: non ci sono più trattamenti più favorevoli per navi che battono bandiera di Stati non contraenti. Le previsioni della convenzione richiedono che i porti degli Stati aderenti alla convenzione ispezionino tutte le navi, indipendentemente dalla bandiera, con ciò stando a significare che gli interessi degli armatori potrebbero essere più tutelati qualora si adottassero i passi necessari ad assicurare che le navi siano in accordo con le previsioni della convenzione. L’arruolamento di marittimi da paesi che non hanno ratificato la convenzione; L’adozione della legislazione è un responsabilità dello stato di bandiera ed è perciò possibile che ci possano essere delle discrepanze fra più Stati (per esempio Panama non riconosce gli allievi come marittimi); e Ispezioni PSC. La convenzione è stata creata per essere resa esecutiva tramite PSCnei paesi aderenti che effettueranno le ispezioni per assicurare il rispetto dei requisiti previsti dalla convenzione stessa. Le navi che battono la bandiera di uno Stato non contraente non saranno in grado di evitare i requisiti della convenzione qualora esse tocchino porti di Stati contraenti, dal momento che la convenzione richiede  che il  il regime di PSC  si applichi anche in relazione alla convenzione, ugualmente a tutte le navi. Comunque le navi che sono di tonnellaggio di 500 grto superiore e impegnate su traversate internazionali che sono registrate in paesi che hanno ratificato la convenzione avranno l’obbligo di avere a bordo due documenti: il “Declaration of Maritime Compliance’ e il ‘Maritime Labour Certificate”. Se una nave subisse l’ispezione dello stato di bandiera e non assolvesse i requisiti, l’ispettore potrebbe rifiutarsi di emettere il certificato oppure di sottoscriverlo o persino ritirarlo in casi più gravi. L’ispezione iniziale è meramente documentale. Comunque qualora tale passo si riveli insoddisfacente o ci siano altre evidenze allora la PSC può effettuare ispezioni più ampie. Possibilità di sequestrare:  In passato il fermo delle navi era limitato a questioni relative alla sicurezza. La convenzione peraltro va oltre e inerisce anche questioni attinenti alla situazione dei marittimi. Ciò significa che un ispettore potrebbe fermare una nave o impedirle di salpare se i diritti dell’equipaggio siano stati violati, per esempio qualora i salari non siano stati pagati o la documentazione relativa al contratto non sia in ordine. Come già menzionato sopra all’armatore è richiesto di assicurare che la nave abbia una procedura di reclamo a bordo. Questo dovrebbe permettere ai marittimi di sollevare questioni relative alla violazione della convenzione con il comandante, senza la possibilità di essere vittimizzati. Se la procedura non fosse soddisfacente si potrebbe portare all’attenzione dell’ispettore le lamentele; ispettore che a sua volta al potere di fermare la nave in caso di violazioni serie. Il numero sempre maggiore di azioni da parte degli ispettori PSC dimostra che i diritti dei marittimi sono entrati in una nuova vera è che se gli armatori non hanno dato particolare peso alla convenzione non potranno ulteriormente ritardare di farlo.


 avv. Daniela Aresu
Studio Legale Aresu

La normativa
DIRETTIVA 2012/ 34/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico (GUUE L. 343 del 14/12/2012)
L’Unione Europea propone un nuovo quadro normativo per migliorare competitività ed efficienza del trasporto ferroviario, nella consapevolezza che le ferrovie rappresentano un elemento vitale nel settore dei trasporti in un’ottica di mobilità sostenibile. Attualmente si sta attraversando in molti Paesi Europei una fase di declino del trasporto ferroviario, nell’alternativa tra una ristrutturazione del mercato ferroviario o l’accettazione - come dice SiimKellas, Vice Presidente della Commissione Europea -di un inarrestabile declino in base al quale le ferrovie sono in Europa un “giocattolo lussuoso per pochi Paesi ricchi e sono un lusso non sostenibile per la gran parte degli altri che hanno scarsità di risorse pubbliche” . Vero è che già nel Libro bianco del 2011 sui trasporti si invocava un potenziamento del trasporto ferroviario data la difficoltà di ridurre la dipendenza dal petrolio in altri settori.  La direttiva 2012/34/UE, istitutiva di uno spazio ferroviario europeo unico, potenzia le disposizioni esistenti in materia di concorrenza, rafforza il potere delle autorità nazionali di regolamentazione, migliora il quadro degli investimenti nel settore ferroviario e garantisce un accesso più equo all’infrastruttura ferroviaria e ai servizi ferroviari.  Il quadro normativo proposto si basa essenzialmente  su alcuni punti essenziali:  1. Gestione delle imprese ferroviari e secondo principi commerciali, anche a prescindere dalla loro proprietà. 2. Separazione tra gestione dell’infrastruttura e fornitura dei servizi di trasporto. Questo è uno dei cardini. La Commissione propone di rafforzare il ruolo dei gestori dell’infrastruttura in modo che essi abbiano il controllo di tutte le funzioni centrali della rete ferroviaria, dividendo però, sotto il profilo operativo e contabile, i gestori dell’infrastruttura da tutti gli operatori che assicurano la circolazione dei treni. Ciò è essenziale per eliminare i potenziali conflitti di interesse e garantire a tutte le imprese un libero accesso al mercato.  3.Libertà di accesso per le imprese ferroviarie all’infrastruttura ferroviaria in tutti gli stati membri per tutti i tipi di servizio di trasporto ferroviario, di merci e di persone. Il termine per conformarsi alle disposizioni della Direttiva è fissato al 16 giugno 2015.

DIRETTIVA 2012/32/UE DELLA COMMISSIONE
del 25 ottobre 2012recante modifica della direttiva 96/98/CE del Consiglio sull’equipaggiamento marittimo (GUUE L 312 del 10/11/2012)

REGOLAMENTO di ESECUZIONE (UE) N. 1082/2012 DELLA COMMISSIONE del 9 novembre 2012 recante modifica del regolamento (UE) n. 185/2010 per quanto riguarda la convalida della sicurezza dell’aviazione civile UE (GUUE L 324 del 22/11/2012)

LEGGE 14 gennaio 2013, n. 5  - Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2 dicembre 2004, nonché norme di adeguamento all'ordinamento interno. (13G00023) (GU n.24 del 29-1-2013)
Entrata in vigore del provvedimento: 30/01/2013
L’ Italia aderisce alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2 dicembre 2004. Tra i punti più importanti: la prevalenza del giudicato della Corte internazionale di fronte alle decisioni dei Tribunali nazionali; i casi e le materie in cui gli Stati si comportano come soggetti privati; le procedure di notifica di atti giudiziari ad altri Stati. La Convenzione si applica all'immunità  giurisdizionale  di uno Stato e dei suoi beni davanti ai tribunali di un altro Stato.  Uno Stato attua l'immunità degli Stati, prevista  nella convenzione,astenendosi dall'esercitare la sua giurisdizione in  un  procedimento davanti ai propri tribunali contro un altro  Stato  e,  a  tal  fine, vigilando  affinché i suoi  tribunali   decidano   d'ufficio che l'immunità dell'altro Stato sia rispettata. E’ previsto che lo Stato possa prestare espresso consenso all’esercizio della giurisdizione nei suoi confronti ma tale consenso deve essere prestato o mediante accordo internazionale, o mediante contratto scritto o dichiarazione resa davanti al Tribunale.  Un procedimento davanti a un tribunale di uno Stato è considerato promosso contro un altro Stato quando quest'ultimo: a) è' citato come parte nel procedimento; b) non è' citato come parte nel procedimento, ma il  procedimento  è di fatto mirato a recare pregiudizio ai suoi beni, diritti, interessi, o attività. Sono poi previste una serie di ipotesi in cui l’immunità giurisdizionale non può essere invocata. Ai fini che qui interessano rileva l’ipotesi delle Navi di cui uno Stato è proprietario o esercente.In tal caso, lo Stato non può invocare l'immunità giurisdizionale davanti a un tribunale di un altro Stato, competente in materia, in un procedimento concernente l'esercizio di tale nave se, nel momento in cui si è verificato il fatto che ha dato luogo all'azione, la nave non era utilizzata a scopi di servizio pubblico non commerciali. La disposizione non si applica né alle navi da guerra e alle navi ausiliarie né alle altre navi di cui uno Stato è proprietario o esercente e che attualmente sono utilizzate esclusivamente a scopi di servizio pubblico non commerciali. Sempre che gli Stati interessati non convengano diversamente, uno Stato non può invocare l'immunità giurisdizionale davanti a un tribunale di un altro Stato, competente in materia, in un procedimento concernente il trasporto di carico a bordo di una nave di cui uno Stato è proprietario o esercente se, nel momento in cui si è verificato il fatto che ha dato luogo all'azione, la nave non era utilizzata a scopi di servizio pubblico non commerciali; la disposizione non si applica né a un carico trasportato a bordo delle navi né a un carico di cui uno Stato è proprietario e che è utilizzato o destinato a essere utilizzato esclusivamente a scopi di  servizio pubblico non commerciali. Gli Stati possono invocare tutti i mezzi di difesa, prescrizione e limitazione di responsabilità di cui possono prevalersi le navi e i carichi privati e i loro proprietari. La Convenzione entrerà in vigore trenta giorni  dopo  la data del deposito del trentesimo strumento di ratifica, accettazione, approvazione   o   adesione    presso    il    Segretario    generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
DECRETO MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI 21 gennaio 2013
Modifica al decreto 5 agosto 2008, concernente l'imposizione di oneri di servizio pubblico sulle rotte Alghero-Roma Fiumicino e viceversa, Alghero-Milano Linate e viceversa, Cagliari-Roma Fiumicino e viceversa, Cagliari-Milano Linate e viceversa, Olbia-Roma Fiumicino e viceversa, Olbia-Milano Linate e viceversa. (13A00893) (GU n.32 del 7-2-2013).
Il decreto modifica l’allegato tecnico al decreto ministeriale n.103/2008 in misura significativa in quanto mentre prima si prevedeva che il vettore potesse esercitare “il traffico con aeromobili di capienza  inferiore  senza,  diminuire  il  numero  delle  frequenze» adesso può  «  esercitare  il  traffico  con  aeromobili  di  capienza inferiore, diminuendo, ove necessario, anche il numero di frequenze». La modifica risulta dettata dall’opportunità di poter adeguare l'offerta  di  voli  del servizio onerato, oltre al tipo di aeromobile, nel  caso  in  cui  si verifichi che il coefficiente di  riempimento complessivo  dei  voli previsti dall'allegato tecnico del decreto ministeriale n. 103 del  5 agosto 2008 risulti inferiore al 50%.
DECRETO LEGISLATIVO 16 gennaio 2013, n. 2
Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi 18 aprile 2011, n. 59 e 21 novembre 2005, n. 286, nonché attuazione della direttiva 2011/94/UE recante modifiche della direttiva 2006/126/CE, concernente la patente di guida. (13G00019) (GU n.15 del 18-1-2013)

DECRETO MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI  25 gennaio 2013
Individuazione dei meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo. (13A00791) (GU n.30 del 5-2-2013)  Il decreto definisce e individua i meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo(denominati scatola nera o equivalenti) intendendo quei dispositivi, sigillati, alimentati e solidalmente ancorati ad elementi fissi e rigidi del veicolo stesso, che:consentono la determinazione continuativa nel tempo di posizione e velocità del veicolo; consentono la determinazione continuativa nel tempo del profilo accelerometrico del moto del veicolo;consentono la diagnostica da remoto dell'integrità funzionale del dispositivo; consentono l'incorruttibilità del dato raccolto con una percentuale superiore al 99%; consentano la tempestiva individuazione di malfunzionamenti o di tentativi di manomissione fisica o logica non autorizzati; consentono la trasmissione wireless bi-direzionale con altri dispositivi installati a bordo del veicolo; consentono la trasmissione periodica sicura delle informazioni immagazzinate. L'art. 132, comma 1, D.Lgs. 209/2005, prevede, che, nel caso in cui l'assicurato acconsenta all'istallazione di meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo, denominati scatola nera o equivalenti, o ulteriori dispositivi, individuati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, i costi di installazione, disinstallazione, sostituzione, funzionamento e portabilità sono a carico delle compagnie che praticano inoltre una riduzione significativa rispetto alle tariffe stabilite ai sensi del primo periodo, all'atto della stipulazione del contratto o in occasione delle scadenze successive.

 avv. Andrea Tracci
Studio Legale TDP

I COSTI MINIMI:
Primi orientamenti Giurisprudenziali
Cominciamo, come di consueto, dal riassunto dell’ultima puntata. Avevamo scritto che il mondo dell’autotrasporto (o almeno una sua parte) sembrava soddisfatto dal provvedimento del Ministro Lupi, che, con una direttiva del 10 gennaio (prot. n. 3), aveva confermato (la pur ovvia) piena vigenza dell’art. 83-bis della legge 133/2007 e s.m. (istitutivo dei c.d. “costi minimi”), potenziando il sistema dei controlli attraverso una apposita delega agli uffici della motorizzazione civile in merito all’applicazione delle sanzioni derivanti dall’inosservanza delle predette “tariffe di legge” (o meglio di tali soglie di costo definite incomprimibili). Il Ministero prendeva atto della difficoltà di far rispettare tali costi minimi, nonché delle incertezze interpretative (leggasi incertezze giurisprudenziali) in materia, e riteneva pertanto di dover individuare direttamente detta Autorità (Motorizzazione) all'interno dell'organizzazione periferica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti “… la cui capillare diffusione sull'intero territorio nazionale garantisce, oltre ad un rapporto diretto con gli organi accertatori (Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate), anche un più proficuo rapporto con i trasgressori per la ponderazione dei loro interessi legittimi anche nel corso del procedimento amministrativo…”. Il Ministero, nella predetta circolare, ricorda quindi il contesto normativo, che prevede “…la definizione, per quanto riguarda i contratti di trasporto di merci indipendentemente dalla forma scritta o verbale, dei valori dei costi chilometrici minimi di esercizio che garantiscano almeno la copertura dei costi di esercizio delle imprese di autotrasporto nell'ambito dei quali viene determinata la quota, espressa in percentuale, rappresentata dai costi del carburante… Detti costi minimi non individuano una tariffa, ma piuttosto una soglia minima di congruità che di cui si assume una diretta incidenza sui livelli di sicurezza della circolazione stradale. A tale valore "soglia" potranno essere aggiunti tutti gli ulteriori costi di esercizio che sono direttamente connessi con l'abilità organizzativa ed imprenditoriale del vettore, oltre naturalmente al margine di profitto, che resta rimesso alla libera contrattazione fra le parti, e che non potevano essere predeterminati dall'Amministrazione, a pena di probabili censure delle Autorità comunitarie…”. Tale nota sembra proprio cogliere la difficoltà, espressa a più riprese dai Tribunali di merito, di ritenere compatibile la norma in questione con i dettami del trattato UE, e con la legislazione comunitaria in genere. Il Tribunale di Lucca con la nota ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, ma anche, più recentemente il Tribunale di Trento (sotto il profilo, in particolare, del differente – ed a suo dire irragionevole – regime prescrizionale tra contratti scritti e non scritti), hanno palesato tali dubbi di contrasto con la norma comunitaria. Altri Tribunali (ad esempio quello di Genova, cfr. sentenza n. 10548/2012), hanno assunto un atteggiamento particolarmente prudente in merito a tale norma, ritenendo di dover in ogni caso sospendere la provvisoria esecutorietà di decreti ingiuntivi emessi nei confronti di committenti, in tutti i casi (per la verità assai ricorrenti) in cui non fosse stato rispettato, da parte dell’autotrasportatore, l’obbligo di indicazione nelle fatture della parte di corrispettivo imputabile al costo del carburante. Tali variazioni interpretative (ad oggi piuttosto disomogenee) potranno forse essere, in qualche modo, ovviate con la nota del Ministero, poiché la stessa, pur indirettamente, precisa che le sanzioni a carico del committente non vengano meno neppure in caso di mancato rispetto, da parte dell’autotrasportatore, dei predetti requisiti formali nella fatturazione. Infatti, la nota ministeriale ricorda che il novellato il comma 15 del citato articolo 83-bis stabilisce che le violazioni indicate al comma 14 sono constatate dalla Guardia di Finanza e dall'Agenzia delle Entrate in occasione dei controlli ordinari e straordinari (leggasi su segnalazione del diretto interessato) effettuati presso le imprese committenti, con la conseguenza “…che l'adempimento posto a carico dei Comandi provinciali della Guardia di Finanza e dell'Agenzia delle Entrate è limitato alla sola constatazione della violazione, sotto il profilo del rispetto della garanzia della copertura dei costi di esercizio delle imprese di settore, ed all'espletamento della relativa attività istruttoria. Pertanto, anche in assenza del dato richiesto in merito al costo del carburante, “… Qualora in esito all'attività istruttoria espletata dai competenti organi emerga la responsabilità del soggetto destinatario dell'accertamento, l'Autorità competente alla constatazione della violazione trasmette il verbale redatto durante la verifica, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni, corredato di una breve relazione e di ogni altro atto o documento istruttorio necessario alla definizione della sanzione, all'ufficio periferico della motorizzazione civile (UMC) nella cui circoscrizione territoriale è stato effettuato l'accertamento della violazione”. Infine, gli Uffici motorizzazione civile, verificata la regolarità formale degli atti istruttori ed il rispetto del solo diritto di difesa del presunto trasgressore, emetteranno il provvedimento amministrativo che ingiunge il pagamento della sanzione amministrativa correlata alla violazione. Al trasgressore dovrà essere riconosciuto il diritto di presentare le proprie difese successivamente alla notifica del verbale di accertamento, nel termine di 15 giorni dalla notifica stessa, se non abbia già esercitato tale diritto innanzi all'organo accertatore. Non solo, continua la nota che “..Il provvedimento, che dovrà essere congruamente motivato richiamando i presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento della sanzione, dovrà indicare espressamente il valore del costo chilometrico totale (ricavabile dalle tabelle pubblicate nel sito istituzionale dell'Amministrazione) avendo cura di indicare, altresì, gli altri dati del calcolo effettuato, coincidenti con il costo chilometrico unitario, la lunghezza chilometrica del percorso effettuato, l’importo già versato dal committente, nonché la classe cui appartiene il veicolo utilizzato per il trasporto conformemente alle tabelle pubblicate nel sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti…”. Come risulta evidente, dunque, l’attività ispettiva (e sanzionatoria) prescinde totalmente dalla verifica dell’adempimento, da parte del vettore, degli obblighi di legge. Non vi è quindi chi non veda, nell’iniziativa del Ministero, un tentativo di scardinare, nei fatti, quell’orientamento, sopra ricordato, che pone quale condizione dell’azione monitoria provvisoriamente esecutiva la puntuale indicazione del costo del carburante e della tratta effettivamente percorsa dal vettore.


 dr. Gambattista Poggi
Studio Poggi & Associati

AUTOTRASPORTO

In relazione ai contratti di trasporto di merci su strada, mediante l’inserimento del comma 95 dell’art.1 della legge di stabilità 2014 (legge 27.12.2013 n. 147, S.O. n. 87 G.U. 27.12.2013 n. 302), è stato soppresso l’obbligo delle imprese di autotrasporto di emettere fatture entro la fine del mese in cui si sono svolte le relative prestazioni di trasporto. La soppressione dell’obbligo di emissione della fattura entro la fine del mese in cui si sono svolte le prestazioni consegue alla modifica dell'articolo 83-bis, comma 12, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, che, in relazione al termine di pagamento, ha eliso le parole «che deve avvenire entro e non oltre la fine del mese in cui si sono svolte le relative prestazioni di trasporto». Pertanto, dal mese di gennaio 2014, le aziende di autotrasporto per conto terzi non devono più emettere le fatture entro la fine del mese in cui sono svolte, ma possono attendere la data del relativo incasso. In applicazione dei principi generali ai fini IVA, la fattura potrà essere emessa al momento dell'effettuazione dell'operazione, che per le prestazioni di servizio coincide con il «pagamento del corrispettivo» (cfr. artt.6 e 21, D.P.R.633/1972). La possibilità di emissione della fattura al momento dell’incasso comporta evidenti vantaggi alle imprese degli autotrasportatori conseguenti alla possibilità di posticipare il versamento dell'IVA a debito come risultante dalla liquidazione IVA periodica. Per effetto della predetta variazione viene, inoltre, eliminato il conflitto tra l'articolo 83-bis, comma 12, decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, nel testo ante modifica che non consentiva all’impresa di posticipare la fattura al momento dell'incasso, con l’agevolazione disposta dall’art. 74 comma 4, D.P.R. 633/1972 a favore degli «autotrasportatori di cose per conto terzi iscritti all'albo», secondo la quale, per le prestazioni di servizi degli autotrasportatori effettuate nei confronti del medesimo committente, nel rispetto del termine di cui all'articolo 21, quarto comma, primo periodo stesso decreto, può essere emessa una sola fattura per più operazioni di ciascun trimestre solare. Resta ferma la deroga all'articolo 23, primo comma, stesso decreto, in base alla quale le fatture emesse per le prestazioni di servizi degli autotrasportatori possono essere comunque annotate entro il trimestre solare successivo a quello di emissione. Sempre in applicazione dei principi generali in materia IVA, in ogni caso, se prima di “effettuare” a fini fiscali l'operazione, ovvero prima del pagamento del corrispettivo, l’impresa emette la fattura, l'operazione si considererà effettuata, limitatamente all'importo fatturato, alla data della fattura. Invariata la disposizione contenuta nel richiamato art. 83-bis, comma 12, in relazione all'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, laddove dispone che il termine di pagamento del corrispettivo relativo ai contratti di trasporto di merci su strada non può, comunque, essere superiore a sessanta giorni, decorrenti dalla data di emissione della fattura da parte del creditore in attuazione della direttiva 2000/35/CE, con esclusione di qualsiasi diversa pattuizione tra le parti, scritta o verbale, che non sia basata su accordi volontari di settore, conclusi tra organizzazioni associative di vettori rappresentati nella Consulta generale per l'autotrasporto e per la logistica, di cui al comma 16, e organizzazioni associative dei committenti.

Principali scadenze fiscali
per le imprese
fino al 15 aprile 2014
15-03-14E missione e registrazione delle fatture differite relative a beni consegnati o spediti nel mese solare precedente e risultanti da d.d.t. o da altro documento idoneo ad identificare i soggetti tra i quali è effettuata l'operazione.
17-03-14 Contribuenti Iva mensili/trimestrali: liquidazione e versamento dell'Iva relativa al mese/trimestre precedente.
17-03-14 Contribuenti Iva con obbligo di liquidazione mensile/trimestrale che hanno ricevuto le dichiarazioni d'intento rilasciate da esportatori abituali: presentazione della comunicazione dei dati contenuti nelle dichiarazioni d'intento ricevute per le quali le operazioni effettuate senza applicazione di imposta sono confluite nella liquidazione con scadenza 17 marzo 2014
17-03-14 Per i sostituti di imposta: versamento ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e assimilati corrisposti nel mese precedente; versamento della rata dell'addizionale regionale dell'Irpef trattenuta ai lavoratori dipendenti e pensionati sulle competenze del mese precedente; versamento ritenute alla fonte su redditi di lavoro autonomo e/o su redditi da provvigione corrisposti nel mese precedente.
25-03-14 Operatori intracomunitari con obbligo mensile: presentazione degli elenchi riepilogativi (INTRASTAT) delle cessioni e/o acquisti intracomunitari di beni nonché delle prestazioni di servizi intracomunitari effettuati nel mese precedente in via telematica all'Agenzia delle Dogane oppure all'Agenzia delle Entrate sempre mediante invio telematico.
31-03-14 Soggetti passivi Iva che abbiano effettuato operazioni con operatori economici aventi sede, residenza o domicilio negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato (Paesi c.d. "black-list") individuati dal D.M. 04/05/1999 e dal D.M. 21/11/2001, come modificati dal D.M. 27/07/2010: Comunicazione mensile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi di importo superiore a euro 500 effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi c.d. "black-list" in via telematica all'Agenzia delle Entrate. 



INDICE

avv. Daniela Aresu
Studio Legale Aresu

La normativa

13
avv. Guglielmo Camera
Studio Legale Camera Vernetti

Prescizione e Decadenza
5
avv. Daniela D’Alauro
Studio Legale Turci

I recenti interventi dell’UE  contro le frodi in materia di IVA
7
avv. Francesca D’Orsi
Studio Legale D’Orsi

Il parlamento Europeo vota sui diritti dei passeggeri del trasporto aereo
6
Avv. Andrea Facco
Studio Legale Ghelardi & Associati

Droni, il futuro nei nostri Cieli
2
avv. Serena Giovidelli
Studio Legale Cimmino
Carnevale De FIlippis

Assicurazione Obbligatoria per la responsabilità civile: come s applica ai natanti
5
avv. Massimiliano Grimaldi
Grimaldi Studio Legale
Rilascio delle patenti nautiche

9
avv. Claudio Perrella
Studio Legale LS LexJusSinacta

Accertamento e certificazione delle specifiche contrattuali nelle vendite di commodities
9
avv. Fabio Pieroni
Studio Legale Siccardi Bregante& C.

Il caso ATHENA

8
dr. Gambattista Poggi
Studio Poggi & Associati

L’angolo fiscale
15
avv. Barbara Pozzolo
Studio Legale Pozzolo

Il contenzioso giudiziale sulla mediazione
11
avv. Chiara Raggi
Studio Legale Mordiglia

Demolizione e riciclaggio di navi: la UE adotta un regolamento proprio
1
avv. Giancarlo Soave
Studio Legale Soave

Brevi Note in tema di trasporto ferroviario di merci pericolose

4

avv. Andrea Tracci
Studio Legale TDP

Costi Minimi: I primi orientamenti giurisprudenziali
14

L’Angolo Anglosassone
Richard GUNN
ReedSmith

La convenzione sul lavoro marittimo - 2006
12


Direttore Responsabile: Luca Florenzano Comitato di direzione: Giorgio Berlingieri e Luca Florenzano  Vicedirettrice: Cecilia Vernetti.
Comitato Scientifico: Giorgia Boi, PierAngelo Celle, Massimo Deiana, Mauro Ferrando, Marcello Ghelardi, Andrea La Mattina, Marco Lopez  De Gonzalo, Aldo Mordiglia, Emilio Piombino, Carlo Rossello, Leopoldo Tullio, Marco Turci, Sergio Turci, Enrico Vergani. Comitato di redazione: Daniela Aresu, Serena Giovidelli, Guglielmo Camera, Simona Coppola, Daniela D’Alauro, Francesca D’Orsi, Massimiliano Grimaldi, Andrea Facco, Anna Masutti, Margherita Pace, Claudio Perrella, Fabio Pieroni, Barbara Pozzolo, Chiara Raggi, Giancarlo Soave, Andrea Tracci.